Assadakah News - Lo scacchiere mediorientale tiene l’America impegnata su tutti i fronti in un vortice di confronti diplomatici con Israele e Libano, e messaggi recapitati agli alleati del Golfo e all’Egitto, partner chiave insieme al Qatar per riprendere i negoziati con Hamas per il cessate-il-fuoco e la liberazione degli ostaggi.
Ogni evento è racchiuso in uno scenario che ha alla fine il punto di caduta in Iran. Confessava nei giorni scorsi un diplomatico che segue il dossier turco, che «ogni conclusione su assetti e rischi regionali finisce per portarci a Teheran». Anche la guerra di Gaza. Secondo il New York Times, infatti, dal 2021 e fino all’ultimo il leader di Hamas, Sinwar, ha cercato di coinvolgere Teheran nelle operazioni del 7 ottobre.
La risposta ai raid iraniani
Israele ha in serbo la replica agli oltre 180 missili che sono piovuti sullo Stato ebraico il primo ottobre. Le conversazioni con Washington sono costanti e a ogni livello. Il segretario del Pentagono Lloyd Austin ha sentito Yoal Gallant, omologo israeliano.
Dall’Amministrazione Biden trapela che Israele avrebbe ristretto il numero e la portata degli obiettivi, ci sarebbero centri militari e strutture energetiche. Ma alla NBC, fonti dell’Amministrazione hanno precisato, che non ci sono indicazioni che i centri nucleari sono nell’elenco dei bersagli. Israele non avrebbe preso una decisione finale su come e quando agire, ma sarebbe ormai tutto pronto. A Washington non è giunto alcun preavvertimento. Tuttavia, rispetto ad altri episodi, ultimo il blitz per l’uccisione di Nasrallah, leader di Hezbollah, gli Usa li hanno scoperti in corso d’opera o a cose fatte. Per questo hanno espresso irritazione alla controparte israeliana.
Nel caso della risposta militare alla Repubblica islamica, Israele ha condiviso piani e una lista di obiettivi. Si è sentita rispondere la contrarietà di Biden a raid sulle installazioni nucleari e la perplessità per l’inserimento di pozzi petroliferi nell’elenco dei target. Più che suggerire o depennare dall’elenco israeliano gli obiettivi, Washington ha un’influenza concreta su Israele legata al fatto che sono le forze della U.S. Navy e della U.S. Air Force a garantire la deterrenza e in parte la difesa degli asset Usa nella regione e la sicurezza di Israele.
Il fronte libanese
L’uccisione di Nasrallah è arrivata al culmine di un anno di tensioni fra Hezbollah e Israele. Dall’8 ottobre 2023 a fine settembre i miliziani del Partito di Dio filoiraniano hanno sparato oltre 8mila razzi sul nord di Israele e nel cuore dello Stato ebraico. Washington appoggia l’operazione israeliana contro Hezbollah, ufficialmente – stando alle dichiarazioni del Dipartimento di Stato – si parla di “operazione per degradare le capacità militari di Hezbollah”. Così come l’eliminazione di Nasrallah, leader di Hezbollah, è stata definita “una misura di giustizia”, Washington ritiene che ridurre le capacità del partito sciita di minacciare la sicurezza di Israele è diritto di Israele. Di fatto c’è una sorta di mano libera, purché, spiegano dal Dipartimento di Stato, le operazioni avvengano nel rispetto delle regole internazionali, ovvero non rechino danni ai civili e non finiscano per trasformare il Libano in una nuova Gaza.
Il timore degli Usa in realtà sono i precedenti storici: «Spesso – ha spiegato Matthew Miller, portavoce del Dipartimento di Stato – abbiamo visto operazioni limitate trasformarsi in invasioni e controllo del territorio». Ed è proprio questo che l’America vuole scongiurare. Per questo la stella polare resta la soluzione diplomatica. Che si muove parallelamente all’operazione militare. L’idea – che è condivisa da Parigi – è che alla fine il Libano possa riacquistare una stabilità istituzionale minacciata negli ultimi 3 anni dai veti di Hezbollah.
Venerdì il presidente Usa Biden ha risposto di non voler “assolutamente” vedere Unifil sotto i colpi israeliani. Non è tuttavia un avvertimento a cessare le operazioni nel Sud del Libano, quanto piuttosto un monito ad agire sempre entro regole di ingaggio garantite.
Il Golfo
Il contenimento dell’Iran e la sicurezza nel Golfo Persico passano invece dal sostegno militare agli alleati. L’Amministrazione Biden ha approvato la vendita di armi per 2.2 miliardi di dollari all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti.
È un segnale di rinvigorita alleanza in funzione anti Iran. Il Dipartimento di Stato ha notificato al Congresso di aver approvato la vendita di missili Hellfire e Sidewinder insieme ad artigliere, carri armati e munizioni per i sauditi. La commessa ha valore di 1miliardo di dollari e arriva dopo che in agosto Biden aveva tolto i limiti alla vendita di armamenti offensivi a Riad, limiti imposti a suo tempo per premere sulla monarchia saudita affinché riducesse le operazioni contro gli Houthi nello Yemen, principali veicoli dell’offensiva anti-Israele nel Mar Rosso da quando Hamas ha attaccato lo Stato Ebraico il 7 ottobre del 2023. Agli Emirati Arabi invece gli Usa garantiranno l’acquisto di sistemi di missili Atamcs e razzi GMLRS teleguidati per il valore di 1,2 miliardi di dollari.
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