Assadakah News Agency - Dall’inizio della guerra fra Israele e Hamas, gli sciiti hanno avuto un ruolo di primo piano nel disturbare i progetti di Israele e Stati Uniti. Il timore dell’allargamento di un conflitto è stato avvertito soprattutto da Washington, che non a caso ha inviato navi e aerei nel Mediterraneo orientale, e nell’area sotto il controllo del Comando Centrale Medio Oriente (Centcom). La preoccupazione per l’apertura di più fronti, dal Libano alla Siria, dall’Iraq alla Cisgiordania, riguarda sia le forze americane di stanza nella regione, che i comandi israeliani, impegnati nella difesa dei confini e con il rischio di divedere le forze. Negli ultimi giorni lo Yemen ha assunto un ruolo sempre più importante nel contesto del conflitto Hamas-Israele. Il movimento sciita, infatti, si sta concentrando sulla potenza missilistica.
Il primo allarme è arrivato con i droni e missili intercettati da una nave americana nel Mar Rosso, poi altri droni provenienti dallo Yemen sono caduti in territorio egiziano, non lontano dalle coste del Mar Rosso, innescando nuovi timori. L’Egitto è direttamente coinvolto nel conflitto, per la presenza del valico di Rafah e il potenziale arrivo di migliaia di profughi dalla Striscia di Gaza. Infine, un altro drone sempre lanciato dalle milizie Houthi dallo Yemen, ha raggiunto la città di Eilat, principale porto meridionale di Israele, colpendo un edificio. Venerdì scorso l’esercito israeliano ha annunciato che il suo intercettore missilistico balistico ipersonico Arrow 3 ha centrato per la prima volta un bersaglio proveniente dal Mar Rosso.
Nei giorni passati, la Marina di Israele ha inviato una sua unità per contrare le attività degli Houthi e mostrare anche le proprie capacità in un’area che è sa sempre il fulcro di quella complessa guerra ombra che si combatte tra lo Stato ebraico e l’Iran, a cui i ribelli yemeniti sono legati. Tuttavia, nonostante la dimostrazione da parte israeliana e il dispiegamento delle forze Usa tra Mar Rosso e Golfo, la milizia sciita non ha cambiato atteggiamento, al punto che lo stesso Pentagono ha dovuto confermare la notizia dell’abbattimento di un proprio drone MQ-9 Reaper al largo delle coste dello Yemen. All’emittente Fox News, un funzionario statunitense ha ammesso l’abbattimento del velivolo “mentre si trovava nello spazio aereo internazionale sopra acque internazionali al largo delle coste dello Yemen”.
Il capo del Consiglio presidenziale yemenita, Rashad Al-Alimi, ha accusato la milizia Houthi di avere smentito tutti gli impegni assunti con la tregua che in questi mesi aveva frenato quella guerra oscura e apparentemente eterna che ha coinvolto il Paese della Penisola araba. Dagli Stati Uniti si è mossa anche la politica, con alcuni senatori repubblicani che hanno chiesto al dipartimento di Stato di classificare gli Houthi come organizzazione terroristica.
La pressione internazionale è forte, e lo conferma anche l’asse tra il Consiglio presidenziale e le due maggiori potenze dell’area: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ma quello che preoccupa è anche il significato strategico dietro questa fiammata della milizia filoiraniana, che sa di avere un ampio potere di azione in uno snodo geopolitico fondamentale, a ridosso dello strategico “choke point” di Bab el Mandeb e come potenziale minaccia per la navigazione nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. Gli Stati Uniti operano nel quadrante con diverse unità: ma il problema è quello di garantire la stabilità di rotte marittime di primaria importanza nel momento in cui è impegnato anche nella delicata situazione del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico. Idem per Israele, che ora si trova a dover gestire un ulteriore fattore di pressione in un’area che pensava di non dover considerare prioritaria nell’emergenza della crisi di Gaza.
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