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  • Iraq – Barham Salih: “Soluzioni di pace per un nuovo Medio Oriente”

    Assadakah Baghdad - L'Iraq ha ospitato più di un round di colloqui fra Arabia Saudita e Iran, ha dichiarato il presidente iracheno Barham Salih, il quale ha fatto le sue osservazioni durante un'intervista trasmessa in diretta online con il think tank del Beirut Institute. I diplomatici sperano che l'apertura di canali diretti fra Teheran e Riyadh segnerà un allentamento delle tensioni in Medio Oriente dopo anni di ostilità che hanno portato la regione vicino a un conflitto su vasta scala. Baghdad ha ospitato i colloqui fra funzionari dei suoi due vicini il 9 aprile, nell'unico round di colloqui precedentemente segnalato. Alla domanda su quanti round di colloqui sauditi-iraniani in Iraq avesse ospitato, Salih ha risposto: “Più di una volta, ma ciò che conta sono i colloqui in corso. E' importante ed è significativo, e per l'Iraq essere in grado di svolgere quel ruolo di convocazione fra questi attori regionali è decisivo”. Washington e Teheran si sono impegnati in colloqui indiretti a Vienna che hanno cercato di rilanciare il patto internazionale del 2015, limitativo per le ambizioni nucleari dell'Iran in cambio di un sollievo dalle sanzioni. L'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ritirato gli USA l'accordo nel 2018 e imposto dure sanzioni all'Iran e ai suoi alleati regionali, aumentando la tensione, mentre le milizie sostenute dall'Iran hanno attaccato le forze statunitensi in Iraq e altri attacchi hanno colpito installazioni petrolifere e le navi nel Golfo. L'uccisione del generale Qassem Soleimani in un attacco aereo statunitense a Baghdad nel gennaio 2020 ha portato la regione vicino alla guerra. L'Iran ha risposto con attacchi mirati, ma non ha intrapreso ulteriori azioni. l'Iraq spera in una distensione regionale che consenta al Paese di ricostruirsi, invece di essere usato come arena per il regolamento dei conti per procura, e sta cercando di affrontare i tentativi di restaurazione dello Stato Islamico, islamista sunnita della linea dura che ha conquistato 1/3 dell'Iraq nel 2014 ed è stato poi sconfitto nel 2017 dalle forze statunitensi, dai militari iracheni, dai combattenti curdi e formazioni paramilitari allineati con l'Iran. "La guerra contro l'Isis e il terrorismo non può essere vinta solo con mezzi militari", ha detto Salih. "Siamo riusciti a liberare la nostra terra con l'aiuto dei nostri amici, ma il terrorismo rimane, ed è un impegno che richiede l'impegno di tutti".

  • Armenia - “Pronti a cooperare per le questioni umanitarie”

    Assadakah Yerevan - La portavoce del ministero degli Esteri dell'Armenia, Anna Naghdalyan, ha commentato la dichiarazione del 5 maggio dei copresidenti del Gruppo di Minsk-OSCE. Secondo i rapporti diffusi da ArmenPress, Anna Naghdalyan ha sottolineato che l'Armenia ha pienamente attuato i suoi impegni in linea con l'8° punto della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre e ha rimpatriato tutti prigionieri di guerra azeri. “L'Armenia ha pienamente attuato i suoi impegni e ha rilasciato tutti i prigionieri di guerra azeri, compresi i due condannati per l'omicidio di un minore nel 2014”. La crescente pressione di vari paesi e organizzazioni internazionali contro l'Azerbaigian mostra che si sta formando un consenso della comunità internazionale sul rimpatrio immediato dei prigionieri di guerra e degli ostaggi armeni in linea con le richieste del diritto internazionale umanitario. Riguardo le accuse da parte azera per non aver fornito informazioni sulle persone scomparse durante la prima guerra dell'Artsakh e sulla disposizione dei campi minati, Anna Naghdalyan ha commentato: “Alla luce della crescente pressione internazionale per liberare gli ostaggi, l'Azerbaijan sta cercando di portare avanti falsi programmi per trovare una scusa per gli obblighi umanitari non attuati. L'Armenia è sempre pronta a cooperare con i suoi partner internazionali per risolvere le questioni umanitarie”.

  • Jerusalem Day - Michel Aoun: "Non c'è pace senza giustizia"

    Assadakah Beirut - In occasione del Jerusalem Day, il presidente della Repubblica, il generale Michel Aoun, ha espresso la seguente dichiarazione ufficiale: “Gerusalemme sta sanguinando di nuovo, e continuerà a sanguinare finché prevarrà il principio della forza, dello sfollamento e della privazione dei diritti. Un principio che si basa sulla protezione internazionale e infrange le risoluzioni dell'Onu senza deterrenza o responsabilità. Se l'obiettivo è la pace, che tutti, soprattutto la comunità internazionale, ricordino: non c'è pace senza giustizia, né giustizia senza rispetto dei diritti”.

  • Archeologia – Scoperte eccezionali in Kenya e Italia

    Talal Khrais - Scoperti i resti di un bimbo vissuto circa 78mila anni fa, sepolto in una grotta adagiato su un cuscino di foglie nel Kenya sud-orientale, non lontano dalla coste dell'Oceano Indiano. Il ritrovamento è stato effettuato da un gruppo internazionale di ricercatori, tra i quali un italiano, l'archeologo foggiano Francesco d'Errico. Si tratta del ritrovamento di una sepoltura più antico della storia dell'Africa. Gli studiosi hanno ribattezzato il bambino Mtoto, una parola che in lingua Swahili, la più diffusa nella zona della scoperta, significa “il bambino”. In un rapporto pubblicato sulla rivista scientifica britannica “Nature”, i ricercatori hanno spiegato che il corpo, trasportato per intero in laboratorio per analisi approfondite, era stato adagiato nella fossa in posizione fetale e adagiato su un letto di foglie che si è decomposto con l'andare dei secoli. L'età del bambino, deceduto a due o al massimo tre anni, è stata identificata a partire dall'analisi dei resti dei denti. Stando a quanto riferito alla BBC dalla direttrice del Centro Nacional de Investigacion Sobre la Evolucion Humana (Cenieh), Maria Martinon-Torres, che ha partecipato allo studio, a colpire in modo particolare i ricercatori è stata la sensazione che "c'erano una delicatezza e un'intenzione che esprimono veramente dei sentimenti verso il bambino", come, ipotizza Matinon-Torres, "dolore o forse il non voler lasciarlo andare". Il ritrovamento di Mtoto ripropone la datazione più indietro di almeno 4mila anni circa la scoperta della sepoltura più antica in Africa. Resti funerari precedenti, come riporta il portale di “National Geographic”, erano stati trovati in Europa e in Medio Oriente. Inoltre, due tratti di strada basolata romana, probabilmente appartenenti all'antica via Clodia, strada consolare che collegava Roma con i centri dell'Etruria interna, sono venuti alla luce ad Anguillara Sabazia, nel corso dei lavori per l'estensione della rete Italgas. La scoperta è emersa nei giorni scorsi grazie alla collaborazione fra Italgas e la Sovrintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma, Provincia di Viterbo ed Etruria Meridionale, sotto la cui direzione scientifica gli archeologi, secondo una consolidata prassi operativa, hanno seguito costantemente i lavori di scavo. Il ritrovamento è avvenuto su via della Mainella, a circa un metro di profondità sotto la strada attuale, non lontano da un altro lungo tratto dell'antica via Clodia conservato poche centinaia di metri più a ovest, in località Cancelli, e documentato già dalla fine dell'Ottocento. Una prima parte del tracciato stradale, lunga circa 25 metri, è stata rinvenuta sotto la carreggiata moderna nella parte settentrionale e si presenta in ottimo stato di conservazione. Sul basolato, infatti, sono ancora visibili i solchi lasciati dalle ruote dei carri nel corso dei secoli. Una seconda porzione di strada, affiorata più a ovest, al momento é visibile solo parzialmente e sarà oggetto di studio nei prossimi giorni. Secondo il team di studiosi, la larghezza dell'antica strada era di circa quattro metri e mezzo. Il passaggio della via Clodia in quest'area era stato già ipotizzato sulla base di dati storici e archeologici. “Il rinvenimento di questi due ulteriori tratti - commenta la Sovrintendente Margherita Eichberg - contribuisce a fare luce su quale fosse il suo esatto tracciato, andando ad aggiungere un ulteriore importante tassello alla conoscenza della viabilità antica e ad arricchire il variegato panorama dei beni culturali di Anguillara Sabazia”.

  • Talal Khrais: un reporter in prima linea

    Paola Angelini-L’undicesima edizione del premio internazionale “Marzani”, organizzato dall’associazione Campania Europa Mediterraneo con il patrocinio della Presidenza della Camera dei deputati, del ministero degli Esteri, della Regione Campania, dell’Ordine dei giornalisti, dell’Università del Sannio, della Camera di commercio di Benevento e del Comune di San Giorgio, si è conclusa nella cittadina di San Giorgio del Sannio. premio internazionale “Marzani” Talal Khrais un reporter in prima linea con Ibrahim Farhat. foto Assadakah Tra i premiati Ibrahim Farhat, presidente TV Al Manar Libano, accompagnato da Talal Khrais, Responsabile della politica estera di Assadakah Onlus Associazione Italo-Araba e direttore, dal 1995, della sede Al Manar Italia. A Talal Khrais il premio Grand reporter di guerra: lavora da molti anni come inviato di Al-Manar TV per la quale analizza la politica internazionale. Mesi di missioni lo hanno portato e riportato nelle zone di guerra, dal 2011 al 2018, in Siria. Reporter di quella orribile guerra, di quel dramma spesso dimenticato. Pensare che fino a 7 anni fa la Siria era uno dei paesi più stabili dell’area Medio Orientale. Di origine libanese, dal 1986 Talal Khrais è corrispondente anche del quotidiano Assafir. In questi ultimi anni ha lavorato in 38 Paesi, con i colleghi di 84 diverse nazionalità ha condiviso intere giornate, con la prospettiva di restituire notizie e non chiudere gli occhi davanti al conflitto che ha cambiato gli equilibri dell’area Medio Orientale. Quella guerra si deve raccontare: bisogna essere capaci di dare un volto alla sofferenza, visto che le conseguenze del conflitto siriano hanno ripercussioni globali. Nel 1994, a Roma fu costituita, su sua ispirazione e impulso, la prima storica “Assadakah”. Oggi è responsabile della politica estera per Assadakah Onlus Associazione Italo-Araba, e si è prodigato per oltre un ventennio nel promuovere nobili iniziative dell’Associazione, ottenendo riconoscimenti e benemerenze in tutto il mondo, lavorando in stretto rapporto con la stampa estera. Assadakah può fieramente dichiarare di aver assicurato l’incolumità di tutti giornalisti, della RAI e non, che hanno operato in Siria, e di raccogliere e diffondere le notizie delle missioni militari italiane all’estero. È questa, oggi, l’unica Assadakah esistente e operativa, nonostante varie omonimie, riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo, di cui Talal Khrais è sempre riferimento qualificato e qualificante. Le sedi di Assadakah Onlus Associazione Italo-Araba, che continua a mantenere un altissimo livello di informazione e di gestione dei rapporti culturali e politici, sono a Roma, in Libano, in Giordania, in Libia, in Siria, nella Repubblica Islamica dell’Iran, in Oman. Assadakah Onlus Associazione Italo-Araba è una voce diversa rispetto a quelle che correntemente raccontano le vicende Medio Orientali, una voce che favorisce il confronto. La cerimonia del premio internazionale “Marzani” è stata preceduta da un dibattito dal titolo “Medio Oriente, Nord Africa e Mediterraneo nell’era di Trump e di Putin”. Giornalisti e scrittori internazionali hanno raccontato i problemi politici e sociali, e hanno ricordato i giornalisti arabi che vivono la guerra in prima linea. L’evento integra le iniziative culturali che durante l’anno si susseguono tra presentazione di libri, rappresentazioni teatrali e musicali, cinema. A Ibrahim Farhat va il premio giornalistico dedicato ai giornalisti martiri in Siria della TV libanese. Talal e Farhat hanno dedicato i premi ai familiari dei martiri caduti in guerra. Farhat ha ricordato i caduti in Siria, e il martirio dei colleghi giornalisti di Al Manar: “Ricordo questi colleghi che prima di andare a Maaloula hanno pregato in moschea, hanno salutato da combattenti la statua della Madonna, assicurando che la città cristiana di Maaloula sarebbe stata libera dai terroristi. martiri a Maaloula foto Assadakah Negli ultimi sette anni i reporter di Al Manar hanno combattuto in prima linea per raccontare la verità e per dire cose che altri non hanno detto, e per arrivare dove altri si sono fermati”. Hamza Haj Hassan, Mohamad Mantash, con il cameraman Halim Allaw, nel 2014 venivano uccisi da un gruppo di terroristi del Fronte Annusra, mentre i combattenti di Hezbollah liberavano la città di Maaloula dai terroristi. Ibrahim Farhat, Presidente del Consiglio di Amministrazione della TV Al Manar, importante caposaldo dell’informazione indipendente in Medio Oriente schierato con la resistenza libanese, non ha mai smesso di trasmettere, neanche durante il duro bombardamento israeliano di Beirut, nel 2006. La TV Al Manar continua a rimanere in prima linea con 30 milioni di spettatori in tutto il mondo. Sono intervenuti alla cerimonia del premio internazionale Marzani, Pino Cabras giornalista eletto nella Commissione Esteri del Movimento 5 Stelle. Hamid Masoumi Nejad al premio internazionale “Marzani foto Assadakah Hamid Masoumi Nejad, giornalista televisivo della Repubblica Islamica dell’Iran reporter, scrittore, corrispondente da Roma per la radio e televisione pubblica iraniana (IRIB). Autore di due libri su storia, cultura e archeologia dell’Iran, in lingua italiana. Nel suo Paese ha trascorso la gioventù partecipando alla rivoluzione iraniana, e alla guerra imposta dal regime di Saddam Hussein contro l’Iran. In Italia si è trasferito in Italia per motivi di studio, successivamente, per svolgere l’attività di corrispondente per l’IRIB, è apprezzato per la sua spiccata capacità professionale e l’autentica passione per il giornalismo. Riservato ma anche curioso, svolge il suo lavoro orientando l’attenzione sulla verità. Leila El Houssi, scrittrice e docente di storia dei paesi islamici presso l’Università di Padova. Esperta di culture e questioni di genere del Mediterraneo in età contemporanea, in particolare dei rapporti intercorsi fra l’Italia, la Tunisia e gli altri paesi del Maghreb, ha pubblicato numerosi e apprezzati articoli su riviste nazionali e internazionali. La giornalista britannica free lance e inviata di guerra Shelly Kittelison, presente nei diversi teatri di guerra del Medio Oriente, ha dimostrato coraggio, conoscenza, e indipendenza che le consentono anche di realizzare interviste prestigiose effettuate a protagonisti delle varie fazioni religiose e dei numerosi nuclei etnici che si contrappongono nelle aree più calde del mondo. Enzo Parziale sindacalista e mediatore di pace; Antonio Cggiano capo struttura Rai Radio 2; Luca Aquino, trombettista e compositore è tra i musicisti di jazz italiani più apprezzati nel panorama internazionale; Manuela Giuliano, giornalista; Nicola Oddati, consigliere d’amministrazione della Scabec società della Regione Campania per la valorizzazione e promozione dei beni culturali, e docente universitario, autore di apprezzati libri. Gianfranco Di Fiore, scrittore, regista e sceneggiatore; Teresa Simeone giornalista, opinionista e scrittrice di illimitata passione civile. E molti altri.

  • Ambasciatore Al Khazen: “La Santa Sede supporta il Libano senza precondizioni”

    Talal Khrais (Nationale News Agency NNA) – Città del Vaticano – S.E. Farid El Khazen, ambasciatore del Libano presso la Santa Sede, in un’intervista all’Agenzia Nazionale dell’Informazione NNA, ha affermato che “il Vaticano, prima e dopo l’esplosione del porto, ha inviato al Libano degli aiuti. All’inizio ha inviato donazioni personale dal Santo Padre Papa Francesco poi sono stati inviati altri aiuti dallo Stato del Vaticano. Altri aiuti sono stati inviati anche tramite le associazioni che operano nel campo umanitario, in particolare la Caritas. Da parte sua l’Ambasciata ha intrapreso dei contatti con gli organismi interessati della Santa Sede, dopo la carenza, in Libano, di alcuni medicinali o l’aumento dei loro prezzi”. Ha poi aggiunto: “Per quanto riguarda la questione diplomatica, il Vaticano si muove su due linee: una direttamente attraverso il Nunzio Apostolico Libano che segue da vicino la situazione del Paese, e l’altra sostenendo qualsiasi iniziativa internazionale di di salvezza promossa dalla Francia.” Al Khazen ha sottolineato che: “il Vaticano non si preoccupa dei dettagli della politica quotidiana in Libano e non interferisce sugli affari politici interni”. Ha concluso dicendo: “Le recenti posizioni di Sua Santità sul Libano sono la prova migliore e riflettono la crescente preoccupazione del Vaticano alla luce dell’aggravarsi della crisi e del peggioramento delle condizioni di vita di persone, individui e gruppi”. (Traduzione Letizia Leonardi)

  • Talal Khrais: “Negli occhi della gente, la speranza e la volontà di rinascere”

    Prosegue il resoconto del caro amico e collega Talal Khrais, che si trova a Beirut, sua città natale: “Dopo quattro giorni sto ancora camminando per le strade della mia martoriata Beirut, e sono riuscito con grande difficoltà a scrivere a causa dello shock che ho subito vedendo la città della mia infanzia, della mia gioventù, completamente disastrata. Dal primo giorno, ho cominciato a piangere dimenticando che sono stato, come mi chiamano i colleghi, grande reporter che ha vissuto conflitti e guerre. Ho pianto vedendo tanta gente vicino alle loro case distrutte, famiglie che si rifiutano di lasciare il loro appartamento nonostante sia insicuro. Mi sono guardato intorno con le lacrime agli occhi: non ci sono più i quartieri di Beirut, la mia città di tanti colori, le scale di Gemayseh dove passavo insieme agli amici i momenti più belli della vita, gli alberghi della ‘dolce vita’ e le scuole. Beirut storica non c’è più. Ho camminato ancora verso via Nahre Ibrahim dove ho passato i momenti più belli della mia vita, nell’Associazione di Vahan Tekeyan e al quotidiano della diaspora armena ‘Zartounk’, dove ho iniziato a 16 anni il lavoro che svolgo ancora oggi. Li ho lavorato, ho studiato, ho incontrato il primo mio amore Araks. I danni sono enormi, guardavo il palazzo e non riuscivo a non piangere, e non riuscivo a capire se Vahan, il custode del Palazzo, stesse sorridendo o piangendo a sua volta:”Ce la faremo, vedrai. Siamo sopravvissuti a genocidi e guerre, bisogna fare qualcosa, non possiamo andare avanti in questo modo…”. Sono passati 34 giorni da quando la terribile esplosione di nitrato di ammonio al porto ha distrutto grande parte di Beirut storica, e molti palazzi che risalivano al XVII secolo. Quartieri che un tempo erano pieni di vita, ora sono cumuli di case inabitabili, brandelli di muri, finestre rotte. Sono 300mila i libanesi che non hanno un tetto sulla testa, rimasti senza casa, la maggioranza sono cristiani e armeni. Dove andrà tutta questa gente? Non c’è elettricità, né linea telefonica. Migliaia di porte non si chiudono. Non vogliono lasciare case pericolanti e non hanno fondi per ricostruire. È quasi impossibile, per la maggior parte dei residenti, finanziare la ricostruzione delle proprie case, poiché il Paese sta affrontando una crisi economica senza precedenti con un’inflazione alle stelle. Ma bisogna vedere l’altro lato della medaglia per sperare e credere alle parole di Vahan. Tutto il Libano, tranne il governo quasi inesistente è sceso in campo per sostenere i bisognosi che si sentono abbandonati dalla classe dirigente. Offrono le loro case, le chiese tutte le chiese sono aperte per ricevere gli sfollati. Arrivano ogni giorno aiuti medici, ospedali da campo temporanei, supporto umanitario e tecnico da molte zone del mondo e dall’Italia sempre presente in Libano. I primi due giorni non ho potuto apprezzare abbastanza l’operato dei volontari libanesi e non libanesi, che sono giovani, belli e umani, lavorano giorno e notte per sgombrare i detriti e ricostruire, utilizzano le tecnologie, un Call Center a Gemmayzeh per ricevere chiamate dove esiste una emergenza. La ricostruzione nelle loro mani. Migliaia di giovani lavorano in grande silenzio. Gestiscono la distribuzione del materiali di emergenza, garantiscono l’assistenza sanitaria portano gli aiuti alimentari ai bisognosi. I volontari si trovano ovunque nelle aree disastrate, aiutano a pulire le strade e le case. La maggior parte delle organizzazioni in campo mi hanno detto che tanti soldi vengono raccolti in loro nomi alla loro insaputa in Europa in Italia e che non deve essere strumentalizzata la loro tragedia. Il Libano non ha bisogno di soldi, ha bisogno di vetro e materiale di costruzione come infissi, materiale elettrico. Per questo. Ne ringraziare tutti i Paesi amici, e in particolare l’Italia, per l’assistenza, a testimonianza che italiani e libanesi sono due popoli con un solo cuore, sento il bisogno di dare un avvertimento: è essenziale che gli aiuti, i fondi e i materiali non passino attraverso organizzazioni non governative che destinano la maggior parte delle risorse a viaggi organizzati e privilegi, ma che vengano affidati a organismi ufficiali. Un esempio è stata la spedizione delle autopompe, delle jeep e delle attrezzature che i Vigili del Fuoco di Firenze hanno portato direttamente ai Vigili del Fuoco di Beirut. Grande speranza poi è riposta nella prossima visita del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che sarà a Beirut l’8 settembre, come già hanno fatto diversi rappresentanti dello Stato Italiano, fra cui la vice ministra degli Esteri, Emanuela Del Re, E’ molto importante, perché ogni più piccola risorsa che non raggiunge la destinazione prevista, potrebbe significare la perdita di una vita. Io continuo a camminare per le strade della mia città devastata, senza la forza di mettermi a scrivere, ringraziando per altro il caro amico e collega Roberto Roggero, che sta raccogliendo le mie testimonianze alla redazione di Assadakah. Insomma, mi guardo intorno e vedo tanto dolore, disperazione, ma anche la speranza che caratterizza la gente del Libano, che può trovare la forza di rinascere e portare il Paese a condizioni anche migliori di quelle di prima”.

  • Ricordando Maurizio Valenzi, persona di spessore umano, culturale e politico

    Talal Khrais – Tante volte mi chiedo cosa si studia a scuola, in Italia, quando grandi personaggi della storia, i padri della Repubblica, gli eroi come giudici caduti nella lotta contro la criminalità, militari che operano per riportare la pace dove tanta gente soffre. L’anno scorso ho fatto un sondaggio per la mia agenzia, National News Agency (NNA) sulla memoria dei giovani tra 16 e 18 anni: solo uno su tre conosce il vice brigadiere dei Carabinieri Salvatore d’Aquisto che, il 23 settembre 1943, venne fucilato dai tedeschi a Torre di Palidoro. Il giovane sottufficiale si attribuì la responsabilità di un attentato contro i tedeschi (per altro mai avvenuto in quanto la tragedia era avvenuta per uno stupido gioco fra gli stessi tedeschi) per salvare 22 ostaggi tra la popolazione. Vorrei ricordare un straordinario personaggio, un partigiano internazionalista, patriota d’eccellenza, uomo di cultura, politico di un volto umano, l’ex sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi, che oggi non è fra noi. Ma la sua storia, il suo amore per Napoli è più presente che mai nella memoria di tantissima gente, compreso il sottoscritto. Ho lasciato il Libano nel 1979, in piena guerra, per studiare a Napoli. Fra i tanti problemi di questa città, ci fu il terremoto del 23 novembre 1980, quando ero iscritto all’Istituto Universitario Orientale alla facoltà di Scienze Politiche. Sono stato chiamato dal quotidiano “As Safir” per coprire questo triste evento. In quell’occasione ho conosciuto il sindaco Maurizio Valenzi, al proprio posto nel Municipio, in riunione con la Giunta Comunale a seduta aperta, perché aveva disposto che il Municipio fosse la casa comune e punto di riferimento di tutta la popolazione che aveva subito le conseguenze del terribile terremoto. “Mio padre da Sindaco capì subito che il Comune doveva essere il principale punto di riferimento di tutti i cittadini che avrebbero sofferto la conseguenze del terremoto. Quella sera del 23 novembre furono accese tutte le luci di Palazzo S. Giacomo” – Ha detto in una occasione la presidente della Fondazione, Lucia Valenzi. Insomma, anche mentre la terra tremava ancora, il sindaco era al suo posto, e al municipio tutte le luci erano accese. In quella lunga notte non avevo bisogno di intervistare il sindaco, mi bastava descrivere ciò che avevo visto. Ho continuato miei servizi viaggiando fra le macerie, nelle province di Potenza, Avellino e Salerno, mi ricordo Sant’Angelo dei Lombardi, epicentro del terremoto, con tante vittime. Ho girato per dieci giorni nelle zone terremotate, ma aspettavo il momento per incontrare quello straordinario sindaco che operava in difesa della sua città. Grazie alla mia cara amica Francesca Saviano, della segreteria del sindaco, ho avuto l’incontro a casa sua, dove ho scoperto la fonte della sua audacia, il suo credo e la sua determinazione. A casa di Maurizio Valenzi ho scoperto la nobiltà, la cultura e patriottismo del sindaco ed ex parlamentare europeo, primo cittadino di Napoli dal 1975 al 1983. Non dovevo fare tante domande perché tutto intorno parlava chiaramente. Dopo due legislature come sindaco di Napoli, Valenzi non poté più candidarsi, quindi fu candidato ed eletto al Parlamento Europeo, estraneo al ben poco nobile compromesso fra il suo partito, il PCI, e il Partito Socialista. Valenzi era stato sindaco per otto anni e dopo di lui, nei tre anni successivi, lo seguirono in sei: un commissario ex prefetto, quattro sindaci a capo di inconsistenti giunte pentapartito, e ancora un prefetto prima di un nuovo scioglimento anticipato del Consiglio Comunale. Maurizio Valenzi nasce a Tunisi il 16 novembre 1909, da una famiglia ebrea di origine livornese. Si dedica alla pittura e a Roma apre uno studio con l’amico Antonio Corpora. Nel 1935-36 aderisce al Partito Comunista Tunisino, insieme ad altri conoscenti italiani, con l’amico Loris Gallico pubblica il settimanale “L’Italiano di Tunisi”. Nel 1937, all’epoca del governo del Fronte Popolare, è a Parigi con il gruppo del Centro Estero del PCI e lavora alla redazione della “Voce degli Italiani” di Giuseppe Di Vittorio. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, è a Tunisi con Giorgio Amendola e Velio Spano. Nel 1941 viene arrestato, è sottoposto alla tortura ma resiste agli interrogatori, quindi è condannato all’ergastolo con lavori forzati dal tribunale collaborazionista di Vichy e internato a Lambèse in Algeria. Dal luglio al novembre 1942 è in carcere anche la moglie Litza. Liberato dagli alleati nel marzo 1943, è inviato dal PCI a Napoli, per preparare l’arrivo di Palmiro Togliatti e Maurizio Valenzi, e vive in prima persona la “Svolta di Salerno”, esperienza presente nel libro “C’è Togliatti”, edito da Sellerio nel 1995. Nel 1952 è Consigliere provinciale. In quell’anno nasce la figlia Lucia. Senatore per tre legislature dal 1953 al 1968, Segretario alla Presidenza del Senato, e Segretario della Commissione Esteri. In quegli stessi anni ricopre diversi incarichi istituzionali e di partito, diventando Segretario del Gruppo Comunista al Senato, membro della Commissione Centrale di Controllo del PCI, e Consigliere Comunale di Forio d’Ischia dal 1964 al 1970. Al tempo stesso, non trascura la passione per l’arte, in particolare pittura e disegno, Consigliere comunale di Napoli dal 1970 al ’75, è eletto Sindaco con maggioranza relativa. La Giunta rimane al governo della città per anni grazie al consenso della cittadinanza e al voto tecnico di altre forze politiche in occasione dell’approvazione del bilancio. Confermato sindaco fino al 1983, vive direttamente il periodo del terrorismo e del terremoto. In quegli anni è anche membro del Comitato Centrale del PCI. Dopo il terremoto del 1980, in qualità di sindaco, viene nominato Commissario Straordinario per la Ricostruzione e, da non dimenticare, fondatore e primo presidente dell’ANCI Campania. Nel 1984 è eletto al Parlamento Europeo dove resta fino al 1989. Il presidente francese Mitterand gli concede la Légion d’Honneur. Maurizio Valenzi è morto il 23 giugno del 2009, appena in tempo per veder nascere la Fondazione a lui dedicata, e senza dubbio amareggiato per la bassezza intellettuale mostrata dai compromessi di partito, in virtù di una distorta “ragion di Stato” che nasconde, neanche troppo bene, il mercanteggio finalizzato a conservare poltrona e poteri, e la paura che una personalità forte, autorevole e determinata come quella di Maurizio Valenzi, potesse mettere in serio imbarazzo quelli che si dimostravano null’altro che nani e burattini della politica. Questo era Maurizio Valenzi, che mi ha lasciato anche e soprattutto una gentile e affettuosa amicizia con Francesca Saviano e l’amore per una delle più belle città del mondo.

  • Libanesi in festa per San Charbel: Il Padre Pio del paese dei cedri

    Letizia Leonardi - Oggi il Libano festeggia il suo patrono: Charbel Makhluf, monaco cristiano maronita libanese, il “Padre Pio” del Paese dei Cedri. Nato nel 1828 e scomparso nel 1898, è stato proclamato santo dal Papa Paolo VI nel 1977 ed è il Santo più popolare tra i libanesi. Dopo la sua scomparsa sono stati molti i miracoli che gli sono stati attribuiti, si dice addirittura ventinove mila. Il monastero di Saint Maron ad Annaya a circa cinquanta chilometri dalla capitale Beirut, dove si trova la sua tomba e dove il monaco visse per 16 anni, è visitato ogni anno da oltre tre milioni di persone che arrivano da ogni parte del mondo per pregare davanti al suo sepolcro. Nella cappella a lui dedicata vengono celebrate 5 messe all’anno per ricordare questo monaco che ha scelto la povertà e ha vissuto la sua esistenza dedicandosi ai poveri e ai malati. I malati, che chiedono una grazia, e tutti i miracolati si recano anche diverse volte al monastero e c’è anche chi fa pellegrinaggi a piedi, partendo da Beirut, la terza domenica di luglio di ogni anno per omaggiare il patrono. Il Santo ha vissuto gli ultimi anni della sua vita come un eremita, coltivava l’orto e pregava. Oggi è venerato da tutti i libanesi. Si racconta che, pochi mesi dopo la sua morte, alla vigilia di Natale, all’età di 70 anni, una luce accecante abbia illuminato la sua tomba e il suo corpo trasudava sangue e acqua. Nel monastero infatti si possono trovare delle boccettine di olio benedetto che contengono, si dice, alcune gocce del liquido che è emerso dal corpo di San Charbel. Queste fiale si possono trovare anche in Italia e precisamente al Monastero San Charbel dell’Ordine libanese maronita in via Monza. Lì si possono acquistare anche libri e santini del Santo. Anche adesso per i libanesi è considerato un padre spirituale, al quale affidarsi anche nei momenti di difficoltà, specie in occasione di conflitti, come la lunga e sanguinosa guerra civile, durata dal 1975 al 1990, che ha ucciso oltre 100.000 persone. Soprattutto in questo periodo di emergenza, il patrono rappresenta la speranza per tutti i libanesi, cristiani e musulmani non estremisti. San Charbel spiegava anche che le sue preghiere erano volte a sconfiggere il diavolo, il male, che concentra le sue energie per la distruzione delle famiglie. La famiglia infatti riflette da vicino l’immagine di Dio ed è alla base del progetto del Signore. E purtroppo, come aveva predetto, la famiglia sembra essere profondamente minacciata

  • I Paesi Arabi continuano ad essere partner privilegiato per l’Italia

    A Palazzo Turati, sede della Camera di Commercio di Milano, si è tenuta la prima edizione dell’Italian Arab Business Forum, Patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dal Ministero dello Sviluppo Economico. Un evento organizzato dalla Joint Italian ArabChamber (JIAC), in collaborazione con Promos – Azienda Speciale della Camera di Commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi, Unione delle Camere di Commercio Arabe, Confindustria, realizzato grazie al contributo di Banca Intesa e GK Investment Holding. Presenti il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano, il Ministro del Commercio Industria e Turismo del Bahrein, Zayed R. Alzayani, dell’assistente al Sottosegretario per gli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Juma Mohammed Al Kait, il Presidente dell’Unione delle Camere di Commercio Arabe Nael Al Kabariti, il Vice Presidente di Confindustria Licia Mattioli, l’Ambasciatore della Lega Araba in Italia, Mubarak Bin Rashid Al Boaainin, il Direttore Generale dell’ICE, Giorgio Borgogelli, il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, il Responsabile per l’area MENA UAE di SACE, Marco Ferioli, il Vice Presidente della Camera di Commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi, Carlo Edoardo Valli, il Vice Presidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala, il Console Tunisino a Milano, Mohamed Maher Meddeb, l’Ambasciatore italiano in Bahrein, Pietro Paolo Bellato, l’Ambasciatore della Mauritania, Mariem Aouffa, l’Ambasciatore UAE a Roma, Saquer Alraisi, l’Ambasciatore del Marocco, Hassan Abouyoub, l’Ambasciatore del Bahrein in Francia, Mohammed Eman Abdulghafar, Domenico Arcuri CEO di Invitalia, il Responsabile per il Medio Oriente, Africa, Turchia di Banca Intesa, Marco Trevisan, CEO di GK Investment Holding Group Kamel Ghribi, il campione Vincenzo Nibali, capitano del Team Bahrein Merida. Un evento necessario per tracciare un percorso di sviluppo, molte occasioni di scambio tra imprenditori Italiani e Paesi Arabi. Ministri e funzionari governativi, rappresentanti delle Istituzioni e della comunità economico finanziaria hanno dato vita alla giornata di confronto e approfondimento nel panorama delle relazioni economico istituzionali. L’Italia deve sostenere un ruolo di spicco nel sostegno dei processi di industrializzazione e diversificazione. Il turismo, le infrastrutture sono settori che presentano importanti potenzialità di sviluppo e grandi opportunità per le imprese italiane. La proposta culturale è stata condivisa da tutti, la consapevolezza che un reciproco lavoro di approfondimento finalizzato ad una maggiore conoscenza delle tradizioni e consuetudini delle rispettive culture, potrà rendere più efficace l’approccio degli imprenditori italiani, anche dal punto di vista operativo. Cesare Trevisani, Presidente della Joint Italian Chamber, ha detto che le:“Istituzioni come la Joint Italian Arab Chamber e iniziative come il Forum devono aiutarci a comprendere cosa possiamo fare come Sistema Italia, per meglio sfruttare il potenziale di scambio tra i nostri paesi e soprattutto tra i nostri imprenditori. Ci siamo ritrovati per confrontarci su questi temi, per concentrarci su quattro aspetti cruciali: i settori su cui intervenire, e penso alle infrastrutture fisiche, digitali, turistiche e industriali, alle strategie che dobbiamo adottare per essere vincenti in questa sfida, al supporto che possiamo offrire concretamente, non solo come JIAC, per la soluzione di quelle piccole e grandi difficoltà che a volte rendono impossibile operare in un mercato straniero”. Per il Ministro Zayed R. Alzayani: “Esistono grandi opportunità di sviluppo del commercio tra Italia e Bahrein, tutti dobbiamo impegnarci per conoscere più approfonditamente le nostre culture, non solo imprenditoriali. La Joint Italian Arab Chamber ha svolto un lavoro estremamente importante in questo senso e siamo sicuri di proseguire su questa strada anche in futuro”. Il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano ha sottolineato come “Il business forum abbia rappresentato un’occasione importante per riaffermare l’importanza strategica che l’Italia attribuisce ai Paesi arabi, e per sottolineare la nostra volontà di rafforzare i legami economici con la regione del Mediterraneo”. A dispetto della crisi economica che attraversa l’Europa e dei conflitti Mediorientali che logorano le economie dei Paesi più ricchi, gli Arabi rimangono partner indispensabili per l’economia italiana, per la macroeconomia per le piccole e medie imprese. Il 34% del campione intervistato intrattiene rapporti con i Paesi arabi da oltre 10 anni, mentre il 33% li ha scoperti solo recentemente. Del totale delle imprese italiane connesse al mondo arabo: il 32% aderisce al settore manifatturiero; il 14,6% opera nel comparto design e legno; il 12% si occupa di moda e cosmetici. I mercati arabi selezionati dalle imprese italiane sono: Emirati Arabi Arabia Saudita Egitto Marocco Qatar Tunisia Libano. Secondo gli ultimi dati della Farnesina tra il 2009 e il 2015 l’export del Made in Italy è aumentato: dell’112% verso l’Arabia Saudita; del 64% verso gli Emirati; del 22 % verso il Bahrein. La Joint Italian Arab Chamber è riconosciuta dalla Lega degli Stati Arabi e dall’Unione Camere di Commercio dell’Industria e dell’Agricoltura dei Paesi Arabi, nasce nel 2015 allo scopo di promuovere e favorire la cooperazione a diversi livelli tra l’Italia e i Paesi Arabi. Gli obiettivi principali della Camera: rafforzare e sviluppare le relazioni economiche e culturali tra Paesi Arabi e Italia; promuovere l’interscambio in diversi settori (industriale, turistico, scientifico, tecnologico, agricolo e finanziario); incoraggiare gli investimenti italiani nei Paesi arabi (viceversa), facilitare la realizzazione di progetti comuni tra le due parti. Il Forum era rivolto a imprese, operatori finanziari, stakeholder italiani, arabi, si pone come piattaforma di networking e occasione di confronto sull’opportunità di business, collaborazione, investimento e scoperta reciproca del clima imprenditoriale dei due Paesi. I settori interessati sono l’industrializzazione dei Paesi Arabi, i servizi finanziari e le opportunità di investimento, energia e fonti rinnovabili, infrastrutture e turismo quali settori prioritari per uno sviluppo sostenibile delle relazioni italo-arabe.

  • Speciale Monza – Villa Reale e i cedri del Libano

    Letizia Leonardi/Talal Khrais – Scorci naturalistici degni delle indimenticabili tele di Monet, fra i quali svettano i secolari cedri del Libano. Con queste parole, pur limitative, si potrebbero riassumere le meraviglie di della Villa Reale di Monda e degli annessi Giardini. Non tutti immaginano che tra le piante più grandi e antiche dei meravigliosi giardini ci sono i cedri del Libano. Ce ne sono ben tre delle quattro specie che appartengono al genere Cedrus e che provengono dal Libano, dalle montagne dell’Atlante e dall’Hymalaia. I cedri del Libano si riconoscono dagli aghi quadrangolari rigidi e più corti rispetto a quelli più lunghi della specie dell’Hymalaia. A settembre e ottobre chi si delizia in passeggiate nel parco della Villa Reale può vederli in fiore. Il Cedro del Libano ha una crescita più lenta rispetto alle altre specie. Quando l’albero è giovane ha una forma piramidale, mentre da adulto i rami si incurvano verso l’alto, con ramificazioni secondarie che restano orizzontali o leggermente inclinate, quasi a ombrello. A differenza degli altri cedri viene spesso allevato con due o più tronchi principali, anche a candelabro, così come possiamo vederlo alla Villa Reale. Nella zona d’origine è diffuso ormai solo in poche aree, ed è una specie protetta. I cedri resistono bene all’inquinamento ma i pericoli per i rami più alti sono le forti raffiche di vento, che possono spezzarli, e le gelate prolungate. Il Giardino della Villa Reale, con i suoi 685 ettari, rappresenta il Parco di Monza. Un vero polmone verde. Progettato dal Piermarini nel 1778 è un primo esempio di giardino all’inglese con un alternarsi di alberi, grotte, specchi d’acqua e piccole cascate. Molto pittoresco è il tempietto dorico che si specchia nelle acque del laghetto e che serviva da belvedere. Dal laghetto, abitato da cigni, tartarughe, papere e ranocchie, si può anche ammirare la grotta e la statua di Nettuno e, percorrendo il “giardino roccioso” si scende verso il grande prato da dove si scorge la cascata e un piccolo ruscello. Proseguendo a sinistra si possono osservare l’Antro di Polifemo, le mura neogotiche e la torretta a due piani in stile medievale con gli stemmi dei Visconti e un bassorilievo con scene di caccia. Il valore, dal punto di vista naturalistico, della Villa Reale è la varietà di piante del suo Giardino: alberi ultrasecolari come querce, cipressi, ippocastani e i cedri del libano prima menzionati. Non manca la sequoia americana, dal tronco rossiccio. Ci sono poi i faggi di epoca napoleonica, colpiti da attacchi fungini e ormai compromessi. A fare da guardiano al lato della Villa Reale c’è anche l’albero dei tulipani, che in autunno, crea uno spettacolo cromatico degno di una preziosa tela di Monet. Per 10 anni il fotografo Pompeo Casati ha studiato e fotografato le piante storiche della Lombardia e tra i suoi scatti non è certo mancato il cedro del libano della Villa Reale. Il gigantesco cedro che da duecento anni ha abbellito i giardini della Villa un paio di anni fa è stato colpito da un fulmine e danneggiato. Un altro cedro di antiche origini è quello in piazza della stazione, l’unico esemplare che resta del Regio Vivaio realizzato da Eugenio di Beauharnais, viceré d’Italia, nel 1805, su un’area di 76 mila metri quadri tra corso Milano e il Lambro. Tale zona verde fu creata per rendere gradevoli i giardini pubblici del Regno, ma fu smantellato tra il 1840 e il 1873 per lasciare spazio alla linea ferroviaria. Ma Casati, nella Villa Reale, ha anche immortalato le due querce da 5 metri di diametro entrate nell’elenco dei monumenti verdi d’Italia e il ginkgo che si incrocia lungo il prato all’inglese che scende verso il parco. Un “fossile vivente”, proveniente dalla Cina e le cui origini risalgono alla preistoria. Bellissima è anche la pianta di glicine nell’ala sud della Villa. E tra una passeggiata e l’altra, in quel di Monza, ci si può imbattere in altri “monumenti” verdi come la davidia involucrata adiacente alla chiesa di San Biagio in via Torneamento chiamata anche albero dei fazzoletti per la sua chioma che si imbianca durante il periodo della fioritura tanto da dare l’impressione che l’albero abbia tanti fazzoletti che pendono. E poi c’è il corbezzolo che spunta dal cancello di un condominio in via Oslavia, una specie diffusa nei golfi del Mediterraneo, ma è unico a Monza con i suoi rami che fioriscono a settembre per dare i suoi frutti rossi in ottobre. Non è usuale trovare un albero di banane con tanto di frutti eppure lo troviamo al centro sportivo Ambrosini. Da vedere anche la grande sofora al centro del chiostro della scuola Confalonieri, l’albero di Giuda in via Calatafimi e il sambuco lungo la ciclabile del Villoresi. Nel suo volume «Alberi in città a Monza» l’ex docente universitario di Geografia fisica Pompeo Casati, racconta anche l’albero più alto d’Italia che si trova in Brianza e precisamente nel parco di Villa Besana a Sirtori: un liriodendro alto 52 metri che potrebbe sfiorare le campane del campanile del Duomo di Monza.

  • Speciale Monza – Sulle tracce di Geltrude

    Letizia Leonardi/Talal Khrais – Quando si nomina Monza, questo importante Comune della Brianza, non si può far a meno di ricordarsi del personaggio che Alessandro Manzoni ha raccontato ne “I Promessi Sposi”. Un romanzo che ha fatto conoscere a tutto il mondo uno spaccato della società italiana del Seicento attraverso i protagonisti della storia, alcuni realmente esistiti. Tra questi troviamo la Monaca di Monza, uno dei personaggi più affascinanti del romanzo. Geltrude (Suor Virginia nella realtà) il cui vero nome era Marianna de Leyva, nata a Milano il 4 dicembre 1575. Era la figlia primogenita di Martin de Leyla, conte di Monza e nipote del primo governatore spagnolo di Milano, Antonio de Leyla. La location nella quale si svolge una parte di questa intramontabile storia è il monastero di Santa Margherita e la annessa chiesa di San Maurizio. Una stampa d’epoca che ritrae Marianna de Leyva Il padre era un uomo estremamente ambizioso. Aveva solo 20 anni quando è stato nominato comandante di una compagnia di lancieri a Milano ma ambiva a titoli più prestigiosi che, all’epoca, si ottenevano dietro pagamento di ingenti somme che lui non possedeva. Il convento di Santa Margherita oggi restaurato Non si è perso d’animo e a 26 anni sposa Virginia, figlia vedova del ricchissimo e potente finanziere e commerciante di Genova Tommaso Marino. Il palazzo, sede del Comune di Milano, lo ha fatto costruire lui nel 1558 e porta infatti il suo nome. Virginia resta subito incinta e a un anno dal matrimonio con Martin nasce Marianna che, l’anno successivo, nel 1576, resta orfana di madre. La presenza della piccola, futura Monaca di Monza, a Palazzo Marino è comprovata dalla presenza, nell’inventario del notaio Giovanni Mazza datato 1576, della culla foderata di seta bianca e del corredino. Nel 1588 il padre di Marianna si risposa con Ana Vique, nobildonna di Valencia che gli dà una figlia e due tanto attesi maschi. La matrigna contribuisce all’allontanamento del padre dalla figlia. Un anno dopo, a soli 15 anni entra, contro la sua volontà, nel monastero delle monache benedettine di clausura di Santa Margherita a Monza, diretto dall’arcivescovo Federico Borromeo. Il 12 settembre del 1591 Marianna prende i voti e diventa Suor Virginia Maria. La chiesa di San Maurizio, attigua al convento di Santa Margherita Nel 1596 il padre delega Marianna a esercitare la sua potestà sul feudo di Monza e Suor Virginia Maria diventa “Signora” di Monza. Un anno dopo conosce Giovanni Paolo Osio. Vicino al monastero infatti, abitava la ricca famiglia monzese degli Osio, il cui giardino era visibile dalle finestre del convento. Il giovane Giovanni Paolo era bello e ricco e aveva amicizie con le più importanti famiglie lombarde: D’Adda, Borromeo, Taverna e Visconti. Manzoni ha inserito anche lui, con nome di Egidio, nel suo romanzo. Nel capitolo X è scritto:“Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de’ tanti, che, in que’ tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi”. Palazzo Marino, a Milano Inizialmente tra Suor Virginia e Giovanni Paolo c’è un rapporto di rispetto ma in seguito, tra i due, nasce una relazione aiutata dalla complicità del curato di S. Maurizio a Monza, don Paolo Arrigone, amico e consigliere di Giovanni Paolo, e anche dalle consorelle monache Benedetta e Ottavia. Nel 1602 nasce, morto, il primo figlio di Marianna e Giovanni Paolo. Due anni dopo viene alla luce la seconda figlia, Alma Francesca Margherita, che è affidata ad una coppia di servitori. Nel 1606 si consuma il primo omicidio nei confronti della conversa, Caterina da Meda, che minaccia di riferire al vicario arcivescovile Mons. Pietro Barca la relazione amorosa di Suor Virginia. Giovanni Paolo Osio la uccide e nasconde il corpo nel monastero simulando però una sua fuga per giustificare la sua scomparsa. Tuttavia, le voci sulla relazione tra Suor Virginia e Giovanni Paolo Osio, cominciano a diffondersi e il giovane uccide anche il fabbro del paese, tenta di uccidere anche il farmacista e don Arrigone. Nel 1607 viene catturato e imprigionato al Castello di Pavia. A seguito di questo arresto e di una serie di lettere di Osio che si professa innocente e della stessa Monaca di Monza che ribadisce che non c’è alcun legame tra il giovane e il monastero, il Cardinale Federico Borromeo, si reca in visita al convento di Santa Margherita e ammonisce Suor Virginia a tenere un comportamento corretto. Alla fine di questo stesso anno Osio fugge da Pavia, ritorna a Monza, uccide il farmacista e si nasconde nella chiesa del convento, quella di San Maurizio, per poi rifugiarsi proprio nello stesso monastero di Santa Margherita. Di tutti questi movimenti viene informato il cardinale Borromeo che ordina immediatamente che Suor Virginia abbandoni il monastero a Monza e che venga rinchiusa nel monastero di San Ulderico a Milano. Palazzo Marino, cortile interno A dicembre del 1607 Suor Virginia confessa la sua relazione con Osio che, per i due omicidi, nel 1608, viene processato e condannato a morte. Alla fine dello stesso anno anche Suor Virginia viene condannata alla reclusione perpetua, murata in una cella, nella casa delle donne convertite di Santa Valeria a Milano. Nel 1622, dopo 14 anni di segregazione, Suor Virginia dichiara il suo pentimento e viene liberata. Il 17 gennaio 1650 la Monaca di Monza muore a Milano presso la Casa di S.Valeria. In conclusione un breve cenno sulla storia raccontata nel libro “I Promessi Sposi”. Suor Virginia è Geltrude, la Monaca di Monza, del convento dove si rifugiano Agnese e la figlia Lucia dopo il tentato rapimento della giovane da parte di don Rodrigo. Geltrude viene introdotta nel cap. IX ed è narrata come figlia di un ricco e influente principe di Milano. Grazie alle sue nobili origini gode di grande prestigio e libertà all’interno del convento, anche perché è il padre il guardiano del monastero dei cappuccini di Monza, al quale le due donne si sono rivolte su suggerimento di padre Cristoforo per avere la protezione della “Signora”. Illustrazione de “I Promessi Sposi”: l’incontro fra la Monaca di Monza e Lucia Quando Lucia e Agnese entrano nel convento Gertrude si affeziona alla giovane e offre una difesa sicura dalla persecuzione di don Rodrigo. Ma la Monaca di Monza al tempo stesso sfoga sulle educande del convento tutta la rabbia, l’insoddisfazione e l’insofferenza per il destino che le è stato imposto, specie nei confronti delle monache che a suo tempo erano state complici del padre nel costringerla ad accettare il velo. Vive in una parte isolata del chiostro, confinante con una casa dove vive un giovane scapestrato di nome Egidio, con il quale inizia una torbida relazione amorosa.

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