L’Italia nel mondo Arabo e il mondo Arabo in Italia
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- Mali – Liberati presidente e primo ministro
Redazione Assadakah - Il presidente della Transizione del Mali Bah N'Daw e il primo ministro Moctar Ouane sono stati rilasciati dai militari golpisti che il 25 maggio li hanno deposti con la forza e detenuti nella base militare di Kati. I due leader, ora dimissionari, sono tornati a casa e starebbero bene. Il responsabile del colpo di Stato, Assimi Goita, dovrebbe ora assumere di fatto la presidenza della Transizione e rinunciare alla carica di vicepresidente che ricopriva finora. Ieri, dopo la riunione speciale tenuta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere della crisi in Mali, gli Stati Uniti hanno condannato la detenzione dei due leader. "Sosteniamo la dichiarazione congiunta della Cedeao (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale) e dell'Unione africana del 24 maggio e stiamo lavorando a stretto contatto con il comitato locale di monitoraggio della Transizione e altri attori internazionali per ottenere il rilascio immediato e incondizionato dei detenuti e la ripresa della Transizione guidata dai civili", ha dichiarato il portavoce del dipartimento di Stato Usa Ned Price in una nota. Goita ha giustificato il golpe sostenendo che la decisione è stata presa dai militari "a seguito di una crisi durata diversi mesi a livello nazionale" e dato che "il governo guidato da Ouane si è mostrato incapace di costituire un interlocutore affidabile, idoneo a garantire la fiducia dei partner sociali". Nel processo di costituzione di un nuovo governo, definito pochi giorni prima del sequestro, si legge nella dichiarazione, "il primo ministro Ouane ha stabilito una lista di governo d'intesa con il presidente della Transizione senza consultarsi con il vicepresidente responsabile delle prerogative conferitegli dalla Carta", vale a dire la nomina dei ministri della Difesa e della Sicurezza. "Un tale approccio testimonia una chiara volontà del presidente della Transizione e del primo ministro di procedere verso una violazione della Carta, contrariamente al giuramento prestato durante la sua inaugurazione il 25 settembre 2020. Nel tentativo di arginare la crisi, a Bamako è arrivato l'ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan come mediatore della Cedeao.
- "Israele ha scatenato una guerra contro la Palestina"
(a cura dell'Ambasciata di Palestina in Italia) - Ovviamente, il cessate il fuoco seguito ai bombardamenti israeliani che per 11 giorni (dall’11 al 21 maggio) hanno martoriato Gaza è una buona notizia, ma questo non sarebbe un vero risultato se non portasse ad un cambiamento delle politiche di Israele, che sottopongono la popolazione palestinese a continue vessazioni esponendola a rischi quotidiani concreti e rendendo la situazione esplosiva nell’intera regione. Se il cessate il fuoco dovesse semplicemente riportare la lancetta al giorno prima dei bombardamenti israeliani, questo non comporterebbe la fine delle sofferenze del popolo palestinese. Se la comunità internazionale non si metterà duramente al lavoro per individuare le responsabilità dell’occupazione israeliana chiedendo a Israele di rispondere dei suoi crimini, saremo di nuovo al punto di partenza. Dobbiamo tenere a mente che il punto di partenza è l’occupazione e dobbiamo ricordarci che cosa significa occupazione: presenza militare e controllo della tua terra da parte di una potenza straniera. Nel caso dei palestinesi, la situazione è aggravata dal furto di terra portato avanti dai coloni, che vivono illegalmente sui loro territori e sfruttano le loro risorse impedendo ai loro cittadini di goderne. Immaginate se tutto questo accadesse in Italia. Parliamo di vere e proprie annessioni, che il diritto internazionale ritiene totalmente illegali. Una situazione di fatto, imposta con l’uso della forza, non è legittima. Questo principio universale del diritto si applica anche a Israele, che non può essere al di sopra della legge e deve farsi carico delle proprie responsabilità. Lo dicono molte risoluzioni delle Nazioni Unite, che in molti casi riguardano proprio Gerusalemme Est, dove tutto è cominciato: i palestinesi che vivono a Gerusalemme Est non sono in nessun modo israeliani e vivono nella legittima capitale della Palestina, che secondo il diritto internazionale non appartiene a Israele, ma è stata occupata dall’esercito e dai coloni israeliani nel 1967. Chiunque abbia letto i giornali sa che la miccia della cosiddetta “escalation” è stata innescata dalla repressione israeliana durante le celebrazioni del Ramadan, che hanno visto coloni ed esercito aggredire i fedeli perfino dentro alla Moschea di Al-Aqsa; dagli sfratti nel quartiere di Sheikh Jarrah, che non sono “questioni private” ma parte della pulizia etnica che Israele porta avanti a Gerusalemme Est senza alcun titolo; e dal boicottaggio delle elezioni palestinesi, ottenuto proibendo ai cittadini di questa città di votare per il proprio Parlamento e il proprio Presidente. Ben prima che partissero i famosi razzi da Gaza, la violenza e le provocazioni delle forze di occupazione e dei coloni avevano raggiunto livelli mai visti, fino a profanare i luoghi sacri. L’attenzione dei media italiani sui razzi di Hamas è stata per questo paradossale e fuorviante. Si è parlato di autodifesa di una potenza occupante e si è rimosso completamente dalla narrazione tutto ciò che veniva prima: non solo ciò che è accaduto nelle sconvolgenti giornate di Gerusalemme Est, ma anche quello che va avanti da anni in tutta la Palestina, cioè l’espandersi delle colonie illegali, la demolizione delle case palestinesi, le detenzioni arbitrarie, le uccisioni ingiustificate, le condizioni di vita miserabili alle quali sono condannati i palestinesi, l’Apartheid, l’impossibilità di avere un loro Stato. In poche parole, non si è parlato dell’occupazione, che è la vera causa di tutti i mali a cui abbiamo assistito e continueremo ad assistere, se le cose non cambiano. Ci saremmo aspettati un minimo di apprezzamento per gli sforzi della leadership palestinese di resistere a tutto questo in modo pacifico. A Gaza, le forze di occupazione hanno distrutto 132 edifici compresa la torre sede di diverse testate giornalistiche, 316 unità abitative, 9 centri medici tra cui l’unico laboratorio di analisi per i test Covid, e 6 ospedali. Sotto le bombe israeliane sono morte almeno 248 persone: di queste, 75 erano bambini, 39 erano donne e 17 anziani. Nessuno di loro era uno “scudo umano”, erano tutti esseri umani. A sentire Israele, è colpa loro se sono morti. Ed è colpa degli abitanti della Striscia se adesso devono contare 2.000 feriti e 100.000 sfollati, senza casa e in cerca di rifugio. Questa aggressione traumatizza ulteriormente una popolazione già bersagliata: non solo quella di Gaza, fatta di 2 milioni di persone che vivono da 14 anni sotto assedio – altro che “Singapore del Medio Oriente”, come si è permesso di dire l’Ambasciatore di Israele in Italia - ma quella di tutta la Palestina, vulnerabile alla macchina da guerra della potenza occupante e senza la protezione internazionale di cui ha disperato bisogno. Se le uccisioni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est in questo periodo si sono moltiplicate, le bombe del maggio 2021 ricordano quelle cadute su Gaza nel 2008, nel 2012 e nel 2014, per cui non è stata ancora fatta giustizia ma su cui la Corte Penale Internazionale sta giustamente investigando. Risulta evidente che non ci sarà mai pace senza giustizia. Dopo il cessate il fuoco, serve un’immediata iniziativa politica basata sul diritto internazionale e le risoluzioni ONU, che metta fine all’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi del 1967 con capitale Gerusalemme Est, e risolva la questione dei rifugiati sulla base della Risoluzione ONU 194 del 1948, che garantisce il diritto al ritorno anche attraverso forme di risarcimento. L’intervento della comunità internazionale e del Quartetto per il Medio Oriente sono a questo punto obbligatori, anche perché Israele, su questi punti come su molti altri, disconosce totalmente il diritto internazionale e continua a parlare, anche per bocca del suo Ambasciatore in Italia, di “territori contesi”, negando volutamente il significato delle risoluzioni delle Nazioni Unite, che parlano esplicitamente di “Territorio Palestinese Occupato” (vedi ad esempio la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2334 del dicembre 2016). Nel frattempo, la Palestina ringrazia tutte le associazioni, i movimenti e le forze politiche italiane e di tutto il mondo che hanno dimostrato una vicinanza preziosa in un momento drammatico. Le loro manifestazioni, numerose e partecipate, provano ancora una volta il legittimo diritto del popolo palestinese ad essere libero.
- Yerevan – Pashinyan: “I soldati armeni sequestrati in zona di confine”
Assadakah Yerevan - Il primo ministro custode Nikol Pashinyan ha commentato l'incidente del 27 maggio al confine armeno-azero: "Sei militari delle forze armate armene sono stati sequestrati al confine, sul territorio sovrano armeno, mentre eseguivano lavori di bonifica di mine, inoltre voglio sottolineare in particolare che questi lavori sono stati eseguiti parallelamente all'installazione di segnali di avvertimento, per aumentare il livello di protezione del confine armeno”. Pashinyan ha detto che le circostanze che circondano le sei truppe armene catturate devono essere determinate, ma ha sottolineato che ciò che è accaduto è in realtà un rapimento: "I processi in corso sono del tutto inaccettabili per l'Armenia e incidenti come questo stanno accadendo perché alcuni vogliono che ci adattiamo alla presenza delle forze azere sul nostro territorio, cosa che non può accadere. Trovo molto importante sottolineare su questo incidente che questo problema non dovrebbe essere utilizzato per scopi politici interni, penso che tutti i tentativi di utilizzare questa situazione contro l'esercito e le forze armate debbano essere condannati, perché le nostre truppe, l'esercito stanno adempiendo al loro funzione di protezione dei confini della Repubblica di Armenia", ha detto Pashinyan, aggiungendo che la situazione in corso è una minaccia diretta all'integrità territoriale e alla sovranità dell'Armenia, una grave violazione del diritto internazionale, e che questo è il caso in cui l'Armenia deve usare tutte le leve . “Penso che la nostra società debba essere unita attorno alle nostre forze armate, all'esercito e alle istituzioni statali. La richiesta è chiara, le forze armate azere devono ritirarsi incondizionatamente dal territorio armeno, e l'Armenia sarà sobria in tutte le situazioni e la gestione delle provocazioni dovrà essere fatta con la massima prudenza. Le forze armate devono continuare a svolgere le loro funzioni di salvaguardia della protezione e della forza dei confini armeni e dell'integrità territoriale. Per quanto difficile sia oggi la situazione che stiamo attraversando, le azioni e le affermazioni emotive e sbilanciate sono totalmente inappropriate".
- Beirut – Michel Aoun incontra ambasciatrice USA
Assadakah Beirut – Il presidente della Repubblica del Libano, Michel Aun, ha accolto l'ambasciatrice americana Dorothy Shea, accompagnata dal capo missione Richard Michaels. L'incontro ha come tema centrale i rapporti bilaterali fra Stati Uniti e Libano, e naturalmente la situazione regionale alla luce degli ultimi sviluppi.
- Artsakh e Armenia minacciate dall'alleanza turco-azera
ANN- Letizia Leonardi - Mentre in Artsakh la vita torna lentamente e con molta difficoltà alla normalità la paura per nuovi venti di guerra non si placano. Aliyev non si accontenta più di pretendere altri territori del Nagorno Karabakh sotto il controllo armeno ma mira anche all'Armenia. Mentre i riflettori erano tutti puntati sulla guerra tra Palestina e Israele molti soldati sono entrati a confine della piccola Repubblica Caucasica. Alti funzionari governativi di Baku hanno già annunciato la necessità che l’Azerbaijan abbia una zona cuscinetto lungo il confine con l’Armenia e che se ciò non fosse avvenuto con l'accordo pacifico, sarebbe avvenuto a giugno con le armi. Il governatore di Syunik ha infatti annunciato la presenza di migliaia di uomini al confine di questa area. Dopo sette mesi dalla fine della guerra in Nagorno Karabakh è ormai palese l'obiettivo dell'alleanza turco-azera per annientare il nemico armeno. La "ragion di Stato" che, nel 1994, aveva fermato le pretese armene, dopo la schiacciante vittoria contro un'Azerbaijan che aveva subito una disfatta, non è per niente osservata da Baku, ora che le parti sono state invertite. Gli armeni nel 1994 non approfittarono della situazione a loro favorevole ed è evidentemente stato un errore. Errore che Aliyev non intende commettere e quindi non mollerà la presa. Gli armeni, anche allora, accettarono le richieste di Mosca, temendo forse che intervenisse la Turchia in aiuto dei fratelli azeri. E l'Azerbaijan, trent'anni dopo, si è arricchita, si è armata e si è alleata con Erdogan. Una fase molto pericolosa perché l'esercito azero si troverà di fronte un’Armenia instabile dal punto di vista politico, sofferente a causa della pandemia e della sanguinosa guerra e in più in crisi economicamente. L’Artsakh, d'altro canto, è ormai ridotta a un fazzoletto di terra che piange migliaia di vittime e la distruzione di preziosi armamenti. I territori oggetto del contendere sono: Tigranashen (con la strada che collega il nord al sud dell’Armenia e che in mano azera isolerebbe Vayots Dzor e Syunik), Tavush (che è uno dei tre collegamenti con la Georgia e anche una buona via di accesso per soldati e armamenti); il Lago Sev ( che controlla dall'altro l'importante corridoio di Lachin che è l'unico collegamento tra l'Armenia e l'Artsakh) e Vardenis (un accesso importante per invadere il territorio armeno). Voci di corridoio parlano di un probabile accordo che il premier Pashinyan starebbe per firmare con la controparte azera per la cessione di queste zone (in tutto o in parte). Se ciò fosse vero il futuro dell'Artsakh,e anche della stessa Armenia, sarebbe in serio pericolo. Aliyev ha recentemente dichiarato inoltre, che è disponibile ad avere rapporti di buon vicinato solo se l'Armenia cederà tutti i territori che l’Azerbaijan reclama e rinunci a qualsiasi pretesa sull’Artsakh.
- Giordania – Festa dell'Indipendenza
Assadakah Amman - Era il 25 maggio 1946 quando il Regno di Giordania ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna. Un avvenimento atteso e debitamente festeggiato, sempre con tutte le necessarie precauzioni a causa della pandemia di Covid-19. La Giordania è un Paese di fondamentale importanza nella regione mediorientale, per la posizione geopolitica che occupa, dal momento che confina con Egitto, Israele, Siria, Iraq e Arabia Saudita, e la sua centralità è anche ribadita dal fatto di avere ospitato colloqui diplomatici per risolvere crisi di prima grandezza, come quella dello Yemen. Inoltre, è da sottolineare il fatto che è un Paese pacifico, in mezzo a un vero e proprio inferno, e che è di responsabilità giordana la custodia del principale sito sacro dell'Islam, ovvero la Spianata delle Moschee a Gerusalemme Est, oggi come ieri al centro del conflitto israelo-palestinese. L'indipendenza della Giordania ha origine nel periodo fra il 1919 e il 1922, quando Francia e Inghilterra stabilirono una serie di accordi per la ripartizione del Medio Oriente: Libano e Siria furono posti sotto mandato francese, Palestina, Transgiordania e Iraq sotto mandato britannico. Inoltre, un accordo segreto stabiliva inoltre che il Sultanato del Najd e lo Hijaz, Stato confinante che aveva visto le gesta del celebre colonnello Lawrence, sarebbero divenuti possedimenti di al-Husayn, figura di riferimento della rivolta araba. Nel 1921 Winston Churchill, all'epoca Ministro alle Colonie, divise la Palestina dalla Giordania con una linea di confine che andava dal Giordano al porto di Aqaba, affidando la porzione orientale, la Transgiordania, all'emiro Abd Allah, il figlio di al-Husayn. Il nuovo re avrebbe però dovuto rendere conto delle proprie decisioni a un commissario britannico. All'epoca la Giordania contava non più di 40mila abitanti, di cui solo il 20% risiedeva nelle poche città. Nel 1928 fu promulgata la prima costituzione, mentre in altri Paesi arabi cominciavano a manifestarsi forti tensioni nei confronti dei movimenti sionisti, che continuavano a chiedere una patria ebraica e vedevano nella Palestina e in Gerusalemme la loro sede naturale, le popolazioni arabe, naturalmente, erano di opinione decisamente contraria, come sono ancora oggi. Fra il 1937 e il '38, la Gran Bretagna tentò di mediare un accordo fra palestinesi ed ebrei, senza però ottenere progressi, e la situazione peggiorò ulteriormente con la seconda guerra mondiale, e con l'arrivo di migliaia di ebrei in fuga dalla Germania nazista e dall'Europa occupata, i quali sostenevano le truppe di occupazione britanniche. Avvenimento determinante fu la nascita della Lega Araba, nel 1945, i cui Stati fondatori erano Egitto, Iraq, Transgiordania, Libano, Arabia Saudita, Siria e Yemen, con la Transgiordania che, l'anno successivo, ottenne l'indipendenza dal Regno Unito. La dinastia Hashemita diede un impulso fondamentale allo sviluppo del Paese, prima con il re Abd Allah ibn al-Ḥusayn primo sovrano dopo la fine del mandato inglese, e salito al trono con il titolo di re della Transgiordania, il quale fu forse l'unico leader dell'epoca a mantenere un atteggiamento non interventista nel conflitto scatenato contro il neonato Stato di Israele, cercando il compromesso diplomatico con l'allora leader israeliana Golda Meir, che per altro incontrò diverse volte ad Amman. Inizialmente la proposta del re hashemita era di creare uno stato federale in cui gli ebrei sarebbero stati sovrani di un'enclave autonoma. Quando divenne chiaro l'assenso internazionale nei confronti della formazione di uno stato ebraico, Abd Allah non si arrese nei negoziati e, accettando l'indipendenza di Israele, chiese l'opinione degli ebrei circa l'annessione giordana della parte araba della Palestina, ottenendo l'assenso della premier israeliana. Re Abd Allah si trovò però da solo contro un fronte compatto che voleva attaccare lo Stato ebraico e non poté che far buon viso a cattivo gioco. La Transgiordania, tuttavia, anziché attaccare Israele occupò una parte di territorio palestinese a occidente del Giordano (la cosiddetta Cisgiordania o West Bank), assumendo la denominazione odierna di Regno di Giordania, anche se ʿAbd Allah si premurò di avvertire la comunità araba che avrebbe tenuto quella parte di territorio palestinese in "sacro deposito" fintanto che non si fosse costituito uno Stato indipendente della Palestina. L'atteggiamento giudicato “troppo pacifista” di re Abd Allah culminò con il suo assassinio, nel luglio 1951, nei pressi della Moschea di Omar a Gerusalemme. Salì quindi al trono il figlio, Talal ibn Abd Allah, che governò dal luglio 1951 all'agosto 1952, quando fu costretto ad abdicare per ragioni di salute, cedendo il regno al figlio Husayn. Durante il suo breve regno fu responsabile della formazione di una costituzione più liberale del regno hashemita, che rese il governo responsabile collettivamente, e i ministri individualmente, di fronte al parlamento giordano. La costituzione fu ratificata il 1º gennaio 1952. Re Talal fece molto per rendere meno tesi i rapporti fra Giordania e i Paesi arabi vicini, soprattutto Egitto e Arabia Saudita. Ḥusayn ibn Ṭalāl, generalmente noto come Hussein di Giordania, regnò dal 1952 al 1999 e fu protagonista di un governo definito un "esperimento liberale", permettendo, nel 1956, la formazione dell'unico governo democraticamente eletto nella storia della Giordania. Ḥusayn guidò il Paese attraverso quattro turbolenti decenni del conflitto arabo-israeliano e della guerra fredda, bilanciando con successo le pressioni dei nazionalisti arabi, dell'Unione Sovietica, dei paesi occidentali e di Israele, trasformando la Giordania alla fine del suo regno di 46 anni in uno Stato moderno. Dal 1999 la Giordania è governata dall'attuale sovrano, re Abd Allah II ibn al-Ḥusayn, famoso a livello internazionale per il mantenimento della stabilità e per la promozione del dialogo interreligioso e la comprensione moderata dell'Islam, nonché custode dei siti sacri musulmani e cristiani di Gerusalemme, posizione ricoperta dalla sua dinastia dal 1924. Pur fra mille difficoltà dovute all'instabilità della regione, re Abd Allah è riuscito a mantenere un elevato grado di stabilità del regno, all'interno del frastagliato quadro politico regionale, in particolare riguardo alle ripercussioni della crisi siriana. Inoltre è stato ed è protagonista di non poche iniziative e riforme, in particolare in campo sociale, economico, costituzionale e giudiziario.
- Parigi – INALCO inaugura Monument Watch per Artsakh e Armenia
(Assadakah Yerevan) - Lo storico e archeologo Hamlet Petrosyan (Università statale di Yerevan) e Anna Leyloyan-Yekmalyan (Istituto statale di lingue e civiltà orientali, INALCO, Parigi) hanno riunito archeologi, architetti, antropologi culturali e molti altri esperti per lanciare Monument Watch, un progetto dedicato a la conservazione del patrimonio culturale armeno nelle parti dell'Artsakh che è stato catturato dai militari azeri nel corso della guerra del 2020, data la distruzione o la distorsione dei monumenti armeni, documentata in diverse occasioni, autorizzata dallo stato azero. Sia durante che dopo la guerra del 2020, le autorità azere hanno deliberatamente preso di mira i monumenti culturali e spirituali armeni. Ad esempio, l'iconica cattedrale di Ghazanchetsots nella città di Shushi è stata bombardata due volte durante la guerra, e ora molti mesi da quando i combattimenti sono terminati e gli azeri hanno preso il controllo della città, hanno iniziato a distorcere la cattedrale in quello che il ministero degli esteri armeno ha descritto come "manifestazioni di vandalismo, volte a privare la Cattedrale Madre di Shushi della sua identità armena". Anche la Chiesa armena di Mekhakavan è stata presa di mira, con le autorità azere che l'hanno completamente demolita, fatto dimostrato da un'indagine della BBC. Poiché gli specialisti di Monument Watch non hanno l'opportunità di ispezionare i monumenti di persona, condurranno il monitoraggio online su varie piattaforme. “È chiaro che i nostri monumenti verranno demoliti o distorti. La distruzione dei monumenti armeni fa parte della politica del governo dell'Azerbaigian. Stanno cercando di appropriarsi anche dell'eredità armena”, ha dichiarato Anna Leyloyan-Yekmalyan. Il sito web ufficiale di Monument Watch elenca i seguenti obiettivi: mappare e inventare (la condizione prima della guerra) il patrimonio culturale inamovibile, i musei, i centri culturali della zona di confine di Artsakh-Azerbaijani e di quei territori della Repubblica di Artsakh, che di conseguenza dei 44 giorni di guerra passò sotto il controllo dell'Azerbaigian; ratificare lo stato attuale (distruzione, alterazione, riutilizzo, cancellazione e modifica di sculture, immagini, iscrizioni, uso di nuovi simboli, ecc.), nonché per introdurre i cambiamenti nella comunità scientifica e culturale internazionale. Leyloyan-Yekmalyan dice che ci sono oltre 4000 monumenti nell'Artsakh e più di 1700 sono ora in pericolo.
- Beirut – Tania Kassis canta per UNIC
(Assadakah Beirut) - Il soprano libanese internazionale Tania Kassis ha pubblicato oggi una canzone inglese dal titolo "Land For All" in collaborazione con il Centro informazioni delle Nazioni Unite a Beirut. La canzone, che è la versione inglese della sua canzone araba "Al Ardou Lil Jami3", è una miscela di melodie occidentali e orientali ed è stata scritta dalla stessa Tania Kassis e composta e arrangiata da Michel Fadel con un adattamento di una piccola parte di la famosa "O Fortuna" dei Carmina Burana, di Carl Orff. Riguarda la promozione dei valori umanitari e la lotta alla violenza e alla guerra. Chiede inoltre di lavorare per raggiungere la pace e la sicurezza, eliminare la povertà e aiutare i più vulnerabili. La canzone è stata registrata dall'Orchestra Filarmonica di Kiev, con la partecipazione di un coro composto da più di 100 cantanti. Tania ha cantato per la prima volta la versione araba della canzone in "anteprima mondiale" al Palais des Nations a Ginevra. Il direttore dell'UNIC Beirut Margo Helou ha ringraziato Kassis per aver pubblicato la versione inglese della canzone in questo momento critico di disordini in Libano e nella regione. "Land For All è molto tempestivo e necessario per sostenere la pace e la sicurezza, l'umanità e la non violenza", ha detto Helou. Ha sottolineato i significati che la canzone ha rispetto all'apertura agli altri e all'aiuto ai più vulnerabili, "e questi sono principi sostenuti dalle Nazioni Unite. Land For All è un appello alla solidarietà internazionale che speriamo tocchi il cuore di migliaia di persone in tutto il mondo attraverso questa collaborazione con le Nazioni Unite, poiché ruota attorno alla promozione dei valori umanitari e alla lotta alla violenza e alla guerra", ha detto Tania Kassis. "Chiede di lavorare per raggiungere la pace e la sicurezza, sradicare la povertà e aiutare i più vulnerabili". (video della canzone al link: https://youtu.be/vms9A4XfA2Q-UNIC)
- UE: “Le autorità bielorusse rilascino subito Pratasevich”
(Assadakah Bruxelles) - "Chiediamo l'immediata liberazione del giornalista Raman Pratasevich. Nell'attuare questo atto coercitivo, le autorità bielorusse hanno messo a repentaglio la sicurezza dei passeggeri e dell'equipaggio". Lo afferma l'Alto rappresentante UE, Josep Borrell, aggiungendo: "E' necessario condurre un'indagine internazionale". Bruxelles convoca inoltre l'ambasciatore della Bielorussia presso l'Ue, Aleksandr Mikhnevich. "Il 23 maggio le autorità bielorusse, in una mossa inammissibile, hanno costretto un aereo civile a effettuare un atterraggio di emergenza a Minsk. L'aereo, di proprietà di una compagnia europea, che volava tra due capitali dell'Unione Europea e trasportava oltre 100 passeggeri, è stato costretto ad atterrare da un aereo militare bielorusso - ha ricordato l'Alto rappresentante UE. Uno dei passeggeri del volo, Raman Pratasevich, giornalista indipendente bielorusso, è stato trattenuto dalle autorità bielorusse e gli è stato impedito di salire sull'aereo all'aeroporto di Minsk per la sua destinazione originale - aggiunge il politico spagnolo -. Questo è l'ennesimo tentativo palese delle autorità bielorusse di mettere a tacere tutte le voci dell'opposizione". In manette a Minsk è finita anche Sofia Sapega, fidanzata del reporter. Lo ha riferito Tut.by, citando un conoscente della 23enne, che secondo gli attivisti del Belarus Free Theatre ha cittadinanza russa e studia all'università di Vilnius. Mosca, hanno riferito gli attivisti, non avrebbe presentato alcuna richiesta di liberazione nei suoi confronti, né diffuso dichiarazioni ufficiali. Anche gli Stati Uniti chiedono un'accurata e completa indagine sull'accaduto. "Gli Stati Uniti condannano fermamente la deviazione forzata di un volo tra due Stati membri dell'UE e la successiva rimozione e arresto del giornalista Raman Pratasevich a Minsk. Chiediamo il suo rilascio immediato", ha detto il segretario di Stato americano, Antony Blinken, precisando che gli USA stanno lavorando a stretto contatto con l'Unione Europea sull'incidente.
- Beirut – Neemat Frem: “Un Libano a misura di essere umano”
Assadakah Beirut - "È giunto il momento di tornare indietro e costruire il Libano come patria dell'essere umano, in modo da poter ripristinare la dignità del cittadino, garantirne la serenità, preservarne i diritti e proteggerne la libertà", ha dichiarato il deputato dimissionario Neemat Frem da Bkirki. "Siamo tutti chiamati a costruire una repubblica umana. I valori di questa repubblica impongono la felicità umana come obiettivo fondamentale, soddisfazione spirituale, materiale e filosofica, all'interno di uno stato civile moderno i cui pilastri sono l'integrità e la consacrazione della cittadinanza con i suoi diritti e doveri", ha affermato. “Negli ultimi anni, abbiamo assistito alla lenta morte dell'individuo in Libano. Umiliato, insultato, senzatetto e affamato, quindi cosa può sopportare di più? Ciò che la guerra civile non è riuscita a ottenere e ciò che l'oppressione, l'ingiustizia e il terrorismo non sono riusciti a fare, viene commesso oggi contro il popolo libanese ”, si è rammaricato Frem. "Attendiamo con impazienza una convivenza che vada oltre il livello di convivenza tra gruppi, per diventare uno stile di vita produttivo e coordinato, basato sulla creazione di un valore aggiunto, sul raggiungimento dell'autorealizzazione e sul rispetto della ricchezza della diversità ... e sulla qualificazione del Paese, attraverso la sovranità senza impedimenti, per essere un modello civile nella salvaguardia della dignità dell'individuo e dei gruppi. Il Libano è la patria dell'essere umano nella repubblica umana", ha concluso Frem.
- Sophia Loren offre le sue dimore in vendita
Assadakah Roma - La star internazionale Sophia Loren ha messo in vendita le sue ville più belle. Fra queste, Villa Sara, che si trova nel Parco Archeologico dell'Appia Antica di Roma, a soli dieci minuti dal Colosseo. La quotazione non è certo alla portata di tutti, infatti il prezzo di vendita è fissato a circa 19 milioni di euro. Non è noto il motivo della decisione che ha spinto la grande attrice, che non ha certo bisogno di presentazioni; si sa solo che da qualche tempo Sophia Loren, 85 anni, non è in buone condizioni di salute.
- UAE per la Conferenza Internazionale COP28
Assadakah Beirut - Gli Emirati Arabi Uniti hanno chiesto di ospitare la 28a Sessione della Conferenza Internazionale COP 28 delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in programma per il 2023, secondo quanto ha dichiarato ufficialmente il ministro degli Esteri, Sheikh Abdullah Bin Zayed Al Nahyan (foto), in successione alla 26a Sessione del 2021 fissata il prossimo novembre a Glasgow, in Scozia, e a quella del 2022 la cui sede è ancora da decretare. La Conferenza annuale delle parti (COP) è l'organo decisionale responsabile del monitoraggio e della revisione dell'attuazione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Gli Emirati Arabi Uniti ospitano la sede dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), e hanno ampiamente dimostrato il proprio impegno per la salvaguardia dell'ambiente, sia a livello nazionale che nella cooperazione multilaterale, con investimenti di oltre 17 miliardi di dollari in progetti per il rinnovamento ambientale e lo sfruttamento di energie rinnovabili, e hanno fornito oltre 1 miliardo di dollari di sovvenzioni e prestiti agevolati per le centrali energetiche rinnovabili.