L’Italia nel mondo Arabo e il mondo Arabo in Italia
Sito registrato dal Presidente del Tribunale di Genova R.G.V. 8468\2024 Reg. Stampa n 16\24 cron.61\24
Proprietario Talal Khrais
Direttore Responsabile Roberto Roggero
Search Results
7104 elementi trovati per ""
- صغار المنتجين في جنوب السودان يتلقون الدعم من الصندوق الدولي للتنمية الزراعية
وطنية - روما - أعلن الصندوق الدولي للتنمية الزراعية تقديم تمويل لمساعدة عشرات الالاف من سكان الريف الضعفاء في جمهورية جنوب السودان. وستساعد منحة الصندوق في الحد من أثر جائحة كوفيد-19 على أنشطتهم الزراعية وحماية سبل عيشهم. ولفت الصندوق إلى أن "جنوب السودان يعتبر أحدث دولة أفريقية وثالث أشد دول العالم هشاشة. ولا يزال توفر الغذاء والوصول إليه يمثلان تحديا لمعظم السكان بسبب الصراع المستمر في البلاد، والإخلال بسلاسل القيمة الزراعية، ونزوح السكان. لذلك تشكل جائحة كوفيد-19 تهديدا كبيرا للوضع الهش بالفعل، ولا سيما فيما يتعلق بالأمن الغذائي". وأوضح الصندوق أنه سيقدم من خلال مرفقه لتحفيز فقراء الريف مبلغ 7 ملايين دولار أمريكي لدعم مشروع سبل العيش والنظم الغذائية القادرة على الصمود الذي سيساعد صغار المنتجين في مقاطعتي بور وتوريت على تحسين إنتاجيتهم الزراعية من خلال ضمان الوصول في الوقت المناسب إلى المدخلات وتكنولوجيات ما بعد الحصاد. وسيوزع المشروع ما مجموعه 52 طنا متريا من بذور الذرة، والذرة الرفيعة، والفول السوداني وخضروات مختارة في بداية الموسم الزراعي. وسيتلقى الصيادون مجموعة أدوات تتكون من خطافات، وشبكات وبكرات من الخيوط المزدوجة. وسيتلقى المزارعون أيضا تدريبا على تكنولوجيات الإنتاج التي لن تمكنهم من استئناف أنشطتهم المعتادة فحسب، بل أيضا من اغتنام الفرص الجديدة المتاحة من خلال المشروع. وفي حديث مع الصحافيين قالت المديرة القطرية للصندوق في جنوب السودان برناديت موكونيورا: "تعد هذه المنحة المقدمة إلى جنوب السودان دليلا على التزام الصندوق بدعم البلدان الخارجة من النزاعات في إطار الصلة بين العمل الإنساني - والتنمية - والسلام، وحماية الأمن الغذائي عن طريق ضمان استمرار صغار المزارعين في أنشطتهم الزراعية وبناء قدرتهم على الصمود في وجه الصدمات الخارجية". يفقد الكثير من الغذاء قبل وصوله إلى الأسواق نظرا لعدم كفاية البنية التحتية للتخزين في البلاد، يفقد المزارعون ما بين 15 و50 في المئة من إنتاجهم. وسيوفر المشروع معدات ما بعد الحصاد مثل الدراسات، والصوامع، والأكياس المحكمة الإغلاق، والتبريد والمبردات. وسيتلقى المزارعون التدريب على تكنولوجيات الإنتاج وممارسات التجهيز ما بعد الحصاد لتمكينهم من حماية محاصيلهم أثناء جائحة كوفيد-19 وضمان أمنهم الغذائي، على أن ينفذ المشروع بإشراف وزارة الزراعة والأمن الغذائي بمساعدة تقنية من منظمة "بيطريون بلا حدود" في ألمانيا. وسيكون ما لا يقل عن 50 في المئة من المستفيدين من النساء و50 في المئة من الشباب. ومنذ استقلال البلاد، مول الصندوق برنامجا واحدا للتنمية الريفية في جنوب السودان بتكلفة إجمالية قدرها 25.9 مليون دولار، وباستثمار من الصندوق بلغت قيمته 13.5 مليون دولار. واستفادت 800 76 أسرة ريفية من البرنامج بشكل مباشر في جنوب السودان". ====إ. غ.
- Roma – Ambasciatrice Palestina: “Italia non taccia su responsabilità di Israele”
Redazione Assadakah - L'ambasciatrice della Palestina in Italia, S.E. Abeer Odeh, esprime ringraziamenti e critiche nei confronti dei leader politici italiani: “Manca qualsiasi apprezzamento per lo sforzo della leadership palestinese di resistere a tutto questo in modo pacifico. I palestinesi uccisi dagli ultimi bombardamenti israeliani su Gaza sono ad oggi 83, di cui 17 bambini e 7 donne, e i feriti sono 487. Si tratta di un'aggressione militare che traumatizza ulteriormente una popolazione già bersagliata, di 2 milioni di persone che vivono da 14 anni sotto assedio, separati dal resto del mondo e vulnerabili alla macchina da guerra della potenza occupante, senza la protezione internazionale di cui hanno disperato bisogno e che il diritto internazionale umanitario conferisce loro. Appare evidente come non possa esserci alcuna giustificazione per simili attacchi indiscriminati contro una popolazione civile; eppure, nemmeno questo, per molti, merita un commento". Secondo l'ambasciatrice "non ci sarà mai pace senza giustizia e senza un deciso appoggio internazionale al popolo palestinese e alle sue legittime rivendicazioni. Se il sostegno internazionale non arriva, è comprensibile che un popolo oppresso provi ad esercitare il proprio diritto all'autodifesa. Ma la speranza è che questo aiuto arrivi. Per questo ringraziamo di cuore tutte le associazioni, i movimenti e le forze politiche italiane che, in controtendenza, hanno scelto di stare dalla parte giusta, mostrando a noi palestinesi, alle vittime anziché ai carnefici, una vicinanza davvero preziosa in un momento cosi' drammatico. Di contro, intristisce vedere diversi leader politici italiani mostrare la propria solidarietà a Israele senza spendere una parola sulla sue responsabilità per quello che sta accadendo in questi giorni in quell'area. Chiunque abbia letto i giornali nelle ultime settimane sa che la miccia è stata accesa dalla repressione israeliana durante le celebrazioni del Ramadan, dalla pulizia etnica che Tel Aviv porta avanti a Gerusalemme Est Occupata, e dal boicottaggio delle elezioni palestinesi, derivante dalla proibizione di far votare i cittadini di questa citta', la legittima capitale dello Stato di Palestina, dove la violenza e le provocazioni delle forze di occupazione e dei coloni hanno raggiunto livelli mai visti, fino a profanare i luoghi sacri. Per non parlare del silenzio davanti alle continue violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale accertate ripetutamente dall'Onu, e dell'inerte indifferenza di fronte all'occupazione e alle sue conseguenze: l'espandersi delle colonie illegali, la demolizioni delle case palestinesi, le detenzioni arbitrarie, le uccisioni ingiustificate, le condizioni di vita miserabili alle quali sono condannati i palestinesi, l'Apartheid, l'impossibilità di avere un proprio Stato. Insomma, ci saremmo aspettati di vedere questi leader in piazza per chiedere la fine dell'occupazione, non per sostenere un'occupazione illegale".
- Giornalisti bersaglio, fino a quando?
Talal Khrais - Il 15 maggio scorso l'esercito israeliano (Idf) ha abbattuto la torre al-Jalaa, che a Gaza ospitava testate giornalistiche tra cui Associated Press e Al-Jazeera, spiegando che ospitava "risorse dell'intelligence militare di Hamas". La solita scusa per fare tacere la nostra voce. L'edificio", ha fatto sapere l'esercito in un comunicato rilanciato dai media israeliani, "ospitava gli uffici di media civili, che Hamas usava come scudi umani. In Siria tra il 2011 e il 2018 ho perso 8 colleghi e nello stesso periodo sono stati uccisi 10 giornalisti stranieri e 13 giornalisti siriani. Nel 2020 sono stati uccisi 50 colleghi, l'anno precedente 53. In dieci anni il numero dei colleghi dei dei fotoreporter che hanno pagato con la vita il prezzo della verità é di 937. La cosa che colpisce è che nella stampa italiana non si parla proprio di questi avvenimenti. E' davvero strano.
- Gaza - Biden per il cessate-il-fuoco, Netanyahu non cede
(Assadakah Beirut) - Il presidente americano Joe Biden torna a parlare con Benjamin Netanyahu per chieder il cessate il fuoco a Gaza. Lo rende noto la Casa Bianca, riferendo anche dell'impegno americano "con l'Egitto e altri partner a questo scopo". Biden, comunque, ha confermato a Netanyahu il forte appoggio americano al diritto di Israele di difendersi dagli attacchi missilistici. Invito non accolto dal premier israeliano: "Israele intende raggiungere tutti gli obbiettivi prefissati dell'intervento a Gaza" ha risposta Netanyahu durante la conversazione. "Stiamo lavorando dietro le quinte" e "lavoriamo in silenzio". La frequenza con cui la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, si mette sulla difensiva davanti alle pressanti richieste di chiarimento dei giornalisti riguardo la crisi in Medio Oriente, indica un nuovo momento di difficoltà per l'amministrazione Biden. Mentre Biden e Netanyahu parlavano l'aviazione e l'esercito israeliano lanciavano raid. Israele punta a guadagnare tempo per indebolire Hamas quanto più possibile. Nella sola giornata di ieri ha bombardato 100 chilometri di tunnel nella Striscia di Gaza, eliminato una serie di capi militari, distrutto un centro operativo di Hamas. Per arrivare al cessate il fuoco, l'Egitto è da sempre un interlocutore chiave nei negoziati con Hamas con cui gli Stati Uniti non parlano perché la considerano un'organizzazione terroristica. Proprio ieri il presidente francese Macron ha incontrato a Parigi l'omologo egiziano Al Sisi. L'Eliseo appoggia l'offensiva diplomatica con la mediazione egiziana (e della Giordania) perché "gli egiziani come i giordani parlano con tutti nella regione". Il "dietro le quinte" deve fare i conti, in queste ore, con le richieste pubbliche di chiarimento e in tempi rapidi: Biden è stato criticato per aver fatto saltare la riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza che avrebbe dovuto chiedere la fine immediata delle ostilità e la rappresentante, dell'ala sinistra del partito democratico, Alexandria Ocasio-Cortez, ha condannato la decisione con un tweet in cui ha accusato gli Stati Uniti di essere "complici" del tragico apartheid in cui sono rimati intrappolati i palestinesi. L'incertezza arriva nel momento in cui l'amministrazione Biden ha notificato la vendita di armi a Israele per 735 milioni di dollari, tra cui bombe a guida laser dall'impatto devastante. Era il 5 maggio, quando è arrivato l'annuncio. Cinque giorni dopo, è cominciata 'l'Operazione Guardiano delle Mura', tutt'ora in corso, che ha provocato più di duecento morti. Nonostante gli sforzi diplomatici non sembrino portare a molto, la stampa israeliana si mostra ottimista: un cessate il fuoco tra Israele e Hamas è "vicino", dovrebbe essere raggiunto "al massimo in due giorni". Lo ha riferito al Times of Israel una fonte diplomatica a conoscenza dell'attività egiziana. Intanto, l'emittente pubblica Kan ha sostenuto che oggi Israele permetterà a 24 camion con generi alimentari, medicine e carburante di entrare nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom. Per ora si continua a bombardare, ieri l'unico laboratorio Covid della Striscia di Gaza è rimasto danneggiato nel bombardamento di un palazzo residenziale nel centro dell'enclave palestinese. Lo ha riferito Middle East Eye, raccontando che l'attacco all'edificio Ghazi al-Shwwa ha distrutto i piani superiori, colpiti da tre missili. Il raid ha avuto conseguenze anche sugli immobili vicini, tra cui un orfanotrofio, un liceo femminile, il ministero della Salute palestinese e la clinica al-Rimal che ha dovuto interrompere l'attività di test per coronavirus.
- Myanmar - Tragedia nell'indifferenza internazinale
Redazione Assadakah - Rinviata 'sine die' la riunione in programma oggi dell'assemblea generale delle Nazioni Unite per una risoluzione non vincolante che avrebbe sospeso con effetto immediato qualsiasi trasferimento di armi alla Birmania. Gli autori del testo, secondo fonti diplomatiche, "non hanno avuto il sostegno che si aspettavano" per garantire un voto a larga maggioranza nell'Assemblea che comprende 193 paesi membri. Il testo nasce da un'iniziativa del Liechtenstein, sostenuta da Unione Europea, Regno Unito e Stati Uniti. Un totale di 48 paesi provenienti da Europa, America e Africa, ma solo uno in rappresentanza dell'Asia - la Corea del Sud - ha sostenuto la bozza di risoluzione. Vogliono "piu' tempo per i negoziati, soprattutto con i paesi dell'Asean" (l'associazione delle nazioni del sud-est asiatico), ha detto un'altra fonte all'agenzia di stampa France Press. I paesi aderenti all'Asean son tradizionalmente restii ad abbandonare il principio della non-ingerenza che li ha sempre caratterizzati. Nella risoluzione si sollecitavano le autorità militari birmane che hanno preso il potere il primo febbraio con un colpo di stato "a porre fine allo stato di emergenza" e "a cessare immediatamente ogni violenza contro manifestanti pacifici". Nel testo anche la richiesta di "rilasciare immediatamente e incondizionatamente" il presidente Win Myint e il leader civile Aung San Suu Kyi, nonché tutti i detenuti arbitrariamente.
- USA-Tunisia: accordo contro la crisi economica
Paola Sireci – A distanza di dieci anni dalla “Rivoluzione dei gelsomini”, la Tunisia attraversa nuovamente una crisi economica, questa volta acuita dalla pandemia Covid- 19. Un aumento del debito pubblico, parallelo a una riduzione economica dell’8,8%, ha allertato il Governo che ha prontamente avviato colloqui con il Fondo Monetario Internazionale al fine di ottenere aiuti finanziari. "La nostra visita a Washington è stata importante e fruttuosa con il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e funzionari americani", afferma il Ministro delle finanze tunisino Ali Kooli il quale si è recato negli Stati Uniti per soluzioni concrete a favore del Paese che ha, effettivamente, ottenuto. 500 milioni di dollari investiti in Tunisia per sostegni finanziari in infrastrutture, progetti nel settore dei trasporti, dell’acqua e aiuto alle donne rurali, finanziati dall’agenzia di assistenza estera Millennium Challenge Corporation sotto forma di garanzia di prestito. La Tunisia, che nel 2010 ha affrontato una delle sue più profonde crisi provocate dalle continue rivolte contro le vessazioni da parte della polizia locale, che hanno raggiunto il loro culmine con il clamoroso gesto di protesta di un cittadino che si è dato fuoco pubblicamente, sta nuovamente attraversando una fase critica della storia del Paese. A seguito dell’instaurazione della democrazia nel 2011, la Tunisia ha subìto anni di stagnazione economica, declino dei servizi pubblici e peggioramento del tenore di vita dei cittadini, situazione che la pandemia ha aggravato, esplodendo a gennaio con proteste in tutto il territorio. Aumento della disoccupazione, del tasso di povertà e l’incapacità della classe dirigente di far fronte alla situazione critica non solo in termini sanitari, ha dirotto un popolo stremato da decenni che pare possa risollevarsi grazie all’ennesimo aiuto degli Stati Uniti, nuovamente risolutori e mediatori in Medioriente.
- Dubai – Nuovo libro di Giovanni Bozzetti e preparativi per Expo
Fouad Nasr (Assadakah UAE) - S'intitola “Emirati: Nulla è impossibile - Guida al nuovo centro mondiale del business” il nuovo libro di Giovanni Bozzetti, docente universitario, imprenditore e manager, esperto di marketing strategico e processi di internazionalizzazione. Nel volume, edito da Mondadori (pagine 304, euro 18,90), Bozzetti spiega dall'interno i meccanismi che stanno facendo degli Emirati Arabi Uniti il nuovo centro mondiale del business. Il motore che spinge la storia e lo sviluppo degli Emirati Arabi Uniti è la ricerca dell'eccellenza in ogni ambito. Il continuo superare se stessi, l'incessante desiderio di valicare i limiti di ciò che l'uomo può immaginare e quindi realizzare. "Gli Emirati Arabi Uniti rappresentano una realtà politica, sociale e culturale pressoché unica nel panorama mediorientale - dice Bozzetti - Un crocevia di persone, idee, tecnologie e scambi commerciali. Sono il nuovo centro del business mondiale, ma in tanti ne parlano e pochi li conoscono veramente". L'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) si sta già confrontando con la sua omologa negli Emirati Arabi Uniti per possibili collaborazioni: lo conferma il presidente dell'Asi Giorgio Saccoccia in occasione dell'evento di presentazione del protocollo di intesa col Padiglione Italia per la partecipazione a Expo Dubai 2020. Interrogato sulla possibilità che l'Esposizione possa diventare la cornice per siglare nuove collaborazioni con gli emiratini in ambito spaziale, Saccoccia ricorda che "con gli Emirati ci sono dei dialoghi in corso già da tempo, perché ci possono essere delle aree interessanti di collaborazione: le agenzie sono in contatto già da tempo". Il confronto si esercita anche sui temi della governance dello spazio, che in Italia è coordinata ad alto livello politico e coinvolge tutti i ministeri interessati dalle attività spaziali: il nostro "è un esempio visto con grandissimo interesse soprattutto da nazioni che si sono affacciate al settore spaziale recentemente", aggiunge Saccoccia. "Anche gli emiratini stanno studiando il nostro caso e molto probabilmente avranno bisogno del nostro aiuto per fare qualcosa di simile". "La diplomazia spaziale in Expo avrà un momento fortissimo di affermazione e nascita di nuovi accordi e progetti comuni", sottolinea il Commissario Generale per Expo Paolo Glisenti.
- Livorno – Protesta dei portuali: “Non carichiamo armi dirette a Israele”
Letizia Leonardi / Roberto Roggero – Non è un segreto che, attraverso molti porti italiani, transitino navi dirette in Israele o in altri scali di Paesi coinvolti in conflitti armati. Il caso specifico riguarda il porto di Livorno, dove lo scorso 14 maggio, gli operatori marittimi si sono astenuti dal lavoro in segno di protesta, contro la disposizione di imbarco di un carico di armamenti ed esplosivi destinati allo Stato ebraico, che in questi giorni sta mettendo in atto una violenta offensiva contro la popolazione palestinese. Gli operai hanno bloccato le operazioni di imbarco per la “Asiatic Island”, nave immatricolata a Singapore che, secondo una segnalazione dell'osservatorio sulle armi nei porti europei “The Weapon Whatch”, su un quantitativo non precisato di proiettili dal alta precisione, destinati al porto israeliano di Ashold. Sostenuti da manifestazioni di solidarietà di associazioni civili, lavoratori e cittadini, scesi in piazza in molte città italiane, gli operatori del porto di Livorno hanno fatto presente che oltre a proiettili particolari ed esplosivi catalogati di “Livello 1.4”, il carico comprendeva anche mezzi blindati, allineati sulle banchine in attesa di essere imbarcati. I sindacati dei portuali livornesi, oltre a evidenziare la questione etica legata a una guerra che sta provocando distruzione e morte, si preoccupano anche del problema della sicurezza dei lavoratori e della popolazione, e sono scesi a loro volta in piazza, con il sostegno dei portuali di Genova, per esprimere solidarietà alla popolazione palestinese, per chiedere di fermare i bombardamenti su Gaza e lo stop agli espropri delle abitazioni di intere famiglie palestinesi che da anni vivono sotto occupazione militare. La “Asiatic Island” ha intanto lasciato Livorno per fare scalo a Napoli. Nel frattempo, l'Unione Sindacale di Base dei portual livornesi, ha diffuso il seguente comunicato: “ "Grazie alla segnalazione dei Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova e dell'associazione Weapon Whatch, sappiamo nelle stive della nave Asiatic Island ci sono container carichi di armi ed esplosivi diretti al porto israeliano di Ashdod. L'USB sezione porto sostiene che si tratti di armi ed esplosivi che serviranno a uccidere la popolazione palestinese già colpita da duri attacchi, che hanno causato centinaia di vittime tra la popolazione civile fra cui anche numerosi bambini. Attraverso i lavoratori portuali iscritti al sindacato stiamo cercando di raccogliere informazioni in tal senso. Abbiamo ricevuto una segnalazione circa la presenza, presso il Molo Italia, di decine di mezzi blindati militari pronti ad essere imbarcati. Contemporaneamente abbiamo avviato una campagna di sensibilizzazione con i lavoratori portuali livornesi affinché il coraggioso esempio che arriva dal Porto di Genova possa essere riproposto anche sul nostro territorio. Il lavoro è importante, specialmente in questi tempi, ma questo non può farci chiudere gli occhi, o peggio ancora farci diventare complici, di massacri continui nei confronti della popolazione civile". Nel pomeriggio di sabato una delegazione di lavoratori del porto di Livorno era presente al presidio pubblico a Livorno, organizzato dallo stesso sindacato USB in solidarietà con il popolo palestinese. "La questione dei traffici di armi nel nostro porto – sottolinea ancora la nota della USB - è molto più complessa. Quello di ieri è stata solo il primo passo per iniziare una campagna vera e propria che dovrà coinvolgere i lavoratori e tutta la città. Livorno non deve essere complice delle guerre e dei massacri di popolazioni civili". Secondo ulteriori informazioni, la “Asiatic Island”, portacontainer da 3.000 Teu, proveniva da Marsiglia-Fos sur Mer, ha toccato Genova e quindi Livorno per proseguire per Napoli. Pare che in tutti i porti siano stati imbarcati container contenenti armamenti, sia con destinazione Ashold che Haifa, sempre in Israele. Alla protesta dei lavoratori portuali si è aggiunto l'appello di Weapon Watch al governo italiano, per fermare il traffico di armi, al quale si aggiunge anche la stessa Associazione Italo-Araba Assadakah, evidenziando il mancato rispetto delle disposizioni di legge e dei trattati internazionali, sulla proibizione dell'invio di armi e munizioni in caso di palesi violazioni del diritto internazionale e del pericolo che tali armi e munizioni siano impiegati nella repressione interna e contro la popolazione disarmata. Com’è noto, tali disposizioni si applicano anche al transito e al transhipment di merci provenienti da altri paesi, e tanto più nei casi di munizioni ed esplosivi il cui trasporto ha avuto origine da un porto italiano. La violazione riguarda poi la legge 9 luglio 1990, n. 185, che impedisce la vendita di armi a Stati che non rispettano i diritti umani; la legge del 27 luglio 2000, secondo cui l'Italia aderisce alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale; per non parlare della stessa Costituzione della Repubblica, che all'articolo 11 stabilisce: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Non solo: gli articoli 52 (Comma 1), 78 e 87 regolano le modalità della dichiarazione di guerra e gli articoli 60, 103 e 111 prendono in considerazione il caso in cui il Paese si trovi in stato di guerra. Il governo italiano, autorizzando il traffico di armamenti, a parte la presenza di industrie di armamenti sullo stesso territorio nazionale, è quindi in piena violazione delle stesse leggi che dovrebbero distinguerlo da coloro che invece attuano impunemente aggressioni militari e occupazione contro popolazioni indifese.
- Lega Araba - Gli ambasciatori si rivolgono a governo e istituzioni
Assadakah Roma - Il Consiglio degli Ambasciatori degli Stati Arabi in Italia, vista la decisione presa a livello di ministri degli Esteri nel corso della riunione tenuta al Cairo lo scorso 11 maggio, hanno deciso all'unanimità di indirizzate al governo italiano e a tutte le istituzioni politiche italiane, una lettera aperta ufficiale per richiamare l'attenzione della comunità internazionale sulla gravissima situazione in corso attualmente in Medio Oriente, a causa delle reiterate violazioni del diritto umanitario da parte delle autorità israeliane, perché si giunga a alla definitiva decisione di porre fine all'occupazione dei Territori Palestinesi, alle continue violenze contro la popolazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, e soprattutto al riconoscimento internazionale di uno Stato Palestinese de facto. Il Consiglio degli ambasciatori degli Stati Arabi sostengono fermamente la condanna dell'aggressione militare delle forze israeliane nella Striscia di Gaza, che ha causato la morte di centinaia di civili innocenti, fra cui numerosi bambini, e vuole richiamare l'attenzione della comunità internazionale e dei governi sul rispetto delle Risoluzioni delle Nazioni Unite, costantemente ignorate dal governo israeliano, e condanna allo stesso modo la pianificazione di una vera e propria politica di pulizia etnica ed espulsione forzata della popolazione palestinese.
- Medio Oriente – Arabi ed ebrei insieme per dire “Basta!”
“Ebrei ed arabi si rifiutano di essere nemici”. E' lo slogan apparso su cartelli e striscioni appesi su diverse case in Israele, per protestare contro l’ondata di violenza interetnica che da giorni sconvolge il Paese. Dopo i primi giorni dell'escalation di violenze tra israeliani e palestinesi, nei quali soprattutto nelle città con una forte presenza araba come Lod, Ramla, Akko (San Giovanni d’Acri, la città dei crociati) e Giaffa, il quartiere originario di Tel Aviv, si sono registrati violenti scontri con vittime e arresti tra entrambe la comunità, si sono susseguite negli ultimi giorni manifestazioni di solidarietà e di rifiuto delle violenze da parte di entrambe le comunità. In particolare, a Tel Aviv e a Gerusalemme arabi ed ebrei sono scesi in strada insieme, per chiedere la fine delle violenze. A Tel Aviv, su spinta della Ong israeliana Standing Together – che si occupa di integrazione - oltre mille persone hanno sfidato i razzi lanciati da Gaza verso la città, per manifestare il loro “no” alla violenza. “A Gaza e Sderot i bambini vogliono vivere”, hanno scritto i manifestanti sui cartelli, riferendosi anche al lancio di razzi da Gaza verso il Sud del Paese e della risposta israeliana. La manifestazione è stata organizzata anche per protestare contro la violenza che ha visto una casa di arabi a Giaffa oggetto di lanci di molotov, che hanno dato il via ad un incendio nel quale è rimasto gravemente ferito un bambino. Pare che le bottiglie fossero state lanciate da arabi, convinti che nella casa vivessero ebrei, che invece abitano in un altro piano dello stesso stabile. Un'iniziativa analoga, con 150 persone, si è tenuta a Gerusalemme, ma qui la polizia è intervenuta per disperderla. I manifestanti si erano riuniti a Zion Square, nel centro della città, ma gli agenti, temendo che la manifestazione potesse sfociare in violenze, per attacchi da parte di estremisti ebrei o arabi ha bloccato i manifestanti. Momenti di tensione e qualche arresto. "La polizia israeliana è semplicemente una vergogna. Invece di proteggerci, agisce ripetutamente in modo violento contro i manifestanti, e quando si tratta di palestinesi che sono cittadini di Israele, non si astiene nemmeno dall'uso di armi vere", ha denunciato in un tweet Standing Together. Manifestazioni pacifiste si sono svolte anche ad Akko, dove nei giorni scorsi sono state incendiate diverse proprietà di ebrei, tra i quali uno dei più famosi ristoranti del Paese. Il proprietario ha invitato alla calma, spiegando che se gli arabi gli hanno incendiato il ristorante, molti più arabi lo hanno aiutato a spegnere le fiamme. Ad Akko, due giorni fa, si era recato in visita il presidente israeliano, Reuven Rivlin, che aveva incontrato i capi religiosi locali invitando tutti alla calma. "Questa è la casa di tutti", ha detto in quell'occasione Rivlin, "e noi proteggiamo la nostra casa. Non con mazze e coltelli che seminano distruzione e rovina, ma mantenendo la legge e l'ordine. Dobbiamo fermare il ciclo di violenza. Questo è ciò che è necessario in questo momento”. Ad Akko arabi ed ebrei insieme sono scesi insieme in strada per ripulire la città dai resti delle violenze, mentre ad Haifa ragazzini di entrambe le religioni per strada hanno offerto fiori alle auto di passaggio, che invece nei giorni scorsi erano state prese di mira da lanci di pietre.
- AP – Chiesta indagine ufficiale su bombardamento di Al-Jalaa
A due settimane dall'assunzione della carica di direttrice responsabile del Washington Post, Sally Buzbee, al momento ancora alla guida dell’Agenzia Stampa Associated Press, chiede l'apertura di un'indagine privata su quanto accaduto a Gaza due giorni fa: l'abbattimento del palazzo di 12 piani che ospitava gli uffici della stessa AP, dell'emittente Al Jazeera e di altre agenzie d’informazione, a causa di un bombardamento da parte di un drone israeliano. "Obiettivo perfettamente legittimo - ha commentato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – e le autorità israeliane avevano informato gli USA sul fatto che il palazzo venisse usato dagli apparati di intelligence di Hamas. Netanyahu ha dichiarato che l’edificio era un obiettivo perfettamente legittimo, e che gli USA sono stati avvertiti che all’interno del palazzo vi erano ambienti utilizzati dall’organizzazione palestinese Hamas, che ordisce e organizza attacchi contro il territorio israeliano. Sally Buzbee non sembra d'accordo con quanto dichiarato da parte israeliana. Secondo la direttrice di AP, il governo israeliano non ha fornito prove della presenza di cellule terroristiche nel palazzo Al-Jalaa. L'esercito israeliano, che ha dato un'ora di tempo ai giornalisti per lasciare l'edificio, conferma quanto detto dal primo ministro: la torre veniva usata da Hamas per intelligence e armi, in sostanza l'accusa israeliana è che gli impiegati da AP e Al Jazeera fossero sfruttati come scudi umani. Le prove richieste dalla direttrice sono state garantite da Israele, ma non sono ancora arrivate. Associated Press raccontava al mondo che cosa accade nella Striscia di Gaza da quell'edificio, e lo faceva da oltre 15 anni. I suoi reporter hanno riferito di non aver mai notato o sentito nulla di sospetto. Reporters Sans Frontieres, organizzazione non governativa con base a Parigi, ha dichiarato di avere la convinzione che l'esercito israeliano abbia bombardato il palazzo intenzionalmente, contravvenendo alle leggi internazionali e afferma che il vero scopo di questi attacchi era di mettere a tacere l’informazione. RSF ha chiesto quindi alla Corte Penale Internazionale dell'Aja, di aggiungere il bombardamento ad al-Jalaa, alle prove già acquisite per quanto concerne l'accusa di crimini di guerra nei confronti di Israele. Sally Buzbee ha riferito che i giornalisti sono scioccati ma stanno bene e continuano a coprire il conflitto. “Quanto succede ha un impatto sul diritto del mondo a sapere cosa sta accadendo da entrambe le parti", ha dichiarato.
- Roma – Ambasciatore Nazarian: “L'Azerbaijan non ha cessato violenze e soprusi”
Roma – L'ambasciatore armeno presso la Santa Sede, Garen Nazarian, ha criticato le dichiarazioni di Elchin Amirbayov, Assistente del primo vicepresidente della Repubblica dell’Azerbaigian (cioè la moglie del dittatore azero, Mehriban Aliyeva), già rappresentante diplomatico in Francia e in Vaticano, in Italia per una visita ufficiale: "Lo scorso 4 maggio, Amirbyov ha dichiarato”Per chi si domanda ancora quale è la sorte del patrimonio culturale e religioso armeno nel Nagorno-Karabakh sotto occupazione azera facciamo seguire la Dichiarazione del Ministero degli Esteri armeno su cosa sta succedendo con la cattedrale Ghazanchetsots di Sushi. Quale tipo di “lavoro” Amirbayov è venuto a fare qui da noi, si comprende, quando spiega in modo chiaro quali sono i rapporti dell’Italia e della Santa Sede con l’Azerbaigian e come espone “la visione del suo paese per una pacificazione regionale postbellica”. Cioè, invece di un servizio giornalistico leggerete una velina con il copia/incolla dal classico manuale di propaganda, mistificazione e disinformazione in tipico stile sovietico-azero. Amirbayov parla di pace, stabilità e riconciliazione tra paesi vicini e, nel frattempo, il suo governo prosegue la politica della minaccia e dell’uso della forza. Il governo azero continua i suoi atti provocatori al confine meridionale dell’Armenia mettendo in pericolo la stabilità e la sicurezza di tutta la regione. Queste azioni irresponsabili sono ispirate dallo stesso presidente dell’Azerbaijan che persevera nelle sue rivendicazioni territoriali contro la mia nazione e se vuole più dettagli li potrà trovare nell’intervista ad Aliyev del 20 aprile scorso che rivela appieno la natura falsa delle dichiarazioni dei rappresentanti del governo azero su “pace e riconciliazione”. Amirbayov ribadisce anche che, durante la guerra in Artsakh (Nagorno Karabakh), gli attacchi contro le chiese e i monasteri armeni non sono mai stati premeditati. Voglio ricordare, tra i vari crimini di guerra commessi dall’esercito dell’Azerbaijan durante l’aggressione contro l’Artsakh, l’attacco deliberato della cattedrale del Santissimo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi con armi di alta precisione due volte nello stesso giorno, seguito dagli atti di vandalismo dopo che il cessate il fuoco era stato proclamato. Per non parlare del fatto che in questi giorni l’Azerbaijan interviene sulla Cattedrale di Shushi senza consultarsi con la Chiesa Armena Apostolica, violando palesemente il diritto dei credenti armeni alla libertà di religione. Ed è altrettanto e oltremodo preoccupante che l’Azerbaijan abbia iniziato a modificare l’aspetto architettonico della chiesa prima dell’inizio dei lavori da parte della missione di valutazione degli esperti dell’UNESCO. Mi permetta una chiosa poi sull’affermazione di Amirbayov circa lo “spirito di multiculturalismo e di rispetto interreligioso” dell’Azerbaijan. Proprio ieri martedì 12 maggio è uscito, a cura della Commissione USA sulla Libertà Religiosa Internazionale, il 2020 International Religious Freedom Report. Nel rapporto di 108 pagine l’Azerbaijan viene collocato nella speciale lista di nazioni sotto osservazione (Countries recommended for the State Department’s Special Watch List) a causa delle eclatanti violazioni della libertà religiosa nel paese, non da ultime le recenti violazioni commesse durante la nuova guerra contro il Nagorno-Karabakh e i suoi territori circostanti. All’interno della sezione dedicata all’Azerbaijan, il rapporto solleva serie preoccupazioni circa la conservazione e la protezione dei luoghi di culto armeni e sulla vandalizzazione e distruzione di cimiteri e lapidi armene. A tal proposito mi preme ricordare delle decine di migliaia di croci di pietra di epoca medievale, perle dell’umanità, abbattute e distrutte con i bulldozer nel Nakhchivan per cancellare le tracce dell’eredità cristiana armena. Un crimine che è stato commesso in tempo di pace e lascio ai suoi lettori il giudizio sul cosiddetto Azerbaijan tollerante e multiculturale di Amirbayov".