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  • Speciale Monza – L’autodromo, sogni ad alta velocità

    Nel ringraziare il Servizio Promozione Territorio del Comune di Monza, e l’organizzazione di Barbara Papuzzi e Cinzia Sigot (Agenzia Sec & Associati di Torino), si conclude oggi, 21 luglio, la eccezionale visita della delegazione della Stampa Estera nella meravigliosa città lombarda. La tribuna dell’Autodromo di Monza Ultima tappa. Il tempio della Formula Uno, l’autodromo di Monza, la pista dei sogni sulla quale hanno gareggiato i più grandi nomi della storia della velocità e fin dagli albori dell’affascinante mondo del motori. La Sala Stampa del Monza Eni Circuit Ad accompagnarci attraverso la storia delle corse automobilistiche, un nome d’eccezione, il collega giornalista Enrico Mapelli, dagli anni ’50 appassionato ed esperto autore di numerose opere sul mondo della Formula Uno e sulla storia dell’autodromo di Monza in particolare, diffuse a livello internazionale. Enrico Mapelli mentre racconta le vicende storiche del circuito Come spiega Enrico Mapelli, l’autodromo (ufficialmente “Monza Eni Circuit) è il terzo circuito permanente più antico del mondo dopo quello, ormai in disuso, di Brooklands e quello di Indianapolis. Dal 1950 ha ospitato 80 Gran Premi d’Italia ed è stato sede del Gran Premio delle Nazioni del Motomondiale nonché di diverse manifestazioni, concerti e anche tappa di partenza e arrivo del Giro Ciclistico d’Italia. Fra i più prestigiosi appuntamenti, la Blancplain GT Series, il Monza Rally Show, la European Le Mans Series, il Campionato Mondiale Superbike, il Gran Premio delle Nazioni, il WTCC (Campionato Mondiale Turismo) e la Mille Chilometri di Monza. Enrico Mapelli con i colleghi giornalisti della Stampa Estera Il progetto originale risale al 1922 per volere dell’Automobile Club Milano. I lavori iniziarono nel maggio dello stesso anno e portati a termine in soli 110 giorni. Il primo giro di inaugurazione fu percorso il 28 luglio dai piloti Pietro Bordino e Felice Nazzaro su una Fiat 570. Una delle storiche competizioni del passato al circuito di Monza Nella primavera del 1948 furono iniziati i lavori per rimediare ai danni causati dalla guerra e, in ottobre, fu avviata la nuova attività, con il circuito completo di 10 km. Juan Manuel Fangio, “El Chueco” Enrico Mapelli spiega che il circuito di Monza è soprattutto legato a due nomi storici, Alfa Romeo e Juan Manuel Fangio, un binomio di prestigio nella storia delle corse automobilistiche a livello mondiale. L’Alfa Romeo 159 “Arese” di Manuel Fangio Soprattutto Manuel Fangio, da molti considerato il più grande pilota della storia della Formula Uno, meglio noto come “El Chueco“, protagonista di 52 Gran Premi e vincitore di 24, con posto sul podio guadagnato per 35 volte, e per cinque volte Campione del Mondo, con uno stile di guida corretto, pulito e al tempo stesso spettacolare.

  • Speciale Monza – Una storia intrecciata con popoli e culture

    Letizia Leonardi/Talal Khrais – Prosegue la visita della delegazione della Stampa Estera nella storia e nella cultura di Monza. Una storia antica e affascinante: a dichiararlo sono i molti reperti archeologici. Nei Musei Civici si possono infatti ammirare testimonianze dell’età del bronzo (1000 a.C.) come urne, corredi funerari, armi, lucerne, spilloni, vasellame, rinvenuti recentemente nel territorio della città e nella provincia. Tante le genti che hanno “calpestato” questa terra. Delegazione Stampa estera a Monza Anche i Celti sono stati tra i popoli presenti nella zona, poiché erano indoeuropei e molto diffusi in Europa. Dalle Isole britanniche fino alle penisole iberica, italica e anatolica, è naturale che ci siano stati legami con il popolo Armeno e anche con i Fenici, visto che il collegio elettorale di Monza I, dal 1860, è stata una sezione uninominale del Regno di Sardegna, in antichità in stretto contatto proprio con i Fenici che in Sardegna fondarono delle colonie. Non è un caso che a Monza si possono ammirare molti cedri del libano, i più importanti nel Giardino della Villa Reale, che ha anche un bellissimo roseto con oltre 4000 varietà, prodotte da esperti di tutto il mondo. La tribù celtica degli Insubri, valicate le Alpi, si stabilì intorno a Mediolanum, l’attuale Milano, dividendosi in numerosi villaggi, tra cui quello che sarebbe diventata l’odierna Monza. E nel Duomo si può anche notare un’ampolla (e la sua gemella), rinvenuta in Terra Santa, che raffigura San Giorgio nell’atto di uccidere il drago, e parte di un bassorilievo di Dvin, l’antica capitale del Regno d’Armenia. Attualmente, secondo dati Istat del 1 gennaio di quest’anno, i residenti in provincia di Monza e della Brianza provenienti dall’Armenia sono 15 su 78.827 stranieri della provincia. Particolare del Duomo di Monza: il rosone e la statua di S.Giovanni Battista Tornando alla storia antica, nel 222 a.C., i Romani sottomisero i Celti che ebbero una rivincita nel 218 a.C. con l’avanzata di Annibale ma, all’inizio del II secolo a.C. il territorio tornò ai Romani. L’importanza dell’antica città di Monza cominciò a manifestarsi dalla fine del III secolo anche se l’economia prevalente era quella agricola. In base ai reperti archeologici si può ipotizzare che il nucleo principale della città era sulla sponda destra del fiume Lambro verso il Duomo, e un secondo nucleo più recente, era invece sulla sponda sinistra verso l’odierna chiesa di S.Maurizio. Le due zone erano collegate dall’unico monumento tuttora rimasto della Monza del periodo romano: il ponte sul fiume Lambro detto “di Arena” perché lì venivano svolte attività sportiveo dalla possibile esistenza di un piccolo anfiteatro, vista la curva particolare su quella che è l’odierna via Vittorio Emanuele. Questo antico collegamento fu demolito nel XIX secolo quando fu costruito l’attuale ponte dei Leoni. Nei Musei civici si possono trovare varie testimonianze di epoca romana: ceramiche, are dedicate a Giove, Ercole e Mercurio, iscrizioni, sarcofagi, lapidi sepolcrali ed epigrafi di cittadini dai nomi celtici romanizzati. Altri reperti, compreso un ninfeo, sono stati posizionati nel giardino della casa dei Decumani che si trova vicino alla cappella del Rosario del Duomo. Dopo la disgregazione dell’impero romano Monza accolse nuove popolazioni: Eruli di Odoacre e gli Ostrogoti capeggiati da Teodorico che, nel 493, fissò proprio a Monza una delle sue residenze. Sarà poi la volta dei Bizantini nel 553 e infine arrivò la dominazione dei Longobardi con il re Alboino, nel 568. Il Regno longobardo fu quello di maggiore splendore, soprattutto quando nel VII secolo Monza ne diventò la capitale. Non ci sono notizie storiche su Monza dalla morte di Teodorico ed il regno di Autari ma ci sono testimonianze risalenti a sua moglie Teodolinda, principessa cattolica bavarese (sposata nel 589). Morto improvvisamente Autari, nel 590, Teodolinda sposò in seconde nozze il duca di Torino, Agilulfo, decisero di trasferirsi a Milano e passare l’estate a Monza dove venne costruito un bellissimo palazzo del quale, sfortunatamente, non è rimasta alcuna traccia, se non nell’iscrizione sull’Evangeliario donato dalla regina alla chiesa di San Giovanni. Teodolinda fece anche costruire, nel 595, sulla riva del fiume Lambro un oraculum, un luogo di preghiera, con preziose decorazioni in oro e argento che è stata la prima basilica di San Giovanni Battista, adiacente il Palazzo Reale. Vestigia del tempio teodolindeo si trovano tuttora a far parte dell’odierno Duomo, che forse ne comprende alcune navate. A lato dell’abside rimane anche una torre longobarda usata più tardi come campanile della Basilica. E come tutte le cose antiche che si rispettano c’è una leggenda sulla costruzione di questa basilica. Teodolinda si sarebbe addormentata lungo la riva del Lambro durante una battuta di caccia del re e le sarebbe apparsa in sogno una colomba, simbolo dello Spirito Santo, che le avrebbe fatto capire che quel posto lo avrebbe dovuto dedicare a Dio. Questo episodio è narrato, insieme ad altri della vita della regina, negli affreschi dei fratelli Zavattari sulle pareti della Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza. Fu grazie a questa regina che i longobardi si convertirono al cattolicesimo e l’allora papa donò molti oggetti di grande valore che sono custoditi al museo del Duomo insieme all’Evangeliario di Teodolinda del 603 e diverse altre cose. Nel 774 i longobardi furono sconfitti da Carlo Magno che ricevette la Corona Ferrea nel 775. Nell’843 l’Impero carolingio venne diviso in tre regni. Monza, che faceva parte del Regno d’Italia, fu assegnata a Lotario I. Nell’850 la città entrò nei domini del Sacro Romano Impero conservando tuttavia, ampi margini di autonomia, e infine, dall’XI secolo, nell’orbita di Milano. Monza diventò, in quegli anni, una potenza economica ma ci furono anche lotte tra Ariberto e l’imperatore Corrado II. Alla sua morte, Ariberto lasciò importanti donazioni alla Basilica e al clero monzese. Qualche anno dopo, nel 1128, a Monza nella chiesa di San Michele, Corrado III di Svevia venne incoronato Re d’Italia al quale succedette il nipote Federico I Barbarossa. Nel XIV secolo Monza entrò nei domini dei Visconti di Milano e, in occasione del primo giubileo, venne costruito il Duomo. Nel 1500 il re di Francia Luigi XII sconfisse Ludovico il Moro e occupò il Ducato di Milano. Monza fu inevitabilmente coinvolta in queste vicende. Fu con la battaglia di Pavia, del 1525, che i francesi furono sconfitti dalle forze imperiali di Carlo V, e a Francesco II Sforza venne restituito il Ducato di Milano. Fu nel 1529 che Antonio De Leyva diventò Signore di Monza. Quasi 50 anni dopo una terribile epidemia colpì Monza, la famosa peste di San Carlo del 1576, che spazzò via moltissime vite tanto che, un anno dopo, nella piazzetta del Duomo, venne eretta la Crocetta per celebrare una messa all’aperto. Funzione che non servì però ad evitare una successiva ondata di peste nel 1630 che fu la causa di una profonda crisi demografica ed economica. Il Ducato di Milano, e quindi Monza, rimasero soggetti alla corona spagnola fino all’inizio del XVIII secolo. Dopo la campagna d’Italia di Napoleone, del 1796, il ducato di Milano diventò parte della Repubblica Francese e poi di quella Cisalpina fino a quando arrivarono gli Asburgo d’Austria che, tra le tante cose, costruirono a Monza molti edifici e ville storiche come la Villa Reale. Le successive cinque giornate di Milano coinvolsero anche Monza. Tutti uniti per cacciare gli austriaci e ci vollero due guerre d’indipendenza per liberare il territorio dalla dominazione austriaca. Anni dopo Monza entrò a far parte del Regno di Sardegna. Il 1860 fu l’anno della spedizione di Garibaldi in Sicilia e un giovane studente monzese, Achille Mapelli, si arruolò come volontario con i Mille. L’anno dopo venne proclamato il Regno d’Italia. Monza ebbe l’onore di avere la visita Giuseppe Garibaldi e, dopo venticinque anni dalla sua visita, la città gli dedicò un monumento in marmo dello scultore Bazzaro che si può ammirare nell’omonima piazza. E in quello stesso periodo il ministro Vasconcellos ritornò a Monza per dare conoscenza al Re che in territorio ottomano parecchie centinaia di armeni si rifugiavano all’interno delle chiese per sfuggire a violenze e massacri: era il preludio di tempi ancor più neri per il popolo della terra di Nairi.

  • Che cosa vuol dire fare il Reporter

    Talal Khrais/Roberto Roggero – Sempre più giovani, venuti a sapere di storie di reporter, vissuti pericolosamente, in terre lontane e nella disperazione, chiedono come si fa a diventare corrispondente di guerra. Diventare Reporter. Anzitutto, è da mettere in conto il rischio maggiore, che può comportare anche la morte, e di esempi di colleghi, e soprattutto amici, che hanno pagato con la vita il prezzo della verità, ne è un evidente esempio. Sono capitate occasioni in cui non si poteva sapere quando si sarebbe tornati a casa, quando non è possibile sapere una data di ritorno, perché si ha di fronte una missione da compiere che non si sa quanto potrebbe durare. Si deve dimenticare, forse meglio cercare di non pensare di avere parenti, amici, che aspettano di rivederti. Si sono avuti incontri di ogni tipo, con gente comune, che poi comune non è mai, oppure con soldati, guerriglieri, battaglie, attentati e molto altro, a volte trovando un viso amico in qualche angolo del mondo. A volte incontri di una notte, magari con l'aiuto di un bicchiere in più, che contribuisce a rilassare i nervi, oltre che il fisico. E' capitato di dover partire senza sapere quanto tornare, e senza pensare al guadagno, che rischia di far perdere la passione per questo lavoro. Talal Khrais Se non si accettano queste “regole non scritte”, allora è meglio scegliere un altro lavoro. Il Reporter fedele a sé stesso e alla verità, è uno che vede, scrive, documenta, testimonia la realtà, sfidando ogni volta l'ariete della censura, dell'informazione, della disinformazione, soprattutto quello che, in gergo, viene definito “senza paracadute”. Quello che a sue spese, a suo rischio, contando prevalentemente su contatti personali, allestiti in anni di missioni e basati sulla fiducia, arriva fin dove è possibile, sfidando spesso i propri limiti. Interviste, immagini, articoli, riprese montate in fretta e furia, per essere diffuse in un tempi il più reale possibile, perché l'informazione viaggia sempre più veloce, e perché ormai anche la pagina di un quotidiano del giorno dopo è già notizia vecchia. Nell'informazione, in particolare, la dimensione in cui si svolge il lavoro di un certo tipo, non è più lo spazio, ma il tempo. Naturalmente, oltre a un pizzico di “calcolata incoscienza”, all'amore per la verità, e alla prontezza di spirito, bisogna essere animati anche da una innata curiosità per tutti e tutti. Roberto Roggero Alla base di deve essere sempre il chiedersi perché, dove, come, e avere sempre una visione d'insieme di un avvenimento, lasciando da parte pregiudizi e preconcetti, a parte il formarsi un'opinione personale il più delle volte realmente vera e oggettiva. Se poi si possiedono capacità analitiche, costante volontà di rischiare, molta attenzione magari anche nell'innamorarsi, per non perdere la testa nei momenti di particolare pressione, allora i presupposti sono buoni. E con questo, non vuol dire diventare apatico e asciutto, anzi, tutt'altro: in certe occasioni e in certi luoghi, ci si accorge di quanto valore abbia la vita, proprio perché vale poco o niente. Purtroppo (e “per fortuna”), il lavoro non manca mai per un Reporter che sceglie questo tipo di lavoro, e di farlo “senza paracadute”. E' certamente noto che nel mondo vi siano guerre che continuano da decenni, altre scoppiate da “pochi” anni, e tutte ancora in corso e senza che si veda uno spiraglio di pace. Altrove si scorgono segnali di pace, ma il condizionale è d'obbligo, visto che gli esempi del passato sono numerosi, su come una situazione volta al meglio, possa essere ribaltata in una crisi interna o internazionale. Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Sudan, Libia, Nagorno-Karabakh, conflitto israelo-palestinese, Centro America, e si potrebbe continuare a lungo. Grandi masse che si spostano, migrazioni, il tutto in una situazione di pandemia conclamata. In effetti, a pensarci, stiamo vivendo un periodo che non ha precedenti, ed esserne testimone, non solo come Reporter, ha anche una sua attrazione adrenalinica, mista a buone speranze di cooperazione, convivenza e sviluppo, anche se quasi certi che, per come conosciamo la natura umana, il lavoro non mancherà mai... Per questo servono anche giovani che possano intraprendere questo lavoro: perché ci sarà sempre bisogno di testimoniare la verità.

  • Chernobyl - Allarme per risveglio del reattore 4

    (Redazione Assadakah) - Allarme per una probabile ripresa dell'attività radioattiva nel reattore n.4 della centrale nucleare di Chernobyl, quella del terrificante incidente del 1986, di cui da poco si sono ricordate le vittime fra i primi soccorritori e vigili del fuoco, in una cerimonia pubblica. Come avviene di solito, quando in un barbecue apparentemente spento, alcuni piccoli tizzoni di brace riattivano il fuoco, così sta accadendo nel reattore di Chernobyl, a causa di alcune piccole masse di uranio, rimaste intrappolate all'interno dei guscio di cemento, per 35 anni. Secondo le segnalazioni dei sensori, è stato registrato un aumento delle reazioni per fissione, mentre ricercatori locali e internazionali che stanno attualmente cercando di capire se il fenomeno si esaurirà in autonomia o se sarà necessario un intervento dall'esterno per evitare un nuovo incidente. L'anomalia è il risultato del crescente numero di neutroni in arrivo da una delle stanze inaccessibili del reattore, e ciò sarebbe il segnale di una reazione in corso. La scarsa consapevolezza di quanto sta accadendo in questi giorni nel sito di Chernobyl è stata quindi espressa da Maxim Saveliev, ricercatore dell'Istituto per i problemi di sicurezza degli impianti nucleari di Kiev: "Ci sono molte incertezze, ma non possiamo escludere la possibilità di un incidente. Il conteggio dei neutroni aumenta lentamente". In base all'ultima ricostruzione messa a punto dagli esperti, alla base del sinistro fenomeno in corso a Chernobyl vi sarebbe il fatto che, quando si è sciolto il nucleo del reattore numero 4, le barre di uranio usate come combustibile, con tutto il loro rivestimento di zirconio, più le barre di grafite e la sabbia, si sono riversate, come lava, nella cantina dell'ingresso del reattore, dove si sono pietrificate. Solidificandosi, il tutto è divenuto una massa compatta in cui si trovano 170 tonnellate di uranio irradiato. Per via del contatto tra l'acqua piovana e tale blocco pietrificato, la prima tendeva normalmente a rallentare i neutroni, aumentando contestualmente la probabilità di uno scontro tra questi e l'uranio. Tale scontro generava altri neutroni a catena, innescando la fissione del nucleo dell'uranio e una momentanea riattivazione del reattore esploso 35 anni fa. In questi giorni, però, l'attività di quest'ultimo non accenna a fermarsi. La reazione di fissione, denunciano gli esperti, potrebbe accelerare anche in maniera vertiginosa, arrivando a rilasciare energia nucleare in modo non controllato. Le conseguenze del risveglio del reattore 4 di Chernobyl, anche se contenute e assolutamente non paragonabili a quelle del disastro del 1986, potrebbero comunque, a detta degli scienziati, fare crollare alcune sezioni non stabili dell'edificio, rilasciando polvere radioattiva nella nuova struttura di protezione realizzata intorno al cuore della vecchia centrale.

  • MeetMED: Sicurezza energetica per l'Africa Mediterranea

    Assadakah Roma - Ha preso il via la seconda fase del progetto meetMED (Mitigation Enabling Energy Transition in the MEDiterranean region) per migliorare la sicurezza energetica di Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina e Tunisia e promuovere la transizione energetica di questi Paesi verso un'economia a basse emissioni di carbonio. Finanziato dall'Unione europea con 5 milioni di euro, il progetto e' sviluppato dall'Associazione delle agenzie nazionali di energie rinnovabili ed efficienza energetica dei Paesi del Mediterraneo (MEDENER), presieduta da ENEA, e dal Centro regionale per le energie rinnovabili e l'efficienza energetica con sede al Cairo (RCREEE). MEDENER e' una delle tre piattaforme create nell'ambito dell'Unione per il Mediterraneo (UPM) per rafforzare la cooperazione energetica euro-mediterranea del mercato elettrico, del gas naturale e dell'energia rinnovabile e dell'efficienza energetica. Riunisce dodici agenzie nazionali di altrettanti Pa esi dell'area mediterranea: ADEME (Francia), ADENE (Portogallo), ALMEE (Libano), AMEE (Marocco), ANME (Tunisia), APRUE (Algeria), CRES (Grecia), ENEA (Italia), EWA (Malta), IDAE (Spagna), NERC (Siria), NERC (Giordania). Attuale presidente e' Giorgio Graditi, Direttore del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell'ENEA. Sviluppato sulla base dei risultati raggiunti nel corso della prima fase (2018-2020), MeetMED II si propone di dare vita a contesti socioeconomici piu' stabili ed efficienti nei Paesi coinvolti, in grado di garantire una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici. Le attivita', che proseguiranno fino al 2024, mirano a rafforzare l'attuazione delle misure di efficienza energetica e a migliorare il mix energetico, concentrandosi in particolare nei settori dell'edilizia e degli elettrodomestici, promuovendo la cooperazione regionale. (fonte Dire)

  • Siria - Giunto secondo carico di vaccini dagli UAE

    Assadakah Beirut - Il primo carico di vaccini dagli UAE era giunto a Damasco lo scorso 9 aprile. Nei mesi scorsi gli Emirati Arabi Uniti hanno riallacciato formali relazioni col governo siriano dopo anni di gelo a causa del conflitto armato in corso in Siria, che ha ucciso oltre mezzo milione di persone. La Mezzaluna Rossa degli Emirati Arabi Uniti ha inviato un secondo carico di vaccini anti-Covid al governo siriano, come riferisce oggi l'agenzia governativa Sana. Non vengono precisati né il tipo di vaccino né il numero di dosi. Gli Emirati, che vantano uno dei più alti tassi di cittadini vaccinati in tutto il Medio Oriente, hanno offerto a diversi Paesi africani e asiatici di donare dosi di vaccino come strumento per rafforzare ed espandere la propria influenza politica e culturale.

  • Quando le guerre non portano a niente, bisogna cercare altre vie

    Talal Khrais – Ci sono segnali di pace in Medio Oriente, dopo guerre che durano anni portando lutti e distruzioni e crolli economici. Nessuno può vincere in guerra, solo la pace porta sviluppo ed occupazione. Sono passati più di cinque anni da quando è iniziata una guerra distruttiva fra Arabia Saudita e Yemen, risultato zero. Solo distruzione, e ora sembra qualche cosa si muova positivamente, i Paesi coinvolti nei conflitti direttamente o indirettamente decidono di sedere in torno ad un tavolo e discutere. "Sicuramente la ripresa di un dialogo fra Iran e Stati Uniti - ha spiegato il vice ministro degli esteri Marina Sereni - avrebbe un impatto positivo su tutti i contesti di crisi regionali, dallo Yemen alle tensioni nel Golfo, dalla Siria all'Iraq. Nell'area si registrano peraltro segnali incoraggianti, che lasciano intravedere possibili e nuove prospettive di dialogo, come la riconciliazione nel Consiglio di Cooperazione del Golfo e gli Accordi di Abramo. Così come osserviamo interessante tentativi di dialogo tra l'Iran e i Paesi del Golfo. Stabilità geopolitica, gestione sostenibile delle risorse, libertà e sicurezza del commercio e della navigazione, senza dimenticare la necessità di rispondere assieme alle sfide globali, a partire dalla pandemia, rappresentano interessi condivisi e obiettivi per tutti. In questo contesto - ha concluso Sereni - un pieno ritorno all'Accordo sul Nucleare sarebbe un'iniezione di fiducia estremamente importante per il futuro dell'area mediorientale". La Turchia ha intenzione di portare a termine il processo di normalizzazione delle relazioni con l'Egitto. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, nel commentare il primo giorno di incontri tra delegazioni che ha avuto luogo al Cairo. "Continueremo a incontrarci e a dialogare per portare a termine il processo di normalizzazione in corso", ha detto il capo della diplomazia di Ankara, "gli incontri di ieri e oggi si sono svolti in un'atmosfera positiva. Sono stati trattati temi di comune interesse, come Libia, Siria, Iraq e Mediterraneo orientale. Tutti ambiti in cui con l'Egitto può essere portata avanti una collaborazione importante". Il 6 maggio una delegazione turca si è recata nella capitale egiziana per due giorni di incontri di alto livello. A capo della delegazione turca c'è il vice ministro degli Esteri, Sedat Onal; dall'altra parte l'omologo Hamdi Sanad Loza. Le relazioni tra i due Paesi furono interrotte in seguito al colpo di Stato che nell'estate del 2013 portò al potere il generale Abdelfettah Al Sisi, rovesciando il governo dei Fratelli Musulmani guidato da Mohamed Morsi, assai vicino al presidente Recep Tayyip Erdogan. Nei mesi seguenti Erdogan non risparmiò feroci critiche e attacchi nei confronti di Al Sisi, ai quali seguì l'interruzione dei contatti diplomatici attraverso l'espulsione dei rispettivi ambasciatori. I contatti sono ripresi ufficialmente a marzo, nell'ambito dei colloqui in corso tra diversi attori per trovare una soluzione alla crisi nel Mediterraneo Orientale. Il vicepremier e ministro degli Esteri iracheno Fuad Hussein, che ha appena concluso una visita di 4 giorni in Italia, conferma ufficialmente, in un'intervista a Repubblica, che il governo dell'Iraq ha avuto un ruolo decisivo nel promuovere i negoziati segreti che sono iniziati a Baghdad fra Iran e Arabia Saudita. "La domanda che ci facevamo da mesi nel governo iracheno - spiega - era questa: perché l'Iraq deve pagare per uno scontro regionale così generalizzato? Perché l'Iraq è al centro di questo scontro? Quando analizziamo i conflitti nella società irachena vediamo che quasi tutti hanno una ragione esterna. E allora per risolvere i conflitti all'interno dell'Iraq dobbiamo affrontare i problemi alla radice, nella regione. Abbiamo iniziato a viaggiare nelle capitali. Sono andato a Teheran molte volte, ho avuto incontri con il mio collega ministro Zarif, ma anche con altre personalità della loro leadership". "Con il primo ministro Al Khadimi - ricorda - siamo volati a Riad, abbiamo incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman e lui ha dato il suo appoggio al dialogo. Adesso i colloqui sono iniziati: speriamo che siano produttivi e che il livello possa salire". Quanto al negoziato tra Iran e Stati Uniti, Hussein sottolinea che "lo stato dell'equilibrio fra Iran e Usa, il loro conflitto ha effetti diretti su di noi. Parte del loro conflitto si riflette sulla società irachena. A volte si affrontano direttamente sul terreno iracheno: noi diventiamo vittime di questa dinamica. Il conflitto fra Usa e Iran ci danneggia, è doloroso dirlo ma lo scontro si riflette sulla società, sulla vita del mio Paese". In vista di un riavvio dei negoziati di pace con Israele' il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ha incontrato alla Farnesina il collega palestinese, Riad Malki. Di Maio ha innanzitutto sottolineato l'importanza del processo elettorale e della riconciliazione palestinesi per il consolidamento delle istituzioni e in vista di un auspicato riavvio dei negoziati di pace con Israele. Lo rende noto un comunicato. Il ministro ha auspicato un rafforzamento delle relazioni economico-commerciali e ricordato con soddisfazione, conclude il comunicato, l'impegno della cooperazione allo sviluppo italiana a favore della popolazione palestinese.

  • Mansa Musa è stato realmente il più ricco di sempre?

    Mari Antonietta Marino - Negli ultimi anni si assiste in occidente alla riscoperta da parte di un pubblico sempre più ampio dei grandi regni dell’Africa subsahariana. Studi accademici e mostre nei musei, ultima una grande mostra americana (Caravans of Gold, Fragments in Time) dispiegata in tre musei e durata quasi due anni, mostrano come l’Africa abbia vissuto periodi di grande splendore. La mitica figura di Mansa Musa s’incontra ormai negli ambiti più disparati, dai libri per bambini alle canzoni rap più ribelli. In Africa invece le storie dell’impero del Mali sono sempre state vive, e lo sono tuttora, nella tradizione orale portata avanti dai griot, cantori che da tempi immemori tramandano le storie dei popoli dell’Africa occidentale. Mansa Kankan Musa I (1280-1337), personaggio storico e leggendario allo stesso tempo, fu il più celebre re del Mali quando questo, nel XIV sec. era il più grande regno dell’Africa subsahariana. Da alcuni viene considerato l’uomo più facoltoso di tutti i tempi poiché in effetti aveva accesso alle miniere d’oro più ricche dell’epoca. Le carovane che in epoca medievale attraversavano il Sahara commerciavano principalmente in oro e sale, due preziosi materiali che sono stati alla base degli scambi transahariani per secoli. L’Africa, e in particolare la fascia subsahariana (l’antico Sudan o sahel) occidentale, è stata per un lungo periodo la fonte primaria dell’oro del mondo arabo e non solo. I duemila denari d’oro che nell’XI sec. Alfonso VI di Castiglia donava annualmente all’abbazia di Cluny erano con ogni probabilità realizzati con oro africano. L’impero del Mali, che all’epoca si allungava per 2000 km dall’alto corso del Niger fino alle sponde dell’Atlantico, basò la sua prosperità proprio sull’esportazione del prezioso minerale. Le sue riserve e miniere d’oro, prima Bambouk (oggi in Senegal) e poi Bure (in Guinea), erano tenute segrete e alimentavano leggende di ricchezze inimmaginabili. Tale era la fama di Mansa Musa che nel XIV secolo il cartografo spagnolo Abraham Cresques nel suo Atlante Catalano (oggi alla Bibliothèque Nationale de France, Parigi) raffigura Mansa Musa con in mano un globo d’oro, probabilmente un’enorme pepita. Nel 1324 Mansa Musa partì per compiere, da devoto musulmano qual’era, il pellegrinaggio alla Mecca. La carovana che lo accompagnava contava decine di migliaia di uomini e cammelli carichi d’oro e si perdeva a vista d’occhio. Lo spettacolo doveva essere strabiliante. Anche volendo ribassare stime forse esagerate, la quantità d’oro che fu mossa in quell’occasione fu eccezionale. La lunga via del pellegrinaggio passava per l’Egitto mamelucco e l’incontro di Mansa Musa con il sultano al-Malik an-Nasir Muhammad ibn Qalawun è riportato dallo storico siriano Ibn Fadlallah al-Umari. Il Cairo era all’epoca una delle città più ricche del mondo musulmano e uno dei centri commerciali più importanti al mondo. Lo storico racconta che al suo passaggio in città Mansa Musa distribuì talmente tanto oro che il suo valore crollò producendo un’inflazione rovinosa che afflisse l’economia cairota per circa un decennio. Come ricorda l’autore, per anni gli abitanti del Cairo raccontarono l’incredibile storia della visita di Mansa Musa. La storia del re del Mali dimostra quanto l’Africa subsahariana fosse parte integrante del mondo arabo nordafricano. Rettifica anche una percezione distorta che vede troppo spesso l’Africa subsahariana principalmente un mercato di schiavi. Per secoli l’Africa è stata invece la fonte del metallo più prezioso al mondo: le sue miniere hanno foraggiato grandi imperi come quello del Mali e permesso di creare quel dinaro d’oro che fu alla base dell’economia del medioevo islamico. Purtroppo la visione coloniale ha fatto passare l’idea aberrante che in Africa, come altrove, ci fosse bisogno di un padrone occidentale per gestirne le risorse, in particolare quelle minerarie. Mansa Musa avrebbe avuto certamente qualcosa da ridire.

  • Terminato incontro Di Maio-Al-Maliki

    Roma - Si è appena concluso l'incontro del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio con il suo omologo palestinese Riyad Al-Maliki. L'ambasciatore della Palestina a Roma Abeer Odeh ha descritto l'incontro alla "National News Agency" come segue: "È stato un incontro amichevole, e il focus era sulle violazioni israeliane della città occupata di Gerusalemme, la profanazione di Al-Aqsa, l'aumento nell'attività di insediamento nell'area di Gerusalemme e nella Valle del Giordano e nella prevenzione delle elezioni palestinesi nella città occupata di Gerusalemme ". Ha sottolineato che "l'Italia è tra i Paesi che sostengono il popolo palestinese a tutti i livelli".

  • Roma – Ministro degli Esteri iracheno: da Italia e Vaticano sostegno e mediazione per sblocco fondi

    Talal Khrais (roma) - Si è conclusa la visita in Italia e in Vaticano del vice premier e ministro degli Esteri dell'Iraq, Fuad Hussein, con una affollata conferenza stampa a Roma. L'Italia e papa Francesco hanno fornito sostegno alla mediazione tra storici rivali regionali, come Arabia Saudita e Iran, nella quale l'Iraq ha svolto un ruolo decisivo. Lo ha confermato alla conferenza il titolare del ministero degli Affari Esteri dell'Iraq, Fuad Hussein, durante un incontro con la stampa italiana, a margine della visita tenuta in questi giorni a Roma. Il ministro ha sottolineato il cambiamento registrato a livello regionale con i recenti contatti fra Teheran e Washington, incentrati in particolare sull'accordo sul nucleare iraniano stipulato a Vienna, e sono sintomatici di un cambiamento nelle politiche dell'amministrazione statunitense, con l'avvento alla presidenza di Joe Biden. Sono in corso anche altri contatti tra diversi Stati della regione, non ancora annunciati, ha proseguito. L'Iraq ha giocato un ruolo fondamentale in questi contatti perché tali conflitti "hanno avuto un impatto sulla situazione politica irachena": per poter gestire i conflitti interni è stato necessario gestire i conflitti esterni, ha sottolineato. Questi movimenti sono "negli interessi iracheni: abbiamo bisogno di stabilità nel Paese e stabilità regionale", ha sottolineato. "L'Iraq è stato in guerra con sé stesso e con altri per 50 anni", ha aggiunto. "C’è stato un embargo internazionale, dal 1991 al 2003", ha aggiunto, le guerre e l'embargo hanno distrutto le infrastrutture" del Paese. L'Italia può svolgere un ruolo importante nella ricostruzione dell'Iraq. Ha detto il Ministro durante l’incontro con la stampa. La politica economica irachena attualmente si basa sulla diversificazione delle risorse, vista la forte dipendenza, "per il 90 per cento", dai ricavi del petrolio, ha detto Hussein. L'Iraq era "un Paese agricolo" e la visione dell'Iraq oggi riguarda "la ricostruzione del settore". "L'Iraq era un Paese turistico, soprattutto per quanto riguarda il turismo religioso", ha sottolineato Hussein. "L'Iraq è un Paese di gas, non solo petrolifero", ha proseguito. "Molte compagnie hanno cominciato a lavorare per sfruttare il gas naturale per uso interno e, per il futuro, anche per esportarlo", ha aggiunto. "Abbiamo bisogno di industrie petrolchimiche. L'Iraq ha bisogno di ferrovie, strade, porti, dighe, elettricità", ha detto il ministro, sottolineando che "l'economia irachena è promettente e aperta al futuro". Il governo iracheno ha deciso di permettere ai cittadini dell'Unione europea (Ue) di ottenere i visti di ingresso in Iraq direttamente all'arrivo nel Paese. La decisione coinvolge anche i cittadini di Usa, Canada, Australia, Russia, Cina, Giappone e Corea del Sud. Scopo della decisione è “incoraggiare gli investimenti e il turismo", ha proseguito. "È anche un passo in avanti per uscire dall'isolamento in cui il Paese ha vissuto per tanto tempo", ha sottolineato. Il ministro degli Esteri dell'Iraq, Fuad Hussein, ha ringraziato il parlamento, il popolo, il governo e le istituzioni italiane per aver presentato il loro aiuto nello sconfiggere lo Stato islamico (Is). Hussein lo ha detto oggi incontrando la stampa italiana, a margine della visita tenuta in questi giorni a Roma. "Lo Stato di Daesh è crollato", ha sottolineato. Tuttavia "l'ideologia di Daesh continua a essere presente": l'Is non è infatti solo un'organizzazione terroristica, militare, strutturata, ma anche "un sistema di pensiero" che gode ancora di seguito nella società. Il pericolo di Daesh è ancora esistente ma non è comparabile a quello di qualche anno fa, ha aggiunto, citando a riprova di ciò la storica visita degli scorsi 5-8 marzo di papa Francesco, che "ha potuto visitare molti luoghi in Iraq". Poi il Ministro ha toccato una questione non di poco conto lo sblocco di 90 milioni euro congelati in Italia e il business tra i due Paesi. "Molte aziende italiane operano in Iraq, ci sono ampie possibilità di investimenti", ma "ci sono alcuni problemi risalenti ai tempi di Saddam: l'Iraq acquistò armi e forniture" da Leonardo e Fincantieri, "che ha pagato, ma a causa dell'embargo del 1991 non le abbiamo mai ricevute. Si tratta di 60 milioni di euro congelati nelle banche italiane con gli interessi", e di "30 milioni di conti correnti" dell'ambasciata e altri funzionari. Lo ha detto il vicepremier e il ministro degli esteri iracheno Fuad Hussein a Roma. "Sono in corso trattative" per sbloccare la situazione, "il ministro Di Maio si è impegnato a far avanzare la questione", ha aggiunto. "Dopo il 2003 l'embargo che aveva colpito il regime di Saddam Hussein sono state tolte e l'Iraq è tornato a essere un Paese sovrano", ha spiegato l'ambasciatrice irachena in Italia, Safia Taleb al Souhail.

  • سفيرة فلسطين في روما للوطنية: المالكي يلتقي اليوم مسؤولين في روما والفاتيكان

    وطنية - روما - أكدت سفيرة دولة فلسطين في روما عبير عودة أن "وزير خارجية دولة فلسطين رياض المالكي سيصل روما اليوم". وقالت لـ"لوكالة الوطنية للإعلام": "إن المالكي سيلتقي نظيره الإيطالي لويجي دي مايو ووزير خارجية الفاتيكان المطران بول ريتشارد غالاغر وانه سيطلعهما على الأوضاع في فلسطين المحتلة وممارسات الاحتلال من قمع وتدمير وانتهاكات القوانين والأعراف الدولية والتوسع الاستيطاني الذي طال الأغوار الشمالية وضواحي القدس كما سيكون لمعاليه لقاء منظمة فرسان مالطا". أضافت: "سيزور المالكي إيطاليا قادما من موسكو في إطار جولة أوروبية تشمل أيضا روما والفاتيكان وأنقرة. وسيبحث خلال جولته علاقة دولة فلسطين بهذه الدول، ويشرح الأوضاع الصعبة التي تمر بها الأرض الفلسطينية خصوصا ما تتعرض له عاصمة دولة فلسطين القدس الشريف من اعتداءات متكررة تطال الأماكن المقدسة. كذلك، سيشرح المالكي الأسباب التي أدت إلى اتخاذ القيادة الفلسطينية قرارها بتأجيل عقد الانتخابات الفلسطينية، وحملة التنكيل والقمع الشرسة التي تمارسها قوات الاحتلال ضد الفلسطينيين في بلدات وقرى جنوب وجنوب - غرب نابلس هذه الأيام". ====إ.غ.

  • Europarlamentari insieme per il rilascio dei prigionieri armeni

    Talal Khrais - Assadakah ringrazia gli eurodeputati per l'appello indirizzato alla presidente del Consiglio Europeo, Ursula von der Leyen, e della Commissione Europea, Charles Michel, relativo alla richiesta inoltrata alle autorità dell'Azerbaijan per il rilascio dei prigionieri armeni ancora deteniti. L'Unione europea deve usare tutti i mezzi a sua disposizione per chiedere all'Azerbaijan di liberare e far tornare nel loro Paese tutti i prigionieri armeni, come previsto dall'accordo di cessate il fuoco entrato in vigore il 10 novembre 2020. Lo chiedono oltre 100 eurodeputati di alcuni tra i principali gruppi politici del Parlamento Ue in una lettera inviata ai presidenti della Commissione Ue e del Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Charles Michel. "È difficile dire quanti armeni siano ancora detenuti dall'Azerbaijan", scrivono gli eurodeputati, denunciando che "si stanno accumulando prove inconfutabili che numerosi prigionieri di guerra sono vittime di tortura" e che "esistono casi ben documentati di esecuzioni sommarie". L'Armenia "un paese amico dell'Europa, ha già pagato un prezzo altissimo nel conflitto con l'Azerbaijan", e "l'Unione europea non può lasciarla, più a lungo, in questa situazione insopportabile", indicano gli eurodeputati. Tra i firmatari della missiva, anche gli italiani Fabio Massimo Castaldo (M5S), Rossana Conte, Marco Dreosto, Marco Zanni, Gianna Gancia (Lega), Antonio Tajani, Massimiliano Salini, Fulvio Martusciello (Forza Italia), Carlo Fidanza (Fratelli d'Italia). "È difficile dire quanti armeni siano ancora detenuti dall'Azerbaijan", scrivono gli eurodeputati, denunciando che "si stanno accumulando prove inconfutabili che numerosi prigionieri di guerra sono vittime di tortura" e che "esistono casi ben documentati di esecuzioni sommarie". L'Armenia "un paese amico dell'Europa, ha già pagato un prezzo altissimo nel conflitto con l'Azerbaijan", e "l'Unione europea non può lasciarla, più a lungo, in questa situazione insopportabile", indicano gli eurodeputati. Assadakah Associazione Italo Araba ringrazia gli eurodeputati per il coraggioso gesto umanitaria nei confronti del martoriato popolo armeno vittima di una aggressione.

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