L’Italia nel mondo Arabo e il mondo Arabo in Italia
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- Baghdad – Talal Khrais incontra ministro della Cultura
Ali Hamza (Assadakah Baghdad) - La cooperazione fra Italia e Iraq continua ad essere un esempio di ottime relazioni bilaterali e si conferma un rapporto di collaborazione in grado di investire diversi settori, in particolare nel campo culturale ed archeologico. Questo è stato il tema di un proficuo colloquio tra il Ministro della Cultura e Bene Culturali, Hassan Nazem, e il responsabile della Politica Estera dell’Associazione Italo-Araba, Talal Khrais. Il Ministro ricevendo Khrais ha espresso una grande soddisfazione per le relazioni bilaterali tra l’Italia e l’Iraq ringraziando l’Italia per il suo sostegno all’Iraq ricordando che diverse missioni archeologiche italiane continuano le loro ricerche in Iraq. ”La cooperazione culturale, scientifica e tecnica costituisce tra l’Italia e l’Iraq un campo promettente per le relazioni tra i due Paesi. La cooperazione si basa su un ricco patrimonio storico, numerose vestigia che potrebbero essere sfruttate nell’ambito della cooperazione culturale e altrove nell’ambito della ricerca scientifica, dell’arte, del turismo, dello scambio di specialisti, di partenariati dell’ambito della gestione e del restauro di monumenti”, ha detto il Ministro. Talal Khrais ha espresso la solidarietà dell’Associazione nei confronti dell’Iraq e l’impegno di portare avanti diverse iniziative a sostegno del Paese amico, iniziative che si articolano fra diversi settori quello umanitario; e quello relativo alla protezione dei siti e dei beni archeologici e artistici. “L’Associazione Italo Araba si impegnata nel sensibilizzare sia le istituzioni Italiane che le Organizzazioni non governative di promuovere più progetti di cooperazione specie in ambito di tutela e gestione del patrimonio archeologico e museale” - ha affermato il Responsabile della Politica Estera, Talal Khrais. Da ricordare che nel 2020 nel Kurdistan Iracheno è stata compiuta la scoperta archeologica più importante.
- Unifil - Favorire pace e sicurezza
Talal Khrais, Sud Libano - Ci sono poche notizie sull’operato dei militari italiani all’estero, mentre leadership nullafacenti occupano quotidianamente gli schermi tv e pagine di giornali. E’ quindi doveroso, per un giornalista che ha la coscienza a posto, stare dalla parte di chi opera per la pace nel mondo come i militari italiani. “Garantire la sicurezza nel sud del Libano e favorire il governo nell'acquisire nuovamente il controllo del territorio”. È questa l’anima della missione Unifil in Libano, che “ha come compito quello di monitorare la cessazione di ostilità fra Libano e Israele, favorire l’accesso di aiuti umanitari per i civili e garantire il rispetto della Blu Line, la linea di demarcazione tra Israele e Libano, affinché sia libera da forze armate a parte quelle di Unifil e quelle libanesi. Unifil assiste il governo libanese nel garantire la sicurezza (dei propri confini) a sud del fiume Litani e interdire l’accesso di armi e materiale bellico, in particolare al contingente italiano è stata affidata la responsabilità del Sector West e i compiti principali sono quelli di condurre della pattuglie diurne e notturne e sorvegliare costantemente la Blu Line”. A spiegare alla Dire per il primo approfondimento sui teatri operativi della Difesa italiana i compiti della missione in Libano e del contingente italiano in particolare è il maresciallo Danilo Moro, del battaglione logistico Taurinense, in teatro da fine febbraio. Proprio in virtù del suo ruolo, come comandante del plotone trasporti, il maresciallo ha spiegato il “ruolo fondamentale della logistica tanto in teatro operativo come nell’ambito nazionale, che garantisce supporto a tutte le unità. Dai trasporti, al rifornimento, dal mantenimento alle attività di disinfezione e vettovagliamento. Il battaglione logistico ha l’onere della pianificazione di tutte le attività logistiche per il contingente italiano. Dopo si passa alla fase delle operazioni, quindi al trasporto e rifornimento dei materiali destinati alle basi del territorio libanese. Come comandante mi trovo in prima persona a pianificare queste attività verso Beirut e nel territorio circostante”. Arruolato a 21 anni, Moro, ora alla sua seconda missione, non ha dubbi: “Ogni militare dovrebbe affrontare l’esperienza in teatro operativo”. Macchine per cucire professionali complete di ricambi e accessori, da utilizzare per il confezionamento di mascherine protettive in tessuto lavabile multistrato, utili al contenimento della trasmissione del Coronavirus, sono state donate alle donne del Centro di sviluppo sociale di Bint Jbeil, nel Libano del Sud, dai “caschi blu” del contingente italiano di Unifil, la Forza di interposizione delle Nazioni Unite schierata al confine con lo stato d’Israele. Grazie al contingente italiano, il “Laboratorio Italia” potrà confezionare mascherine per la popolazione e offrire nuove opportunità di lavoro alle donne della comunità di Bint Jbeil, con possibilità di guadagno per le famiglie. Soddisfazione per il successo dell’iniziativa è stato espressa dal comandante del settore Ovest di Unifil, generale di brigata Andrea Di Stasio, il quale ha sottolineato che oltre alla lotta al Covid“il progetto guarda a un coinvolgimento di risorse e competenze locali capaci di generare positive ricadute economiche nel territorio. Tutto questo, nell’ottica di un rafforzamento di politiche partecipative di sviluppo sociale che siano in grado di dare slancio al settore occupazionale femminile e favorire lo “state” e il “capacity building” nel Sud del paese. Un ciclo virtuoso di “self sustainability”, lo ha definito Di Stasio, “che il contingente italiano ha voluto implementare in ambito Unifil e che si sta rivelando vincente”. La donazione, finanziata con fondi del ministero della Difesa italiano, rientra nell’ambito dei progetti di cooperazione civile-militare promossi dal contingente italiano per garantire l’assistenza alla popolazione che, insieme al monitoraggio della cessazione delle ostilità e al supporto alle forze armate locali, è uno dei principali compiti assegnati al contingente italiano di Unifil nel rispetto della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La presenza italiana nelle missioni Nato continua ad aumentare. Il Paese – già secondo per numero di contributi alle operazioni alleate dopo gli Stati Uniti – guiderà infatti la rinnovata missione dell’Alleanza in Iraq. Così è stato deciso durante l’ultima riunione ministeriale Nato lo scorso febbraio. Lanciata nel 2018, la Nato Mission Iraq passa pertanto da 400 a ben 5mila unità, per la maggior parte europee e canadesi – tra queste, le truppe italiane rappresenteranno la quota più numerosa. Mantenendo al tempo stesso la guida della missione Onu in Libano (Unifil), di quella Nato in Kosovo (Kfor) e di Eunavformed Irini, Roma prende ora le redini della quarta grande missione multilaterale nell’area del Mediterraneo allargato. Un impegno di lunga data L’Italia è presente sul territorio iracheno da quasi vent’anni, a fasi alterne in linea con l’orientamento dei maggiori alleati. Tra il 2003 e il 2006, le truppe italiane furono drammaticamente impegnate nella missione Antica Babilonia, mirata al supporto degli Stati Uniti nella stabilizzazione dell’Iraq a seguito del rovesciamento del regime di Saddam Hussein, e segnata dalla strage di Nassiriya. L’Italia fu poi parte attiva della prima Nato Training Mission Iraq, in corso tra il 2004 e il 2011 – sebbene la formazione degli ufficiali iracheni avvenisse principalmente fuori dal Paese – ed entrò nuovamente in forze in Iraq nel 2014 con l’operazione Prima Parthica, nell’ambito della missione internazionale Inherent Resolve, avviata dalla coalizione globale contro il sedicente Stato islamico (Isis).
- Italia-Iraq: cooperazione a tutto campo
Talal Khrais, Baghdad - La cooperazione fra Italia e Iraq si conferma essere un rapporto dedicato a diversi settori. In generale, la cooperazione fra i due Paesi si articola in tre ambiti principali: umanitario, sicurezza e protezione dei siti e dei beni archeologici e artistici. L’obiettivo degli interventi guidati dall’Italia nei diversi settori è quello di ricostruire un Iraq capace di amministrare efficacemente le sue incredibili ricchezze storiche, garantire un elevato grado di sicurezza alla sua popolazione e di diventare un terreno fertile per futuri investimenti e collaborazioni economiche. L’Italia, impegnata già da lungo tempo nel settore della cooperazione specie in ambito di tutela e gestione del patrimonio archeologico e museale, in coincidenza con l’emergere della crisi umanitaria, cerca con i suoi progetti di cooperazione di contribuire a risollevare le sorti del Paese. Nel 2016, il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale si è impegnato ulteriormente garantendo a tali associazioni altri fondi per un totale di un milione e mezzo di euro. Inoltre, l’Italia ha contribuito con le proprie donazioni a finanziare numerosi progetti delle principali agenzie delle Nazioni Unite che operano in Iraq (UNICEF, UNHCR, WFP) per garantire supporto psicologico e assistenza materiale a tutte le minoranze etniche e religiose che, con l’avvento dello Stato Islamico, sono in estremo pericolo di sopravvivenza. L’Italia è presente in Iraq in ossequio delle decisioni prese al Vertice dei Capi di Stato e di Governo della NATO tenuto a Istanbul il 28 giugno 2004. Fra i compiti principali, fornire assistenza e sostegno, addestramento, consulenza e mentoring nel settore della formazione della Iraqi Security Force (ISF), allo scopo di aiutare l’Iraq a sviluppare un sistema di sicurezza efficace, democratico, duraturo, multi etnico e indipendente, in linea con gli standard internazionali. Nell’ambito dell’attività di ricostruzione dell’Iraq, i Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri della NATO hanno offerto all’allora Governo Provvisorio Iracheno l’assistenza per l’addestramento delle Forze di sicurezza. Nell’ambito di tale missione il personale italiano è incaricato della conduzione dei corsi di addestramento per il personale delle Forze di Polizia irachene, nonché della formazione a tutti i livelli del personale di staff delle Forze Armate irachene. La missione italiana opera presso il Comando della missione a Baghdad e con gli istruttori dell’Arma dei Carabinieri impiegati quali addestratori dell’Iraqi Federal Police e Oil Police a Camp Dublin. Due Ufficiali superiori operano, infine, presso il Ministero della Difesa iracheno con compiti, rispettivamente, di ufficiale advisor del ministero della difesa e di ufficiale di collegamento con il Comandante delle Forze navali irachene. A seguito dell’accettazione da parte della NATO della richiesta del Primo Ministro iracheno di supporto nel settore dell’addestramento e formazione, é stato dispiegato, nell’ambito della NATO Training Mission in Iraq, un contingente italiano la cui consistenza e’ al momento stabilita in circa settanta militari; 14 Paesi (13 aderenti alla NATO e 1 al Partenariato per la Pace) partecipano alla missione con loro personale. L’attività è iniziata nel corso dell’operazione Antica Babilonia – condotta nell’ambito dell’operazione Iraqi Freedom – conclusa nel dicembre 2006 con l’ultimo ammainabandiera del Contingente italiano a An Nassiriyah. Nel settore della sicurezza, attraverso la missione della Task Force dei Carabinieri, l’Italia sta attivamente ed efficacemente contribuendo all’addestramento del personale militare locale, che viene formato in diversi ambiti: dalle strategie di disinnesco degli ordigni non esplosi alle tecniche di protezione dei civili in caso di esplosioni o interventi di cecchini.
- Anwar Dejlah, nel cuore di Baghdad
Le luci di Dijlah, antico cuore della capitale irachena (Arasat al Hindia) è un vero e proprio tesoro di cultura, storia e tradizione. Qui si trova l'hotel Anwar Dejlah, dove si viene accolti da passione, cortesia, amicizia e confidenza. Atmosfera calda e familiare, simpatia e disponibilità, che riportano ai sapori delle “Mille e una Notte”, nelle meraviglie e nei misteri di Baghdad. Ho trovato tutto questo all'hotel Anwar Dejlah. Naturalmente non si può non sottolineare la cucina tipica, gestita direttamente dai proprietari, che offre piatti locali e nazionali, da assaporare sia con il gusto che con l'immaginazione, con una scelta accurata e particolare dei prodotti utilizzati. Di certo l'hotel Anwar Dejlah merita almeno due stelle in più delle tre che gli sono state assegnate. Un soggiorno vivamente consigliato, dal quale esplorare i mille aspetti della culla della civiltà. A Baghdad, quindi, in Arasat al Hinda, nei pressi della sede BMW Company. Se poi si volesse agire d'anticipo e contattare direttamente l'hotel Anwar Dejlah: anwar.dijlah@gmail.com, oppure tel.009647717820533 009647829264015.
- L’Iraq non è guerra ma culla della civiltà
Talal Khrais, Baghdad - In Occidente quando si parla dell’Iraq si pensa subito ad un Paese in guerra. La verità il Paese è in guerra contro il terrorismo dello Stato dell’Iraq e del Levante ISIS, come lo è tutto il Mondo, ma per fortuna riesce a combatterlo in un territorio lontano dalle grande città. L’Iraq ha pagato un prezzo enorme contro il terrorismo anche grazie all’assistenza dell’Italia, rimasta sempre al fianco del Paese amico. Oggi il turismo ritorna in questo Paese meraviglioso, terra di tutti Santi e Profeti. La civiltà babilonese ed è fonte inesauribile di storia e cultura, settore in cui l'Italia sta dando una mano importante a Bagdad: uno scavo 'tricolore' ha riportato alla luce 500 siti archeologici nella regione del Kurdistan iracheno. Questo lavoro straordinaria può aiutare a ricomporre l'evoluzione sociale, tecnica e politica, di una gigantesca area di più di tremila chilometri quadrati. I siti coprono un lasso di tempo di 10.000 anni, dall'8000 a.C. ai giorni nostri, ovvero dagli albori della civiltà babilonese fino alla fine dell'impero Ottomano. Parlare dell’Iraq senza conoscere la sua storia è difficile purtroppo perché le nuove generazioni non ricordano nemmeno la storia del loro Paese. L'antica Mesopotamia, il territorio dell'attuale Iraq fu sede delle grandi civiltà dell'antico Oriente. Conquistato dagli Arabi nel 7° secolo d.C., fece parte per secoli ‒ dal 16° al 20° ‒ dell'Impero ottomano e divenne indipendente nel 1932. Governato da Saddam Hussein tra il 1979 e il 2004, è stato al centro di alcuni tra i più complessi sviluppi della politica internazionale degli ultimi anni. Dalle origini alla conquista ottomana - Il territorio dell'Iraq odierno corrisponde in gran parte all'antica Mesopotamia e fu sede, tra il 4° millennio e il 6° secolo a.C., delle civiltà dei Sumeri, degli Accadi, degli Assiri e dei Babilonesi. Fu in seguito dominato dai Persiani (6°- 4° secolo), da Alessandro Magno (4° secolo), dai Seleucidi (4°-3° secolo) e quindi dai Parti (3°-2° secolo), che ne contesero il controllo ai Romani. Sottomesso ai Persiani della dinastia sasanide dal 3° secolo d.C., fu infine conquistato dagli Arabi nel 7° secolo d.C. e islamizzato. Nell'8° secolo Baghdad divenne la capitale del califfato abbaside e la Mesopotamia attraversò un periodo di grande splendore. Nel 10° secolo, tuttavia, iniziò una fase di decadenza. Verso la metà del 13° secolo l'invasione dei Mongoli segnò la fine della dinastia abbaside. Seguì un periodo di grave crisi segnato da continue invasioni straniere, che ebbe termine nel 1534-36 quando i Turchi di Soliman il Magnifico conquistarono Baghdad e integrarono la regione nell'Impero ottomano. L'indipendenza dopo il dominio ottomano - Nei secoli successivi il controllo imperiale rimase debole e la Mesopotamia fu esposta alle incursioni dei Beduini e al parziale dominio di altre potenze, tra cui quelle dei Persiani e dei Mamelucchi. Faisal I a Versailles. Alle sue spalle a sinistra, il celebre colonnello Lawrence d'Arabia Nel corso della seconda metà dell'Ottocento, quando ebbe inizio la penetrazione europea, il potere imperiale nella regione tornò per breve tempo a consolidarsi. Pochi decenni più tardi, però, il paese fu occupato dai Britannici durante il primo conflitto mondiale (1914-18) e, dopo la sconfitta dell'Impero ottomano, fu posto nel 1920 sotto l'amministrazione della Gran Bretagna. L'Iraq divenne nel 1921 una monarchia costituzionale sotto il re Faisal I. I Britannici mantennero il mandato sino al 1932, quando l'Iraq divenne indipendente. Dopo quella data, tuttavia, essi continuarono a esercitare un forte controllo, anche militare, sul paese. Alla morte di Faisal I nel 1933. Membro della Lega araba dal 1945, l'Iraq si avvicinò progressivamente agli Stati Uniti.
- SPECIALE - Gli iracheni e la visita di Francesco
Talal Khrais, NNA Baghdad - Pochi giornalisti italiani si sono occupati del dopo visita del Santo Padre in Iraq, fra il 5 e l’8 marzo scorso. Il problema della Stampa Italiana è che suoi giornalisti si concentrano solo sul momento, raccontano quasi la stessa cosa senza continuità, mentre è molto importante analizzare le conseguenze che la visita di Papa Francesco ha avuto nel Paese e non solo. Durante la missione in Iraq ho cercato di sacrificare una parte del mio sogno per capire quali risultati ha portato questa storica visita. Papa Francesco ha inaugurato una nuova via verso il mondo musulmano, in particolare nella terra dei profeti. Qui c’è un nuovo percorso, non si parla più di tutelare le minoranze cristiane in Oriente ma di consolidare la convivenza fra le diverse comunità, in uno straordinario ed esemplare laboratorio di pace, che celebra la ricchezza della diversità. La visita in Iraq, voluta a tutti i costi, dicono i colleghi giornalisti iracheni, malgrado i consigli al Santo Padre delle presenza dei rischi, sia di sicurezza che di contagio, è stata apprezzata dagli iracheni. L'amico e collega Ali Hamza Khafaji mi racconta che l'azione pastorale di Papa Francesco si sta trasformando in qualcosa di più duraturo, anche in politica. El pontefice ha compiuto fato epocale, ha ha visitato Najaf, la città santa dei musulmani sciiti, dove ha incontrato il grande ayatollah, Sayyed Ali Al-Husaymi Al-Sistani. Un viaggio storico che Papa Bergoglio ha fortemente desiderato e preparato, sfidando anche la pandemia, oltre ai problemi di sicurezza. "Finalmente sarò tra voi. Desidero tanto incontrarvi, vedere i vostri volti, visitare la vostra terra, antica e straordinaria culla di civiltà", ha detto in un videomessaggio al popolo iracheno a poche ore dalla partenza. Una visita all'insegna della pace e della speranza. Un viaggio pastorale ma anche politico. "Vengo come pellegrino penitente per implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di terrorismo - sono le parole del Pontefice - per chiedere a Dio la consolazione dei cuori e la guarigione delle ferite». Ai cristiani, che hanno sofferto in questa terra una dura persecuzione per mano dell'Isis il Papa dice che vuole portare loro “la carezza della Chiesa". Nella terra di Abramo, Bergoglio rilancia la via del dialogo: "In questi tempi duri di pandemia, aiutiamoci a rafforzare la fraternità, per edificare insieme un futuro di pace. Insieme, fratelli e sorelle di ogni tradizione religiosa. Da voi, millenni fa, Abramo incominciò il suo cammino. Oggi sta a noi continuarlo, con lo stesso spirito, percorrendo insieme le vie della pace". Una visita storica: con queste parole il governo iracheno ha annuncia l'arrivo di Papa Francesco. Il presidente della Repubblica Barham Salih ha affermato che la visita contribuirà a rafforzare i valori di tolleranza e pace a livello globale, non solo in Iraq, aggiungendo che “il viaggio di Papa Francesco in Mesopotamia sarà un messaggio di pace per gli iracheni di tutte le religioni e contribuirà ad affermare i nostri valori comuni di giustizia e dignità”. Il Primo Ministro Mustafa Al-Kadhimi ha affermato che la visita del Papa contribuirà a consolidare la stabilità e aiuterà a promuovere uno spirito di fratellanza in Iraq e in tutta la regione; «il mondo intero apprezza la dedizione di Sua Santità per i valori della pace, della dignità e per porre fine ai conflitti», sottolinea il governo di Baghdad. Ali Hamza, che ha seguito la visita del Santo Padre, racconta la sua visita a Mossul tra le macerie della guerra: Iraq culla della civiltà, ritorni la pace” ha detto il Pontefice. Infine, anche sul piano internazionale, la visita del pontefice si colloca in un momento estremamente delicato, segnato in primis dalla lunga fase di tensioni che ha contraddistinto le recenti relazioni tra gli Stati Uniti e l’Iran. Sul più ampio sfondo della disponibilità di Washington di ricomporre il dialogo sul programma nucleare iraniano, in Iraq è in corso un confronto a distanza tra i due attori per conoscere i reciproci spazi di manovra nella Terra dei Due Fiumi.
- Iraq – Con amore, per Carol, arte, cultura e storia a Baghdad
Talal Khrais, NNA – Baghdad – Durante la mia visita in Iraq, cerco di avere abbastanza tempo per raccontare questo bellissimo Paese, sacrificando il sonno. Dedico questo resoconto a Carol, donna che mi ha trasmesso immenso coraggio, e ago della bussola della mia vita. Ho compiuto il viaggio in Iraq con l'amico e collega Ali Hamza, sempre instancabile e pieno di entusiasmo, che mi ha raccontato le meraviglie della civiltà millenaria del suo Paese. Anche io mi sono sentito instancabile, soprattutto per fame di conoscere in profondità la cultura irachena nelle sue diverse espressioni di civiltà, anche se sono già stato diverse volte nella Terra dei Due Fiumi. I Sumeri, gli Assiri, Persiani, Greci, e il mosaico di confessioni cristiane e musulmane. L’Iraq è stato, e rimane, il crocevia dove si incontrano numerosi popoli, e non è certo solo diversità etnica, storica e culturale. Con Ali Hamza scopro quartieri antichi dove ci sono tante botteghe di un bellissimo artigianato. Sono gli orafi iracheni al mercato del rame di Baghdad. Come ho accennato nel servizio precedente l'Iraq fa parte delle regioni della mezzaluna fertile, zona geografica dove l'umanità si sviluppò fin dall'8000 a.C. Di questo passato, restano le rovine di Babilonia che ospitano i famosi Giardini Pensili; le rovine di Ur, antica capitale dei Caldei dove fu inventata la prima scrittura dell'umanità. Con la Mesopotamia al suo interno, l'Iraq è stato per secoli la sede dell’idilliaco Giardino dell'Eden descritto nella Bibbia. Baghdad è la culla della civiltà, con un fascino unico che racconta le Mille e una Notte. Ali Amza, di Assadakah Baghdad Una volta capitale di un antico califfato, Baghdad è sempre stata patria di notabili arabi, poeti e novellisti. Impossibile non rendere loro omaggio, e quindi è indispensabile fare una visita al mercato dei libri, aperto tutti i venerdì in via al-Mutanabi, strada che prende il nome da un poeta del X secolo. Questa zona, in epoca ottomana, era il centro della Baghdad ricca e intellettuale. Poi un giro nella bellissima zona di al-Mansour, raffinato quartiere nella parte occidentale della città. Non si può non visitare il parco Zawraa, nel cuore del centro cittadino, uno dei luoghi più importanti per le famiglie irachene e punto di incontro per amanti di ieri e oggi. Ho proseguito, percorrendo via Al Rashid, la strada più antica di Baghdad e una delle più antiche del Medio Oriente, dove le facciate dei palazzi conservano l'antico aspetto di quanto nacque il primo centro urbano edificato. Ali Hamza racconta che un tempo, la strada era luogo di incontro della classe intellettuale, e vi si incontravano scrittori, avventurieri e mecenati. In fondo alla via sorge una delle più antiche moschee di Baghdad, con la meravigliosa cupola colorata. L'ambiente circostante è una conferma della volontà e della capacità della popolazione irachena, di rinascere a nuova vita, dopo un periodo decisamente drammatico, attraverso dittature e guerre, ma senza dimenticare un solo elemento di quella tradizione che ha dato origine alla civiltà come la conosciamo, con testimonianze come le prime forme di scrittura e di convivenza organizzata. Attraverso Bab Share, la porta orientale, ammirando le opere di Mohammad Javad Zarif, Ali mi accompagna a gustare la storica cucina irachena, poi ancora a visitare la Piazza della Lampada Magica, naturalmente dedicata alle “Mille e una Notte” e altre zone vicine, con strade e piazze che portano il nome delle favole della ben nota raccolta, che nella cultura locale conserva un valore inestimabile. La statua dedicata alla favola di Sherazade La Piazza di Aladino e i Quaranta Ladroni, il monumento a Sherazade, e molto altro. L'atmosfera, nella Baghdad di oggi, non è quella trasmessa ancora oggi da un certo tipo di informazione, di pericolo, disordine, incertezza. Certo, anche a Baghdad esiste la criminalità, come in ogni città occidentale, americana o dell'Estremo Oriente, ma la capitale irachena oggi è tornata a essere un luogo meraviglioso, che merita di essere visitato e celebrato come culla della civiltà, dalla quale ha origine la storia di tutti.
- Si è dimesso il ministro degli esteri armeno Ara Aivazian
NNA - Letizia Leonardi - Yerevan - Non ha aspettato le prossime elezioni, previste per il 20 giugno, il Ministro degli Esteri armeno Ara Aivazian che, con una lettera, ha annunciato le sue dimissioni. Non è stata resa nota la ragione di questa decisione che giunge in un momento particolarmente critico per la piccola Repubblica d'Armenia. Aivazian era stato nominato ministro degli Affari esteri il 18 novembre scorso, a pochi giorni dalla fine della sanguinosa guerra con l'Azerbaijan nel territorio del Nagorno Karabakh. Il 5 e 6 maggio Aivazian aveva incontrato il suo omologo russo Sergej Lavrov, alla presenza del primo ministro Nikol Pashinyan. Molti sono stati i temi affrontati, tra questi l’implementazione dell’accordo sul cessate il fuoco nei territori contesi del Nagorno-Karabakh, i progetti infrastrutturali di collegamento ferroviario tra Armenia e Federazione Russa, gli investimenti russi in Armenia, le attività di sostegno umanitario. Appare ancora molto critica la situazione politica armena. Il primo ministro Nikol Pashinyan viene accusato, da una parte della popolazione, di non sapersi difendere e imporsi alle pressanti richieste azero-turche. E la Russia appare la grande assente. Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov si era recato in Armenia anche per commemorare le vittime del genocidio e i caduti russi della Seconda guerra mondiale. Una visita arrivata a ridosso dell'annuncio del presidente americano Joe Biden che aveva ufficialmente riconosciuto il genocidio armeno. Una scelta, quella di Biden, che si pone tra le recenti tensioni tra Mosca e Washington e che in qualche modo arriva in soccorso di Pashinyan in vista delle elezioni ormai vicine. Probabilmente, dietro la decisione di dimissioni del Ministro degli Esteri armeno potrebbe esserci la complessità di una situazione destabilizzante dal futuro incerto che potrebbe aver scoraggiato Ara Aivazian inducendolo a rassegnare le dimissioni .
- Il Gruppo di Minsk in prima linea per evitare ulteriori tensioni tra Armenia e Azerbaijan
ANN - Letizia Leonardi - Le crescenti tensioni tra l'Armenia e l'Azerbaijan sono arrivate sul tavolo del Gruppo di Minsk dell'Osce. I copresidenti, Igor Popov della Federazione Russa, Stephane Visconti della Francia e Andrew Schofer degli Stati Uniti, si sono espressi oggi sulla questione della cattura dei sei militari armeni nella zona del lago Sevan e la critica situazione lungo il confine tra i due Paesi. Nei giorni scorsi, a Ginevra, si sono infatti tenute delle consultazioni con il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) Peter Maurer e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi con la presenza del Rappresentante personale del Presidente in carica dell’OSCE Andrzej Kasprzyk. Preso atto del gravissimo gesto dell'Azerbaijan in territorio armeno, i copresidenti chiedono il rilascio di tutti i prigionieri di guerra, ribadiscono l’obbligo di trattare i detenuti senza violare le regole del diritto umanitario internazionale, la revoca di tutte le restrizioni all’accesso umanitario al Nagorno-Karabakh e invitano le parti a osservare gli impegni assunti con la firma della dichiarazione di cessate il fuoco del 9 novembre scorso. Tutti i copresidenti hanno espresso preoccupazione per le continue violazioni che si verificano in modo sempre più di frequente al confine tra l'Armenia e l'Azerbaijan. Il Gruppo di Minsk chiede inoltre il trasferimento immediato delle truppe, per ridurre l’escalation della situazione e si è reso disponibile ad avviare e facilitare i negoziati per stabilire con precisione i confini che risultano ancora non definiti.
- Yerevan – 103° anniversario della Repubblica di Armenia
Assadakah Yerevan - Non sono previste celebrazioni per la Festa della Repubblica di quest'anno, ma la leadership del Paese visiterà il Sardarapat Memorial per onorare la memoria degli eroi caduti che hanno dato la vita per l'indipendenza e la libertà. Il 28 maggio 1918 il popolo armeno ripristinò la propria indipendenza - perduta oltre 9 secoli prima - con le vittorie trionfali nelle feroci battaglie di Karakilisa, Bash Abaran e Sardarapat. La battaglia di Sardarapat ha plasmato il destino dell'Armenia. L'intera nazione, sopravvissuta al genocidio, ha unito le forze e intere famiglie, comprese donne, bambini e anziani, combattevano al fianco dei soldati. Con questa vittoria, le truppe armene furono in grado di fermare l'invasione turca in Transcaucasia e salvare l'Armenia dalla distruzione totale. La Prima Repubblica d'Armenia durò solo due anni: nel dicembre 1920 l'Armata Rossa entrò a Yerevan e il paese fu sovietizzato.
- Presentato il primo rapporto sull'integrazione euromediterranea
Assadakah Roma - Con oltre il 20% del commercio mondiale di merci nel 2018, il mercato intraregionale dell'UpM continua a essere uno dei mercati globali più rilevanti oggi, eppure la regione è una delle meno integrate economicamente al mondo. Per questo motivo l'UpM ha incaricato l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) di preparare la prima edizione del Rapporto sui progressi dell'UpM sull'integrazione regionale. Il rapporto, presentato oggi online, fornisce risultati chiave e raccomandazioni politiche in cinque ambiti: commercio, finanza, infrastrutture, movimento delle persone e ricerca e istruzione superiore, insieme a indicatori di performance specifici che possono essere utilizzati per monitorare tendenze e progressi nel tempo. L'integrazione è progredita in modo non uniforme, attraverso e all'interno delle sottoregioni dell'UpM, in tutti i domini delle politiche. In termini di commercio, ad esempio, l'Unione europea è responsabile del 94% delle esportazioni di merci della regione. Mentre il 70% di tutto il traffico merci nel Mediterraneo avviene tra i porti europei, con il 15% tra l'Europa e il Nord Africa e solo il 5% tra i paesi MENA. Vengono evidenziate due importanti sfide per l'integrazione regionale: l'infrastruttura inadeguata per i trasporti e la connettività energetica e la mancanza di una visione comune sulla mobilità umana come motore di innovazione e crescita nella regione. La regione MENA richiederà investimenti superiori al 7% del suo PIL regionale annuo nella manutenzione e nella creazione di infrastrutture. Esistono diverse iniziative subregionali per interconnettere le reti elettriche e consentire il commercio di elettricità. Ciò è fondamentale poiché le centrali solari a concentrazione potrebbero generare 100 volte il consumo di elettricità combinato di MENA ed Europa. Il segretario generale dell'UpM, Nasser Kamel, ha dichiarato: "L'integrazione regionale è sempre stata al centro del lavoro dell'UpM e questo rapporto è un passo avanti nel riconoscimento dei progressi compiuti e del lavoro ancora da svolgere. La stretta presa che il virus ha esercitato sul nostro movimento e sull'economia, modificando la produzione e il commercio globali e accelerando la trasformazione digitale, ci ha fatto riflettere. Mentre ci riprendiamo, dobbiamo sfruttare l'opportunità di creare nuove società inclusive che garantiscano che i giovani e le donne possano realizzare il loro potenziale, guidati dalla nostra ambizione di economie sostenibili". Il Segretario Generale dell'OCSE Angel Gurría ha commentato: “Questo rapporto si concentra su una delle principali sfide sia della storia che della geografia, ovvero come sfruttare al meglio la diversità e le complementarità esistenti tra regioni e paesi vicini. Crediamo fermamente che livelli più elevati di integrazione si tradurranno in maggiori opportunità e maggiore benessere per le persone se fatto correttamente, e questo rapporto propone una serie di raccomandazioni politiche per aiutare i paesi a rafforzare i tempi, la sequenza e l'impatto dei loro programmi di riforma per promuovere un integrazione più inclusiva e maggiori opportunità ". L'evento di lancio ha riunito rappresentanti di diversi processi di integrazione regionale, nonché organizzazioni regionali e internazionali e IFI tra cui l'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN), la Banca africana per lo sviluppo (AfDB), l'Accordo di Agadir, l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Sud South Cooperation (UNOSSC), tra gli altri, per condividere le rispettive esperienze nella promozione dell'integrazione regionale. Hanno presentato le migliori pratiche e le storie di successo che possono ispirare la regione dell'UpM e che possono essere adattate e replicate nel contesto euromediterraneo. Il Progress Report è stato preparato con il sostegno finanziario della Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit GmbH (GIZ) per conto del Ministero Federale per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico della Germania (BMZ).
- Berlino e Parigi: “In Namibia e Rwanda fu genocidio”
(Redazione Assadakah) – La Germania ha riconosciuto, oggi, di aver commesso un genocidio contro le popolazioni Herero e Nama in quella che è oggi la Namibia, durante l'era coloniale, tra il 1904 e il 1908. Passati più di 100 anni, Berlino, riconosce le atrocità commesse contro quelle popolazioni promettendo oltre un miliardo di euro per lo sviluppo: “Come gesto per il riconoscimento delle sofferenze enormi inflitte alle vittime, vogliamo sostenere la Namibia e i discendenti delle vittime con un programma significativo di 1,1 miliardi di euro per la ricostruzione e lo sviluppo” - ha detto il ministro degli Esteri, Heiko Maas - “Sono felice che sia stato possibile raggiungere un accordo con la Namibia su come affrontare insieme il capitolo più buio della nostra storia comune”. La notizia arriva dopo che rappresentanti dei governi dei due Paesi, con il coinvolgimento degli Herero e dei Nama, hanno raggiunto un accordo su una dichiarazione politica dopo quasi sei anni di negoziati, ma il documento deve essere ancora firmato e in passato non sono mancate contestazioni da parte dei due gruppi etnici con denunce di quella che è stata considerata come una campagna pubblicitaria del governo tedesco. Come parte dell'accordo, il governo tedesco prevede il riconoscimento del genocidio. I numeri dello sterminio parlano, secondo gli storici, di circa 65.000 delle 85.000 persone della comunità Herero uccise e di almeno 10.000 delle 20.000 dei Nama. “Il riconoscimento della colpa e la nostra richiesta di scuse è un passo importante per accettare questi crimini e - ha detto Maas - definire il futuro insieme”. Il presidente francese Macron riconosce a sua volta la responsabilità della Francia nel genocidio in Ruanda. “La Francia ha fatto prevalere per troppo tempo il silenzio sull'esame della verità rispetto al genocidio del 1994 in Rwanda” - ha detto Emmanuel Macron, nel corso dell'atteso discorso a Kigali. La visita di Macron a Kigali è volta a riconciliare la Francia con il Rwanda, dopo oltre 25 anni di tensioni legate al ruolo svolto da Parigi in questa immane tragedia. “Questo percorso di riconoscimento, attraverso i nostri debiti, i nostri doni, ci offre la speranza di uscire da questa notte e di camminare nuovamente insieme. Su questo cammino - ha proseguito Macron - solo coloro che hanno attraversato la notte possono, forse, perdonare, farci il dono di perdonarci”.