Assadakah News - Vladimir Putin sta ammassando decine di migliaia di soldati al confine con l’Ucraina con in mente un preciso obiettivo: approfittare delle divisioni europee da una posizione di forza e riscuotere la posta in gioco al tavolo negoziale. È l’abc della guerra ibrida. Un conflitto a bassa intensità – che non diventa mai veramente ‘caldo’ – giocato su molteplici fronti: la crisi dei migranti tra Bielorussia e Polonia; il sostegno al separatismo serbo in Bosnia Erzegovina e a quello filorusso in Transnistria e nel Donbass; la carta del gas da giocare, in piena crisi energetica, nei rapporti con Germania ed Europa. “Il presidente russo è un abile giocatore di scacchi. Non è chiaro quale sia il suo obiettivo” dice l’ex presidente dell’Istituto Affari Internazionali Stefano Silvestri. “Forse sta solo cercando di intimidire e dividere gli europei giocando sulle loro debolezze”. Gli obiettivi di questa strategia possono essere anche altri: “L’annessione alla Federazione del Donbass, come successo con la Crimea nel 2014. Oppure l’invasione dell’intero territorio ucraino. Nulla è sicuro. L’unica cosa certa è che noi europei dobbiamo mostrarci uniti e reagire insieme. Da subito”.
L’allarme è scattato in tutta la sua gravità quando due dei più prestigiosi quotidiani occidentali, gli americani del Washington Post e i tedeschi della Bild, hanno pubblicato informazioni raccolte dall’intelligence a stelle e strisce che mostrano importanti movimenti di truppe lungo l’intero confine tra Ucraina e Russia. E non si tratta solo di analisi e supposizioni. Alcune foto satellitari mostrano chiaramente come diversi reparti dell’esercito russo siano già pronti a marciare sul vicino. Secondo il Post, i piani russi prevedono un’offensiva militare, forte di 175 mila unità, da scatenare per l’inizio del 2022”. In concomitanza con le olimpiadi invernali di Pechino. Una coincidenza inquietante: durante le precedenti olimpiadi tenutesi nella capitale cinese – quelle estive del 2008 – Putin aveva approfittato di un’opinione pubblica internazionale distratta per fare la guerra a Sud, nel Caucaso, contro la vicina Georgia, colpevole di essersi riallineata troppo agli interessi occidentali con l’allora presidente Saak’ashvili. All’epoca Mosca, dopo una guerra lampo, si assicurò il controllo di alcuni territori della vicina repubblica: Abcasia e Ossezia del Sud.
Facendo i dovuti distinguo, tredici anni dopo stiamo vivendo un déjà vu poco più a Nord. I russi si sono già annessi la Crimea nel 2014. Primo e finora unico caso di cambiamento degli assetti territoriali in Europa dal 1945 ad oggi. Ora, per la stampa statunitense e tedesca, Putin starebbe solo aspettando le nuove olimpiadi per invadere l’Ucraina. Avvalendosi dell’alleato bielorusso Lukashenko, le armate russe occuperanno la capitale Kiev da Nord. Mentre nel Meridione, lungo le coste del Mar Nero, la Crimea fungerebbe da trampolino di lancio per occupare Odessa e aprirsi un corridoio per la Transnistria, regione ribelle filo-russa della Moldova.
In altre parole: non è detto che la guerra torni ‘di moda’ nel nostro continente. Ma il rischio c’è. E a giudicare dai movimenti russi, è un’eventualità che va tenuta in considerazione. “Non so se i media stiano esagerando la minaccia. Però quelle truppe esistono: 80-90 mila soldati sono già stati schierati” spiega in un colloquio con HuffPost Stefano Silvestri, ex sottosegretario alla Difesa e presidente dello IAI dal 2001 al 2013. “La situazione è tesa. Ed è aggravata dalle parallele crisi in Bielorussia e Bosnia. Penso che Putin voglia mettere in difficoltà l’Europa occidentale, perché la ritiene il ‘ventre molle’ nell’attuale momento storico che stiamo vivendo”. L’Unione Europea paga un’integrazione mai completata fino in fondo, soprattutto se guardiamo a difesa e politica estera. “Certo, se Putin volesse invece, più semplicemente, annettere il Donbass e così spezzare in due l’Ucraina mi sembrerebbe una manovra molto ambigua: favorirebbe l’entrata di ciò che resta di Kiev nella Nato. Facendo così spostare le frontiere dell’Alleanza Atlantica ancora più a Est”. E rendendo, di fatto, ancora più vulnerabili i russi. In pratica, un clamoroso autogol di Mosca.
“Per Putin, una delle opzioni più realistiche potrebbe essere un cambio di regime a Kiev”. Dai tempi delle rivolte di Euromaidan, infatti, nel gennaio 2014, i russi non hanno più un governo amico in Ucraina. All’epoca, il presidente filo-russo Viktor Janokovyč fu costretto a fuggire sotto la pressione di 200.000 manifestanti europeisti riuniti nella capitale. Un durissimo colpo per gli interessi russi nell’Est Europa. Anche perché l’Ucraina non è un semplice vicino. Secondo la narrazione imperiale-zarista è la terra natale del popolo russo. L’origine mitica della Madre Russia. Per questo Mosca la ‘rivuole indietro’. Riportare l’Ucraina sotto la propria ala protettrice: se non proprio a livello formale – come è stato fino al Natale 1991, quando crollò l’Unione Sovietica, e il ‘granaio’ ucraino ottenne l’indipendenza – almeno da un punto di vista politico.
In realtà, va ricordato, non è la prima volta che quest’anno i russi si fanno minacciosi ad Est. In primavera alcune migliaia di soldati furono mandate al confine con il Donbass. Usa e Ue avevano reagito, a parole, con asprezza. E così si organizzò il vertice estivo tra Biden e Putin a Ginevra. Non è un caso che i due leader si incontreranno, sebbene virtualmente, anche questa volta, martedì 7 dicembre. “Il Cremlino potrebbe chiedere garanzie che la Nato non si allargherà ancora. Ma si tratta di promesse che non possono essere prese in considerazione dalla Casa Bianca” ipotizza Silvestri. “Sono pessimista sulla riuscita di questo vertice. Non significa che scoppierà per forza un conflitto, ma per il momento le posizioni mi sembrano distanti”.
Intanto, si fa sentire l’assenza di una posizione forte a livello europeo. “L’UE non dovrebbero attendere le mosse degli Stati Uniti. Dovremmo reagire subito, con un appoggio deciso a Kiev. In quanto europei e non come Nato. Di modo da chiarire ai russi che noi ci siamo. E non ci facciamo intimidire dalle loro provocazioni”. In cosa potrebbe consistere la reazione europea? “Potremmo mobilitare le forze militari degli stati europei e schierarle ai nostri confini con l’Ucraina occidentale. Non per difendere l’Ucraina, ma per difendere i confini europei. E soprattutto dare un segnale di forza a Mosca. Una presa di posizione necessaria. Perché se l’Europa non dovesse reagire all’intimidazione russa, rischiamo di convincere Putin che il suo calcolo funziona: che dopo la Crimea può prendersi l’Ucraina. Poi la Georgia. E così via. Il tutto senza che i governi europei muovano un dito”.
Certo, questo scenario potrebbe essere realistico se nel Vecchio Continente non ci fosse l’ombrello protettivo della Nato. E quindi degli Stati Uniti. La minaccia cinese è una priorità nell’agenda politica di Washington. Gli americani potrebbero lasciar perdere l’Europa orientale per concentrarsi sull’indo-pacifico. “Il riallineamento strategico americano verso l’Asia orientale è ormai ineluttabile” chiarisce Silvestri. “Già oggi notiamo una minore sensibilità degli Stati Uniti verso il teatro mediorientale, fino a dieci anni fa ritenuto centrale nella loro politica estera. Ma l’Europa, per l’America, è un’altra cosa”. Ma siamo sicuri che da Oltreoceano siano disposti a ‘morire per Kiev’? “Non credo che ci sia qualcuno realmente disponibile a far morire propri militari per difendere la sovranità della lontana Ucraina. Ma nessuno era pronto a morire per Sarajevo, quando nel 1914 assassinarono l’arciduca Francesco Ferdinando. Ma poi scoppiò la Prima guerra mondiale e tutte le potenze intervennero. Oggi, come un secolo fa, la situazione potrebbe sfuggire di mano”.
«Lo scenario da incubo di un confronto militare sta per riaffacciarsi in Europa»: usa toni bellicosi il ministro degli Esteri russo, Sergeij Lavrov. I fatti sembrano confermare le sue parole. Fonti d’intelligence statunitense, citate dalla Cnn e dal Washington Post, accusano Mosca di aver concentrato 75mila uomini lungo i 2.220 chilometri di frontiera con l’Ucraina. Le truppe sarebbero acquartierate a 250 chilometri dal confine. Poco a ritroso della prima linea, manovre militari coinvolgono questi giorni altri 100mila uomini, pronti a unirsi al blitz, portando così a 175mila unità la potenziale forza di invasione. Fatto angosciante, le immagini satellitari mostrano le linee di approvvigionamento logistico per il fronte già in movimento. I russi stanno spedendo al fronte carburanti, pezzi di ricambio, viveri e, soprattutto, ospedali da campagna. Ad aprile, quando le due armate del distretto meridionale e centrale, e le due divisioni di truppe aerotrasportate si erano portate sul confine ucraino non avevano nulla di tutto questo.
E, infatti, il comandante supremo delle forze alleate in Europa, generale Tod Wolters, aveva stimato le probabilità di un attacco «basse o marginali». Stavolta lo spartito è diverso «c’è un livello di preparazione e di equipaggiamento che permetterebbe di supportare la guerra per una settimana o dieci giorni. E, nelle retrovie, sono pronti rinforzi per un mese di operazioni». Il quotidiano Bild, innescato da un’alta fonte dei servizi d’intelligence della Nato, parla di «un probabile attacco su più assi concentrici, muovendo da sud, con i rinforzi in Crimea, da est, con il grosso delle forze di manovra, e da nord».
Sono al momento 125mila i soldati che l’Ucraina ha spedito a ridosso del Donbass, contro i 175mila mobilitati dal Cremlino. Anche i bielorussi sarebbero della partita, l’ha detto chiaro e tondo il presidente Lukashenko. Forse, però, i russi puntano soltanto ad un blitz punitivo, secondo i canoni della diplomazia coercitiva, con due obiettivi prioritari: primo) dissuadere la Nato da ulteriori progetti di espansione a oriente e, secondo, neutralizzare il Donbass ucraino, per assicurarsi maggiore profondità strategica, esorcizzando il pericolo di avere basi occidentali a ridosso della frontiera occidentale. Per la Bild, invece, c’è anche «uno scenario estremo. Passerebbero sotto il giogo russo due terzi dell’Ucraina, compresa la capitale Kiev». L’ipotesi, ventilata dall’intelligence alleata, è inverosimile: gestire territori non etnicamente russi sarebbe insostenibile economicamente e militarmente per il Cremlino. Se invasione ci sarà, Mosca si limiterà a creare un cordone sanitario profondo massimo 150 chilometri.
Non ha mezzi per spingersi oltre. Ordirebbe un’operazione ibrida per defenestrare l’attuale governo ucraino, rimpiazzandolo con un esecutivo filo-russo. Se i piani sono pronti, il Washington Post parla ormai di offensiva imminente, «agli inizi del 2022». Molto dipenderà dall’esito della videoconferenza di martedì fra il presidente Joe Biden e l’omologo russo, Vladimir Putin. Le premesse non sono buone. Sabato Biden ha risposto picche alle guarentigie pretese da Putin per svelenire il clima, ribadendo che: «La decisione sul futuro di Kiev nella Nato è di competenza esclusiva dell’alleanza e degli occidentali».
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