Assadakah incontra Nada Ghandour, curatrice del Padiglione Libanese alla 59a Esposizione Internazionale d'Arte - Biennale di Venezia, che illustra l'impegno e l'importanza del significato della cultura per quanto riguarda la Terra dei Cedri nel contesto dell'attuale situazione nazionale e globale: "Ho assunto con entusiasmo l'incarico di portare il Libano alla 59a Esposizione Internazionale d'Arte La Biennale di Venezia, uno degli eventi più prestigiosi nel mondo dell'arte contemporanea, evento di grande importanza per il mio Paese".
Quali sono le ragioni che hanno portato a rappresentare il Libano con il progetto portato alla Biennale e qual è il motivo trainante del progetto?
“Il Padiglione del Libano presenta ‘Il mondo a immagine dell'uomo’, che mette in mostra l'azione costante dell'immaginazione sulla realtà del mondo contemporaneo. Più che mai la narrativa ispira e nutre la nostra vita quotidiana. Il progetto invita a un viaggio simbolico grazie a questo tema, una città in particolare che è Beirut, e due artisti, Ayman Baalbaki e Danielle Arbid, che mantengono un dialogo politico ed estetico, attraverso opere così lontane eppure così vicine”.
Quindi la capitale del Libano non è vista solo come una città, ma come un simbolo, un modo di essere?
“Questo tema non ha confini, tutti gli individui di tutte le culture possono interpretarlo e appropriarsene attraverso la propria percezione. Ayman Baalbaki e Danielle Arbid hanno scelto Beirut per illustrarlo. Beirut è una città del mondo, è la porta del Medio Oriente e la finestra sul Mediterraneo, ricca di espressioni artistiche e di scambi di culture e civiltà”.
Beirut e Libano sono dunque una chiave di lettura anche e soprattutto per l'arte?
“Il punto di partenza di entrambe le opere sono le strade di Beirut, che illustrano questioni locali che possono essere trascritte a un livello universale. Danielle Arbid e Ayman Baalbaki, infatti, hanno scelto come soggetto di riflessione e creazione questa urbanità poliedrica, al centro degli sconvolgimenti della crisi globale e dell'instabilità emotiva di un rapporto particolarmente tecnologico con il mondo. Grazie all'arte che sa decifrare i codici della nostra visione, trascriverli e farli risuonare in una forma o nell'altra”.
Come si inseriscono le opere degli artisti in mostra nel quadro generale del progetto?
“Il dialogo tra i due artisti rivela la crescente competizione tra materiale e virtuale. La grande installazione di Ayman Baalbaki e il video di Danielle Arbid evolvono tra un'immagine mentale diventata realtà grazie al gesto plastico di Baalbaki e una realtà tangibile che negli occhi di Arbid è diventata pura visione”.
Il Libano è stato attraversato sia dalla tradizione che dalla modernità e, fin dall'antichità, è stato un importante problema territoriale. Com'è affrontato questo tema alla Biennale 2022?
“Certo il Libano è sempre stato un snodo tra Oriente e Occidente, ha più volte sofferto di essere il ricettacolo, suo malgrado, di tante tensioni provenienti da altrove e che hanno, di volta in volta, trasformato profondamente la città, la città più lavoro compiuto Più che mai, il dramma politico, economico e sociale che il Libano sta vivendo dal 2019 ha portato Beirut, città martire e potenziale città del futuro, davanti agli occhi del mondo. E i suoi echi risuoneranno nel Padiglione libanese dell'Arsenale".
Presentiamo i due artisti e spieghiamo come raccontano il progetto del Padiglione del Libano, che hanno anche chiari riferimenti all'attuale situazione politica...
“Danielle Arbid presenta un video intitolato “Allô Chérie”, che fa parte della serie ‘My Libanese Family’. Un'opera che risponde, attraverso le sue immagini, a quella di Ayman. In quest'opera il personaggio (la madre di Danielle) è l'immagine del Libano: lo incarna, con una mentalità fatalistica, il gusto per il rischio e l'esuberanza. È coinvolta in una frenetica corsa al denaro, guidando attraverso Beirut. La sua lotta è inseparabile dalla violenza che prevale oggi in Libano e che è vissuta anche in altri paesi. Ayman Baalbaki sottolinea un altro problema politico con la sua installazione intitolata ‘Janus Gate’ che descrive Beirut come un luogo disturbato dalla presenza di barricate e confini.
Come modello della parola ‘libanizzazione’, che designa la frammentazione di uno stato, usa il termine di ‘beirutizzazione’ per descrivere lo smembramento urbano di una città e la sua frammentazione in silos separati. In riferimento al dio bifronte latino Giano, Ayman Baalbaki presenta due volti opposti di Beirut: uno che racchiude la promessa di un futuro luminoso e un altro che evoca desolazione e difficoltà. Questi due aspetti sono incarnati da un ambizioso edificio in costruzione e dalla squallida loggia occupata dal suo custode. Entrambi gli artisti descrivono le contraddizioni e le difficoltà del Paese. Con i propri mezzi, e camminando sul filo dell'eterno ritorno, entrambi fanno rivivere la carne del Libano nel suo caos e nella sua bellezza”.
C'è anche la scenografa, l'architetto Aline Asmar di Amman, fondatrice di ‘Culture in Architecture’ a Beirut e Parigi, Come si inserisce nel progetto?
“Aline Asmar propone un circuito nel cuore del Libano che assume la forma di un ruvido guscio ellittico, e richiama l'eterno desiderio di unità. La forma geometrica avvolgente invita le opere a dialogare senza artificio, affacciandosi, accorciando le distanze, come in un dialogo innato e naturale. L'architettura ruvida del Padiglione del Libano si rifà alle rovine contemporanee del paesaggio urbano libanese, alla forma a uovo del centro di Joseph Philippe Karam e all'edificio della fiera internazionale ‘Rashid Karamé’ di Oscar Niemeyer a Tripoli. Inoltre, la scelta di materiali gestuali e scenografici radicali testimonia una volontà di sobrietà assunta in risposta alla situazione attuale del Paese”.
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