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Yemen - Il punto di vista dell’ambasciatore italiano

Assadakah News - Un interessante intervista, quella pubblicata da “2righe.com” a firma dei colleghi Jacqueline Rastrelli, Davide Guacci e Lorenzo Bruno, che hanno incontrato Mario Boffo, ex ambasciatore della Repubblica Italiana presso la Repubblica dello Yemen e nel Regno di Arabia, esperto di geopolitica e autore di articoli accademici e diverse opere, fra cui “Yemen l’eterno” (2019). Assadakah News la riporta integralmente perchè offre un punto di vista interno, professionale, oggettivo della situazione yemenita.

Si dice che gli Houthi, oltre ad aver affermato di appoggiare i palestinesi, hanno capito che contrastare Israele rafforza la loro popolarità nelle strade e nel mondo arabo. È una tesi pensabile?

Attualmente gli Houthi governano la zona nord-est del Paese. L’Arabia Saudita ha ormai capito di non star più riuscendo a contrastarli. Così, ha di fatto deposto il governo yemenita internazionalmente riconosciuto per metterlo nelle mani di un comitato esecutivo che è presieduto dall’ antico ministro dell’interno Rashad al-Alimi che sta cercando un’intesa con gli Houthi ma anche con i separatisti del Sud e con le realtà emerse nell’Est del Paese. Infatti, la guerra ha fatto emergere un nuovo separatismo meridionale che fa ufficialmente parte della coalizione a guida Saudita, ma ha oramai confermato la vocazione separatista. Da sottolineare in tal senso il ruolo degli Emirati Arabi Uniti i quali, benché alleati dell’Arabia Saudita, hanno perseguito una politica propria nell’area, già prima di uscire dalla coalizione, sostenendo il South Transitional Council cioè il principale partito separatista del Sud su cui adesso hanno una grande influenza”.

L’Arabia Saudita da un lato si trova con questo gruppo alleato dell’Iran alle porte di casa (di un Iran con cui, tra rivalità e necessità di stabilizzare la regione, stanno cercando di normalizzare le relazioni); dall’altro lato, ha consolidato e fortificato le proprie relazioni con la realtà dell’Est del Paese. Da tutto ciò esce uno Yemen molto trasformato, ancora in fieri, dove lo sbocco petrolifero saudita sul mare arabico nel Governatorato di Al Mahra, limitrofo all’Oman, permetterà di evacuare il petrolio saudita senza passare per lo stretto di Hormuz, evitando quindi una circostanza di attrito con l’Iran...

Gli Emirati Arabi Uniti hanno imposto una propria influenza nel sud dello Yemen mentre gli Houti sono emersi come una realtà a parte con l’obiettivo di essere partecipi dello sviluppo politico dello Yemen. I recenti attacchi alle navi pur retoricamente motivati dal desiderio di vendicare i palestinesi, rispondono all’esigenza Houti di esprimere la loro volontà di affermazione come attore yemenita e regionale. Rispondendo quindi alla domanda: sì, è una tesi pensabile. In fondo, è anche un modo degli Houthi per manifestare al mondo la propria presenza e volontà di protagonismo”.

Quale è stato il ruolo dell’Italia negli sviluppi politici recenti dello Yemen?

Nel 2008, quando nello Yemen cominciò l’attività di Al-Qaida, l’Italia prese l’iniziativa di lanciare l’allarme sui rischi di destabilizzazione del paese. Il messaggio era chiaro: lo Yemen non doveva essere lasciato in preda alle crisi, con il rischi di fallimento statuale. Eravamo già ben consci della sua importanza strategica e geopolitica. Inoltre, l’Italia era presidente del G7 nel giugno del 2009. Da lì, su iniziativa italiana, partì tutto il processo che portò alla creazione del gruppo internazionale denominato “Friends of Yemen”. In tutto questo, l’Italia ha avuto una parte importantissima sia nell’avviare questa iniziativa di attenzione internazionale, sia poi nelle successive fasi quando, insieme allo Yemen, ha realizzato progetti di capacity building molto interessanti, tra cui una collaborazione tra le guardie costiere italiana e yemenita per la sicurezza dei litorali del paese e il soccorso ai migranti dal Corno d’Africa. Sostenuto dalla comunità internazionale, lo Yemen avviò un dialogo nazionale, il quale sfociò in una proposta di Costituzione secondo la quale lo Yemen sarebbe stato diviso in sei entità federate. La regione di Sada, alla frontiera saudita, dove è nato il movimento houti, si vide di nuovo emarginata dalla visione globale che gli Houti nutrono sul paese, anche in virtù della Storia, che vede la regione sin dal IX Secolo come primordiale nucleo statuale successivo all’islamizzazione. Fomentata e sostenuta dall’Iran, la regione e gli Houti tentarono nel 2015 la conquista del Paese. L’Arabia Saudita reagì, e scoppiò la guerra”.

Le offensive degli Houthi nello stretto di Bab al Mandab rischiano di creare gravi conseguenze nella catena del valore internazionale. Gli Houthi sono veramente così forti come sembra?

È una giusta domanda: come hanno fatto questi ribelli montanari a ottenere così tanti successi bellici? Semplicemente, perché si sono alleati con il presidente Ali Abd Allah Saleh, loro antico nemico, che al momento della transizione politica era stato deposto ma con immunità penale e permesso di continuare l’attività politica. Anche lui, naturalmente, aveva motivi di rivalsa contro lo Yemen che lo aveva detronizzato; si unì quindi agli houti, forte degli importanti settori delle forze armate che ancora controllava. Perciò gli Houthi si sono alleati con un vero e proprio esercito, e politicamente anche con componenti del partito di governo del precedente regime di Saleh (il Congresso generale del popolo). Non siamo più di fronte a un moto rivoluzionario, quindi, ma dinanzi a una vera e propria nascente forza geopolitica regionale”.

Questo Yemen che sta rinascendo che forma istituzionale e politica potrà avere? Ci sarà uno Yemen del Nord e uno del Sud?

Non lo sappiamo, ma io credo che molto probabilmente sarà uno Yemen diviso in due o addirittura in tre aree. Salvo che non si riesca a resuscitare il disegno federale. Però le entità dovrebbero essere disegnate diversamente, ormai Sa’ da e gli houti ambiscono a tenersi tutto ciò che hanno preso fino ad adesso. Le soluzioni sono quindi ancora aperte. Quello che posso dire è che lo Yemen è lo Yemen, sa di essere lo Yemen, coltiva una fortissima identità nazionale e culturale e si sente Yemen, anche quando è politicamente diviso”.

Se questo processo intra-yemenita cominciasse, su che basi giuridiche ci si potrebbe muovere? Chi può gestire questo processo?

Secondo me non è una questione giuridica, è più una questione politica. Io vedo sicuramente un gruppo Houthi compatto, che vorrà e dovrà essere riconosciuto come parte importante dello Yemen. Credo che abbiano rinunciato pragmaticamente a voler conquistare tutto il paese, perché sarebbe una follia. Oltre agli houti, vedo un Sud indipendente o fortemente autonomo, ma sotto grandissima influenza emiratina, e un Est sotto influenza saudita. Come questo si potrà declinare politicamente lo vedremo. Potrà esserci una divisione in tre parti; potrebbe presentarsi una soluzione para-federale; ma sicuramente queste tre strutture di potere sono già ora presenti e riconoscibili nel Paese”.

Alla luce della situazione complessiva nel Medio-oriente che ruolo vede per l’Arabia Saudita, in particolare per i suoi rapporti con l’Iran?

L’Arabia Saudita, come avete sicuramente notato, è in una situazione di normalizzazione dei rapporti internazionali. Perché da un lato ci sono i tentativi sauditi di ri-composizione dei rapporti con l’Iran, aiutati dalla Cina che ha i suoi interessi in tale convergenza geopolitica.  Dall’altro lato ci sono i cosiddetti Patti di Abramo, che sono cominciati anni fa, che stentano ad andare avanti e che sono stati forse proprio il motivo di questo famoso 7 ottobre con cui Hamas ha voluto creare un casus belli. Che cosa prevedono i Patti di Abramo? L’alleanza tra Israele e i paesi del Golfo in funzione di contenimento della politica egemonica iraniana. Questo può apparire paradossale, visto che con l’Iran si stanno normalizzando i rapporti. Però fa parte di un disegno intelligente, un disegno che non ha una mano unica. Ad esempio, da un lato sono gli Stati Uniti a spingere i Patti di Abramo per contenere l’Iran; dall’altro, l’Arabia Saudita, che sarebbe una parte importante di tutto ciò, una potenza di primario livello regionale che vuole comunque le spalle coperte con l’Iran. Insomma, si sta concretizzando – e speriamo che funzioni – una situazione che potrebbe potenzialmente apportare maggiore stabilità nell’area”.

Un monito per il presente e futuro prossimo dello Yemen?

È necessario fare attenzione affinché la questione degli Houthi, la questione Mar Rosso e la questione Yemen non diventino un focolaio autonomo di crisi. Per ora, infatti, tali criticità sono collegate, seppur in maniera in parte retorica, al conflitto che ha investito Gaza. Di certo, se ci si limiterà, come fanno gli anglo-americani, a bombardare lo Yemen, in assenza di visione politica, l’area rischia di diventare davvero un focolaio di crisi autonomo. Tra l’altro è anche inutile bombardare le basi degli Houthi: nel momento in cui viene distrutto un sito, hanno ormai le capacità materiali e logistiche per poter ricostituire le loro infrastrutture in altro luogo. La conclusione è che il Medio Oriente, come anche il resto del mondo, dovrebbe smettere di portare avanti questa vuota e cieca affermazione dei propri interessi senza un’ottica di dialogo e di comprensione delle altrui realtà. Bisogna che le Potenze globali, i Paesi e gli altri player istituzionali imparino a dialogare. Che siano pronti a sostenere qualche rinuncia per avere l’autorevolezza per imporne ai competitori. Sembra banale, ma se non si cambiano in questo senso i paradigmi delle relazioni fra potenze, vedremo un mondo ancora più incontrollabile di quello è stato fino ad oggi”.

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