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  • Gerusalemme – Risale la tensione alla Spianata delle Moschee

    Assadakah Beirut - Torna la tensione a Gerusalemme Est, in particolare alla Spianata delle Moschee, riaperta dopo 20 giorni. Il WAQF, l’organizzazione islamica giordana che ha l’autorità religiosa sull’area, ha affermato che le forze di sicurezza israeliane hanno disperso con la forza i alcuni fedeli impegnati nella preghiera del mattino, per scortare 50 coloni ebrei al Monte del Tempio. L’Autorità Nazionale Palestinese ha reagito con rabbia all’accaduto, accusando Israele di voler fomentare nuove tensioni, dopo che ai violenti scontri tra palestinesi e polizia israeliana avvenuti alla fine del Ramadan era seguito un nuovo confronto militare tra lo Stato ebraico e Hamas, nella striscia di Gaza. Il WAQF ha riferito che, prima di scortare i 50 coloni ebrei, le forze di sicurezza israeliane hanno attaccato con l’uso della forza bruta i fedeli musulmani raccolti in preghiera all’alba. Alcuni palestinesi sono stati aggrediti e malmenati. Secondo l’agenzia stampa palestinese Wafa, i musulmani arrestati sono almeno sei, tra i quali Fadi Alyan, guardiano della Moschea di Al-Aqsa che stava tentando di filmare l’accaduto, e Ali Wazouz dipendente del WAQF. La polizia israeliana ha quindi chiuso ai palestinesi di età inferiore ai 45 anni l’accesso alla Spianata, ha disperso i giovani presenti e ha chiesto ai cittadini arabi che intendevano entrare di lasciare il documento di identità, una volta appurato che fossero abbastanza anziani. Il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, ha spiegato all’Associated Press che l’area è stata aperta per “visite regolari” e che le forze dell’ordine l’hanno messa in sicurezza per “prevenire incidenti”. Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, ha avvertito che “l’attuale assedio israeliano del quartiere di Sheikh Jarrah”, dove alcune famiglie arabe sono a rischio sfratto per far posto a coloni ebrei, e “i continui raid nel complesso della Moschea di Al-Aqsa potrebbero far tornare una situazione di escalation e tensioni”. Il portavoce di Abu Mazen, ha poi accusato Israele di sabotare gli sforzi per la pace di Stati Uniti ed Egitto e di “portare avanti una politica di escalation e provocazioni”, che “favorisce gli estremisti”, in quello che appare come un riferimento alla divisione interna fra Hamas Al Fatah, la fazione palestinese che amministra la Cisgiordania.

  • L'Italia richiama la memoria dei giudici caduti

    Assadakah Roma - L'Italia ricorda i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (e le numerose altre vittime) assassinati dalla mafia 29 anni fa. Molti Comuni, con il sostegno dei propri cittadini, hanno organizzato per l'occasione incontri pubblici. "Sindacati e Comuni, così come molte università, hanno un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione, poiché gestiscono scuole dove inizia il lavoro di sensibilizzazione. I programmi scolastici includono materiali speciali sul pericolo della mafia nella società. Il pubblico di oggi. la partecipazione indica la coscienza e la forte volontà della popolazione di combattere mafia e criminalità", come il tragico crimine che ha portato all'uccisione dei giudici. Il 23 maggio 1992, mille chilogrammi di tritolo hanno ucciso Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, che combattevano per questo. Per molti lunghi anni, il giudice Falcone, sua moglie, il giudice Francesca Morvillo, e tre delle guardie del corpo, , si erano dedicati alla lotta contro la mafia, ben sapendo che tale scelta li avrebbe portati nel mirino della criminalità organizzata, e alla fine è accaduto. Lo stesso è avvenuto poco tempo dopo, con la morte del giudice Paolo Borsellino, assassinato da un'autobomba a Palermo. Tutti i suoi spostamenti erano pianificati e studiati in anticipo. Il periodo degli anni Ottanta in Italia, e in particolare in Sicilia, è stato caratterizzato da troppi cadaveri, come avvenne anche per quanto riguarda il giudice Rocco Chinnici, capo del Pool Antimafia della Procura di Palermo, o per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie, o il leader comunista Pio La Torre, che aveva promosso un'importante legge per autorizzare il sequestro dei beni alla mafia. Stesso discorso per quanto riguarda Piersanti Mattarella, fratello dell'attuale Presidente della Repubblica. La lista è decisamente lunga. La mafia ha avviato una campagna terroristica per spaventare lo Stato e assicurarsi che il governo si sottomettesse ai suoi desideri, e fu a questo punto che scesero in campo i giudici Falcone, Borsellino e molti altri. Le indagini condotte da questi eroici rappresentanti della legalità non sono state vane. (fonte: National News Agency - Beirut)

  • Caso Attanasio – La verità

    Redazione Assadakah – Luca Attanasio, ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo, è stato ucciso il 22 febbraio insieme al carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo. Sulle prime si è pensato a un’aggressione a scopo di rapina, finita in tragedia, ma da subito è stata anche presa in considerazione una esecuzione in piena regola, vistò l’incarico ufficiale del diplomatico italiano e le ricerche che stava conducendo. Secondo le comunicazioni delle autorità congolesi, sono stati anche effettuati alcuni arresti, ma ciò che conferma l’esistenza di ben altro, è che solo otto giorni dopo è stato ucciso anche il magistrato militare che conduceva le indagini sul caso Attanasio, e sulla stessa strada fra Goma e Rutshuru. Il maggiore William Mulahya Hassan Hussein stava rientrando al proprio ufficio, dopo avere partecipato a una riunione sulla sicurezza nella regione del Nord Kivu e, in particolare, sullo stato dell’indagine circa l’uccisione dell’ambasciatore italiano e dei suoi accompagnatori. Secondo quanto riferiscono fonti missionarie italiane sul posto, e la emittente locale Radio Okapi, il maggiore Hussein è stato attaccato, in una imboscata, da alcuni uomini armati nei pressi di Katale, a circa 50 km da Goma, lo scorso 2 marzo. Ci sarebbe stato uno scontro a fuoco e il magistrato militare è rimasto ucciso sul colpo. Sebbene Radio Okapi non faccia riferimento all’ambasciatore italiano, non esiste dubbio sul fatto che le due morti siano direttamente collegate, oltre che avvenute sulla pericolosa Route National 2, non lontano dal villaggio di Kibumba, in località Tres Antennes. Tutta l’area di Goma, capoluogo del Nord Kivu, è di fatto, e illegalmente, territorio rwandese. L’attuale presidente Paul Kagame, è indicato come il braccio esecutivo di USA, Inghilterra e Canada per quanto riguarda i miliardari affari minerari e i traffici clandestini basati sullo scambio minerali-armamenti. Vi è tutto l’interesse a mantenere una situazione di caos, che favorisce i traffici illegali. Basti pensare che sono circa una novantina le grandi aziende internazionali coinvolte nell’estrazione di cobalto, coltan, oro, diamanti, stagno, gas, e il petrolio del Parco Virunga, dove operano oltre un centinaio di milizie, fra cui anche un gruppo affiliato all’Isis. Luca Attanasio sarebbe venuto a conoscenza, da diverse fonti locali, di assalti e uccisioni di massa, e dell'esistenza di fosse comuni, e aveva manifestato l'intenzione di indagare per identificare questi luoghi e raccogliere le prove di tali atti criminali. Lo stesso Jean Claude Rusimbi, membro di spicco del Fronte Patriottico Rwandese, pare abbia dichiarato che l’ambasciatore italiano doveva essere eliminato perché era informato. L’ordine di uccidere Attanasio sarebbe partito dallo stesso Rusimbi, che ne avrebbe affidato l’esecuzione al proprio luogotenente “Didier” con altro quattro uomini fidati. Dopo avere portato a termine l’incarico, gli assassini avrebbero fatto ritorno a Rubavu, in Rwanda, attraverso Kanyarucinya. Il tutto sotto la regia dello stesso presidente Paul Kagame, da oltre 25 anni padrone del Rwanda, e della regione Grandi Laghi, per conto terzi. Nel frattempo, l’indagine ONU sull’attacco non ha chiarito molto dell’imboscata, pur alla luce delle dichiarazioni di Rocco Leone, vice direttore del WFP in Congo, sopravvissuto all’agguato.

  • Gaza – Dopo il cessate-il-fuoco, riprendere il dialogo

    Roberto Roggero – La tregua stabilita fra Hamas e Israele, dopo 11 giorni di guerra, grazie alla mediazione egiziana, era di certo un passo necessario, ma garantisce comunque una pace provvisoria. Nessuno può sapere se il fuoco sotto la cenere esploderà nuovamente fra una settimana, un mese, un anno. E' quindi necessario bloccare definitivamente questo circolo vizioso, che produce solo morte e distruzione, e l'unico modo per farlo è portare al tavolo della discussione tutte le parti coinvolte, perché riprendano il processo di pace interrotto anni fa. Più si attende, più sarà difficile ridare speranza alla Road Map di Oslo. Le condizioni di un negoziato oggi non esistono, né sul fronte israeliano, in assenza di un governo stabile e considerata la deriva verso l’estrema destra, né sul fronte palestinese, diviso al suo interno. Lo status quo, però, è insostenibile, e non genera rassegnazione, ma frustrazione e collera. In passato Israele ha negoziato con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, l’OLP di Yasser Arafat, un’azione all’epoca vietata dalla legge israeliana, e quindi esistono reali possibilità di riprendere una trattativa. Insomma, siamo al punto di dover raccomandare “chi ha più giudizio, lo usi”. Quali possono essere gli argomenti per dialogare con Hamas? Al momento la domanda è retorica, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi. Hamas è tuttora considerata un’organizzazione terrorista, ma la pace si fa con i nemici, non con gli amici. In Afghanistan gli Stati Uniti hanno negoziato con i Talebani, responsabili di atrocità indicibili. La trattativa è indispensabile quando non si riesce a vincere e quando le parti stesse si auto-alimentano con le soluzioni provvisorie. Da anni gli osservatori più attenti sottolineano l’esistenza di fazioni opposte in seno alla stessa struttura di Hamas: quella “diplomatica” e quella che invece sostiene la lotta armata. Negli ultimi anni Hamas ha fatto piccoli passi per allontanarsi dalla sua posizione iniziale, che puntava alla scomparsa di Israele. Il movimento islamista aveva perfino accettato di partecipare alle elezioni previste nel quadro degli accordi di Oslo, contro i quali peraltro si era schierato all’epoca della firma. Eppure le elezioni di quest’anno sono state annullate da Abu Mazen, a quanto pare proprio perché Hamas avrebbe potuto ottenere un buon risultato. Negli ultimi anni diverse voci si sono levate per spingere Hamas ad abbandonare la violenza e diventare una forza politica a tutti gli effetti, ma non è stato possibile, ma una volta che sarà cessato il rumore delle armi bisognerà porsi la domanda sul “dopo”, cercando in tutti i modi di scongiurare scontri che non farebbero altro che alimentare l’odio e le violenze di domani.

  • Yerevan - Governo accoglie Risoluzione del Parlamento Europeo su prigionieri armeni

    Assadakah Yerevan - Il ministero degli Esteri armeno ha commentato l'adozione da parte del Parlamento Europeo di una Risoluzione sui prigionieri di guerra armeni detenuti da parte azera: “Il 20 maggio il Parlamento Europeo ha approvato a stragrande maggioranza una risoluzione sui prigionieri di guerra armeni detenuti nella prigionia azera, che ha anche toccato il contesto più ampio del conflitto del Nagorno-Karabakh e la sicurezza regionale. La Risoluzione stabilisce una chiara richiesta per il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri di guerra armeni e dei civili catturati durante o dopo la guerra. Viene inviata una chiamata indirizzata al governo azero per fornire un elenco esaustivo di tutte le persone tenute in prigionia, informazioni sulla loro salute, comprese quelle che sono morte in cattività. Allo stesso tempo, è stata espressa una grave preoccupazione per i rapporti credibili, secondo i quali prigionieri di guerra armeni e altre persone prigioniere sono state e sono detenute in condizioni degradanti e che sono state sottoposte a trattamenti disumani e torture. In questo contesto il Parlamento Europeo condanna tutti i casi di tortura e sparizioni forzate. La Risoluzione chiede inoltre di astenersi da retoriche ostili o azioni volte ad aggravare la situazione e condanna l'apertura del cosiddetto "Parco dei trofei" a Baku, sollecitandone la chiusura senza indugio. La necessità di risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh sotto gli auspici della Co-Presidenza del Gruppo di Minsk dell'OSCE e sulla base dei Principi Fondamentali da loro presentati, tra cui la parità di diritti e l'autodeterminazione dei popoli con l'obiettivo di determinare lo status futuro è stato anche sottolineato il Nagorno-Karabakh. Le disposizioni del Parlamento Europeo sul conflitto del Nagorno-Karabakh, comprese le questioni umanitarie, sono estremamente importanti. Il Parlamento Europeo ha affermato che le violazioni del diritto umanitario da parte dell'Azerbaijan equivalgono a sparizioni forzate. Le suddette violazioni sono crimini di guerra e l'Armenia intraprenderà le misure necessarie per assicurare gli autori di tali crimini alla giustizia internazionale. La Risoluzione afferma chiaramente che intromettendosi nel territorio dell'Armenia il 12 maggio, l'Azerbaijan ha violato il diritto internazionale e l'integrità territoriale dell'Armenia. In questo contesto è stata espressa particolare preoccupazione per le dichiarazioni dei rappresentanti azeri, compreso il presidente, che sembravano sollevare rivendicazioni territoriali e minacciare l'uso della forza. Il Parlamento Europeo considera queste azioni dell'Azerbaijan come passi volti a minare gli sforzi per la sicurezza e la stabilità nella regione. Questa Risoluzione del Parlamento europeo dimostra ancora una volta che è impossibile risolvere con la forza il conflitto del Nagorno-Karabakh e privare il popolo dell'Artsakh dei suoi diritti inalienabili, compreso il diritto all'autodeterminazione”.

  • Beirut – Bassil: “Hariri formi subito il governo per attuare le riforme”

    Assadakah Beirut - Il capo del Movimento patriottico libero, MP Gebran Bassil, ha sottolineato, nel suo discorso durante la sessione parlamentare odierna dedicata alla discussione della lettera del presidente Michel Aoun, che "la sua priorità è esortare il primo ministro designato Saad Hariri a formare il governo, e non ritirare la sua designazione, poiché l'obiettivo è accelerare la formazione di un governo per attuare le riforme". "Non possiamo impostare un programma di riforme completo se non c'è un governo e, più correttamente, non c'è stabilità politica, economica o sociale nel paese se non formiamo un governo", ha affermato. "L'obiettivo è sollecitare Hariri a formare il governo e nient'altro", ha sottolineato Bassil, spiegando che "la questione non è settaria e nessuno può portarla in questa direzione, ma può essere inserita nel quadro della Carta costituzionale”. Ha aggiunto: "La crisi può essere una crisi di un sistema e di una costituzione, e questa questione non può essere risolta da solo Hariri o dal Presidente della Repubblica, o da qualsiasi blocco parlamentare da solo ... La crisi ha bisogno che il parlamento si riunisca. in assemblea generale, su lettera del Presidente della Repubblica, perché si possa fare qualcosa". Bassil ha indicato che la formazione del governo ha una certa metodologia ed è soggetta alla carta, aggiungendo che nessuno può escludere una certa setta da questo processo, né alcuna setta può monopolizzare la formazione del governo. "Il solo fatto che il Presidente della Repubblica firmi il decreto di designazione implica che ogni dettaglio della formazione del gabinetto è soggetto alla sua approvazione", ha sottolineato. Bassil ha proseguito affermando che "non possiamo essere accusati di mirare a un terzo potere di veto in un governo di specialisti, come abbiamo indicato di non volerlo, e così ha sottolineato sin dall'inizio il Presidente della Repubblica". "Sosterremo il governo in ogni fase di riforma e non ostacoleremo la sua formazione, poiché è nel nostro interesse formare un gabinetto produttivo", ha affermato il parlamentare. "La nostra costituzione non fissa scadenze, e questo è un problema. La costituzione deve essere sviluppata in questo senso per essere salvaguardata, e noi, come blocchi, abbiamo proposto un emendamento costituzionale equilibrato e logico", ha concluso Bassil.

  • Gaza - Difficile riprendere il Processo di Oslo

    Redazione Assadakah – L'ennesima escalation di vilenza, sfociata in stato di guerra, è stata fermata dopo 11 giorni di ostilità, che hanno causato fin troppe morti. Il presidente egiziano Al-Sisi ha diretto i negoziati che sono stati coronati da successo, ma è anche legittimo domandarsi per quanto tempo reggerà questo stato di tensione? E il Consiglio di Sicurezza ONU quali decisioni prenderà a questo punto? Vi è in gioco il prestigio delle Nazioni Unite, manifesto ormai sbiadito, e una ripresa di credibilità potrebbe essere molto positiva. Lo stato delle cose appare ormai chiaro: Israele vuole smantellare Hamas, senza sapere che arrivare a un obiettivo del genere è impossibile. Sradicare Hamas da Gaza non è nemmeno pensabile. Inoltre, sia israeliani che palestinesi, si sono concessi una tregua, come molte volte in precedenza, e i risultati non sono incoraggianti. Gli scontri armati potrebbero riprendere in qualsiasi momento, fra tre o sei mesi, o tre anni, ma visti i precedenti è difficile pensare che possa durare. Una delle poche speranze, visto che la “semplice” volontà di pace sembra non essere sufficiente, potrebbe essere la ripresa dei colloqui di Oslo per arrivare alla creazione di due Stati, ma è un passo estremamente difficile da compiere, vista la situazione. Potrebbero esserci degli emendamenti, come il riconoscimento di una federazione o confederazione, ma è un'ipotesi che rasenta la fantapolitica. C’è anche da considerare la presenza della Autorità Palestinese di Ramallah, in Cisgiordania. La sua antica mancanza di fantasia e la rigidità nel negoziare ora sono enfatizzati dalla maggiore visibilità di Hamas, e qualsiasi ipotetica concessione a favore di un negoziato non è certo ben vista.

  • Gaza - Tregua dopo 11 giorni di guerra, grazie ad Al-Sisi

    (Assadakah Beirut) - Dopo giorni e giorni di bombardamenti, missili, e soprattutto vittime innocenti, con la mediazione dell'Egitto, è stato instaurato il cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza. Uno dei primi commenti è giunto dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che esorta le parti a sfruttare la tregua per stabilizzare la situazione e trovare una soluzione politica, che porti alla pace duratura. A questo punto è una notizia decisamente confortante, dopo il pessimo sviluppo di mercoledi, quando il premier israeliano Netanyahu aveva escluso ogni possibilità di discussione. E' stato questa notte che il Gabinetto di Sicurezza israeliano ha deciso di accogliere la proposta, alla quale di è giunti con la fondamentale mediazione del governo egiziano e del presidente Al-Sisi, vero regista dell'accordo. Poco dopo anche Hamas ha confermato, dopo 11 giorni di guerra. Dovrebbe essere l’Egitto il garante dello stop del lancio di razzi di Hamas da Gaza.

  • Draghi: “Senza bambini, l'Italia è destinata a scomparire

    Talal Khrais, NNA Roma – Traduzione dalla versione originale in lingua araba - Ad ogni nuovo censimento in Italia si registra un'ulteriore diminuzione delle nascite. Nel 2019 il numero dei bambini venuti alla luce ha raggiunto quota 420.084, quasi 20.000 bambini in meno rispetto all'anno precedente e 156.000 in meno rispetto al 2008. La giornalista e scrittrice Letizia Leonardi, intervistata sull’argomento dal National News Agency ANN Nazionale, ha dichiarato: "Per la prima volta negli ultimi novant’anni l’Italia è in fase di preoccupante calo demografico. Un fenomeno iniziato nei primi anni 2000 e che è andato progressivamente accentuandosi. La diminuzione o l’incremento delle nascite misura la qualità della vita, il benessere economico e il livello dei servizi socio educativi di uno Stato. Purtroppo, dopo il boom economico degli anni ’80 e ’90, l’introduzione dell’euro ha determinato in Italia un’immediata svalutazione del potere d’acquisto e così, nel corso degli anni, abbiamo assistito a un aumento della povertà delle famiglie. È salita la disoccupazione e di conseguenza sempre più giovani emigrano all’estero o si sposano in tarda età. E una volta sposati per mandare avanti la famiglia è necessario che entrambi i coniugi lavorino. Spesso sono i nonni che, dopo la pensione, si dedicano a tempo pieno ai nipoti, compensando così la carenza di servizi forniti dallo Stato per i figli delle coppie che lavorano. Da questo punto di vista sono sempre meno le famiglie che decidono di avere più di un bambino, il che porta a una grave decrescita demografica e all’invecchiamento della società”. "L'Italia, nell’arco di sei anni, a causa della diminuzione della natalità, sta perdendo l'equivalente della popolazione della città di Genova", scrive il quotidiano La Stampa. Sempre nello stesso giornale si legge che: "ci sono altri fattori che hanno portato a un calo delle gravidanze. Durante il convegno "Condizioni generali del parto" organizzato a Roma, alla presenza del Santo Padre Francesco, Draghi ha avvertito che: "L’esistenza dell'Italia scomparirà lentamente a causa dell'assenza di bambini". "Oggi - ha spiegato il Premier - la metà degli italiani ha almeno 47 anni, la media più alta d'Europa. L'Italia senza figli è un'Italia che non crede né progetta”. Ha sottolineato anche che le ragioni del calo dei tassi di natalità sono in parte economiche, ma il tasso di natalità diminuisce anche nelle società che stanno crescendo a un ritmo più veloce della nostra. Questo indica che il problema è più profondo e legato all'insicurezza e all'instabilità, e affinché i giovani decidano di avere figli, hanno bisogno di un lavoro sicuro, una casa, un sistema di assistenza all'infanzia e servizi per i bambini". Draghi ha detto anche che purtroppo siamo lontani in Italia su tutti questi fronti. I giovani faticano a trovare lavoro, e quando ci riescono spesso devono soccombere ai rischi di instabilità. Pochissime persone riescono a comprare casa e la spesa sociale per famiglie è inferiore a quella di altri Paesi, come Francia e Regno Unito. Il primo ministro ha concluso dicendo che: "Anche prima della crisi sanitaria, l'Italia ha sofferto di un preoccupante e continuo calo del tasso di natalità e nell'anno dell'epidemia la sua gravità è aumentata. Il 2020 è stato anche testimone di un'ampia differenza tra nascite e morti, che ha toccato un record negativo: 340.000 persone in meno".

  • Beirut – Patriarca Rai: “La soluzione è riconoscere lo Stato di Palestina”

    (Assadakah Beirut) – Il patriarca maronita Beshara Boutros Rai ha commentato le violenze in atto in Medio Oriente e, in particolare, sulle conseguenze che queste portano per il Libano. “Le violenze subite dai palestinesi fanno stringere il cuore, e solo una soluzione autentica e definitiva della questione palestinese può fermare questa situazione, dopo 73 anni di guerre, devastazioni e oppressione israeliana. Ma il Libano deve trovare modi pacifici per manifestare la propria solidarietà con il popolo palestinese, mantenendo la propria neutralità rispetto al conflitto armato e evitando ogni tipo di coinvolgimento militare". L'appello alla neutralità libanese, è stato pronunciato durante la messa presso la sede patriarcale di Bkerke. Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, il patriarca ha invitato le autorità libanesi a tenere sotto stretto controllo il confine israelo-libanese, evitando che il territorio libanese diventi una piattaforma per lanciare missili in territorio israeliano. Il cardinale Rai ha anche ribadito che l'unica possibilità di porre fine ai conflitti arabo-israeliani passa attraverso il reale riconoscimento dello Stato palestinese, indipendente e sovrano, da parte di Israele. La fuga verso il Libano di rifugiati palestinesi e' iniziata nel 1948, anno della nascita dello Stato d'Israele. Secondo i dati forniti dall'ONU, in Libano risiedono 300mila rifugiati palestinesi, raccolti in 12 campi profughi, dove vivono spesso in condizioni di estrema povertà. Diverse manifestazioni pro-palestinesi si sono tenute negli ultimi giorni nei pressi del confine israelo-libanese, con i dimostranti che hanno tentato di lanciare bombe molotov contro le postazioni militari israeliane. L'esercito israeliano ha risposto con lancio di lacrimogeni e proiettili, provocando venerdì scorso la morte di un manifestante libanese di 21 anni.

  • Gaza - Telefonata Egitto-Qatar per cercare la tregua

    ( Assadakah Beirut) - Colloquio dei ministri degli Esteri di Egitto e Qatar, che hanno superato le reciproche rivalità per un Medio Oriente pacificato e all'insegna della cooperazione. In questo senso, i ministri hanno avuto un colloquio, concordando "sulla necessità di un cessate il fuoco a Gaza e sull'importanza di raggiungere un cessate-il-fuoco immediato tra le due parti". Lo ha riferito il sito Egyptan Street dando conto di una telefonata avvenuta ieri sera tra il ministro degli Esteri del Qatar, Muhammad bin Abdulrahman al-Thani, e il suo omologo egiziano, Sameh Shoukry. La telefonata rientra nel quadro del coordinamento tra l'Egitto e altri Paesi e, nello specifico, Egitto e Qatar hanno deciso di continuare il coordinamento bilaterale e regionale per agire nell'interesse del popolo palestinese.

  • SUDAN, UN PAESE IN TRANSIZIONE

    lL Sudan, questo bellissimo Paese,- Bilad al-Aswad- e' fondamentale per l'Europa e per l'Italia, crocevia tra il Corno d'Africa e il Sahel : finalmente c'è stata una Conferenza internazionale a Parigi dedicata solo a al Sudan, al difficile processo di transizione in atto nello Stato che esce da anni di guerre e tensioni politiche ma che si sta avviando verso una rinascita economica. Per sostenerla ci sono in programma cinque importanti riforme: la costituzionale, la riforma amministrativa con l'aiuto di PwC e fondi USAID, la riforma della legge quadro degli investimenti ( Legge anti corruzione del 2020, Legge degli investimenti 2021, PPP, legge sulla partnership pubblico-privato), la riforma dei servizi e del settore bancario ( finalmente banche convenzionali possono operare nel Paese insieme alle banche islamiche ) e infine la riforma del mercato dei capitali: 37 banche nel Paese con un sistema sostenuto dall'UE e sponsorizzato dalla Francia. Potenzialmente il Sudan potrebbe diventare una delle 5 grandi economie dell'Africa per la sua posizione geografica, per l'abbondanza di acqua, per risorse umane giovani (ben 31 università con oltre 100000 laureati all'anno), per l'immenso potenziale agricolo, la pesca, le riserve petrolifere e l'industria tessile: si prevede una crescita economica di US$ 300 bn entro il 2050. UNO SGUARDO AL SETTORE PRIVATO Alcune delle multinazionali più conosciute si sono già insediate nel Paese:Coca Cola, Siemens, LG, VISA ma sono le piccole e medie imprese che costituiscono l'ossatura economica...se ne contano oltre 600000 nei diversi settori: manifatturiero, agrifood, farmaceutico, logistica, telecomunicazioni e costruzioni STRATEGIE 2021 - 2023 IMPORT - EXPORT Con le riforme e l'eliminazione delle sanzioni il Sudan si prepara ad entrare nel WTO. Uno sguardo sulle infrastrutture presenti e sui progetti a venire: e la roadmap verso il benessere economico previsto per il 2030 Fonti: Ministero degli Investimenti e della Cooperazione Internazionale - Khartoum - Sudan

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