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Yemen – Dopo la tregua, ci vuole pace

Roberto Roggero - Trasformare la tregua in colloqui di pace è la speranza per lo Yemen che, dilaniato da otto anni di combattimenti, vive una delle peggiori situazioni umanitarie al mondo. La tregua, decisa ad aprile, è stata rinnovata nei giorni scorsi fino al 2 ottobre prossimo. Occasione preziosa per pianificare le tappe di un negoziato che porti a una pace durevole.

Si moltiplicano gli appelli, affinché in Yemen si approfitti della tregua - in vigore da quattro mesi e prorogata fino al prossimo 2 ottobre - per avviare un vero e proprio negoziato di pace. Dopo quasi otto anni di guerra, nello Stato all'estremità meridionale della Penisola araba, il cessate il fuoco mediato ad aprile dalle Nazioni Unite fra tutte le parti e rilanciato il 2 agosto sta reggendo, ad eccezione di alcuni disordini nell’area centrale di Marib, e il numero di vittime e feriti civili si è dimezzato dal suo inizio.

La tregua prevede l’interruzione di tutte le offensive militari di terra, aeree e marittime “dentro e fuori dallo Yemen” inclusi, dunque, gli attacchi degli houthi contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (Eau), nonché gli obiettivi economico-commerciali nel Mar Rosso. Più concretamente, comprende l’ingresso di diciotto navi trasportanti carburante nei porti del governatorato di Hodeida; due voli aerei civili a settimana da e per l’aeroporto internazionale di Sanaa, in collegamento con Egitto e Giordania; nuove discussioni per la riapertura delle strade intorno alla città di Taiz. Intanto, nel quadrante del Mar Rosso-Bab el Mandeb-Golfo di Aden è entrata in funzione la Combined Maritime Forces-153: la nuova task force multinazionale, a guida statunitense, per contrastare il contrabbando di armi nell’area.

Resta la preoccupazione dell’Unicef che sollecita a fare di più per proteggere i minori che continuano a morire soprattutto per via delle mine di cui è disseminato il Paese, la principale causa di morte infantile. L'Unicef invita tutte le parti coinvolte a non risparmiare gli sforzi per rimuovere le mine e ordigni inesplosi.

L’obiettivo è costruire, in questa fase, un negoziato politico che trasformi la tregua in un cessate-il-fuoco. Ne parliamo con Mario Boffo, già Ambasciatore d’Italia in Yemen:

La tregua è stata impostata e rinnovata proprio perché l'Arabia Saudita sta cercando soluzioni di uscita e ha incoraggiato il governo internazionalmente riconosciuto a istituire un comitato esecutivo che dovrebbe negoziare con gli houthi una soluzione politica. Naturalmente non sarà né breve né facile perché sono diverse le visioni generali e le agende di ogni parte. Inoltre c’è da considerare il ruolo di Paesi stranieri. Ma è proprio il momento di sperare che si inneschi un negoziato politico credibile, serio, riconosciuto da tutte le parti.

Lo Yemen cerca stabilità dal 2011, dal momento in cui nell’ondata delle cosiddette primavere arabe ci sono state proteste e manifestazioni che hanno portato ad un passo indietro del presidente Ali Abdullah Saleh, che a febbraio 2011 annunciò che, alla fine del suo mandato presidenziale, cioè nel 2013, non si sarebbe candidato alle elezioni e avrebbe ceduto il potere al suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi. La transizione politica avrebbe dovuto portare stabilità nel Paese, ma così non è stato. Da allora la situazione in Yemen è precipitata. Il presidente Hadi ha dovuto affrontare vari attacchi da parte delle forze militari fedeli a Saleh, una crescente insicurezza alimentare e una crisi economica dilagante. Nel 2014 sono iniziati i combattimenti quando il movimento ribelle sciita Houthi ha preso il controllo della provincia settentrionale di Saada e delle aree limitrofe. Gli Houthi hanno continuato ad attaccare arrivando a prendere la capitale Sanaa, costringendo Hadi all'esilio all'estero. Il conflitto si è intensificato drammaticamente nel marzo 2015, quando l'Arabia Saudita e altri otto stati- per lo più arabi sunniti - sostenuti dalla comunità internazionale - hanno lanciato attacchi aerei contro gli Houthi, con l'obiettivo dichiarato di ripristinare il governo di Hadi. L'Arabia Saudita ha giustificato il proprio intervento in Yemen, affermando che l'Iran sostiene gli Houthi con armi e supporto logistico: un'accusa che Teheran nega. Il conflitto è entrato così a far parte di una serie di tensioni regionali e culturali nel Medio Oriente tra sciiti e sunniti.

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