Lorenzo Utile - La situazione nel Golfo è sempre di tensione, specie dopo l’annuncio che Washington ha intensificato la presenza militare con tremila marines in pattugliamento nella zona del Mar Rosso, con navi da guerra e un non indifferente apparato logistico della 5a Flotta (fra cui la portaerei USS-Bataan) transitato attraverso il Canale di Suez. Un provvedimento già da tempo annunciato dal Dipartimento della Difesa americano, per la sorveglianza di aree sensibili come Bab el-Mandeb e il Golfo di Aden.
Alcuni analisti hanno visto il dispiegamento di pesanti attrezzature e armi militari statunitensi come preparazione per l’azione militare contro l’Iran e l’intervento nella guerra nello Yemen, in un momento estremamente delicato, con la ripresa delle relazioni diplomatiche bilaterali Riyadh-Tehran.
La Repubblica Islamica dell’Iran ha poi annunciato nuovi sviluppi nella tecnologia della difesa, specialmente per il corpo della Guardia della Rivoluzione, per sottolineare come non sia necessaria una ulteriore intromissione americana nella regione. In sostanza, l’asse della resistenza è una realtà.
Gli Stati Uniti cercano di reagire all’estromissione dal Medio Oriente, sfruttando proprio l’accordo Iran-Arabia Saudita, mediato da Pechino. A tale scopo, è chiaro che un negoziato nello Yemen del movimento Ansar Allah sarebbe controproducente per gli interessi americani, perché in gioco c’è il controllo del Mar Rosso e degli stretti strategici di Bab el-Mandeb che collegano il Mar Rosso con il Golfo di Aden. Tuttavia, nessun Paese ha richiesto l’intervento degli americani, per altro coordinato anche dalla presenza della base di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, ma è noto che questi si precipitano per prendere il controllo della situazione, secondo la strategia del “prevenire è meglio che curare”, senza rendersi conto che, nella maggior parte dei casi, la cura è risultata peggiore del virus…
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