Lorenzo Somigli - Si è chiuso un ciclo? Dieci anni dopo la Tunisia è tornata indietro, forse per andare avanti. Le Primavere Arabe, grande abbaglio collettivo oppure processo, più o meno controllato, di sostituzione della classe politica erede del socialismo arabo, avevano illuso ma dietro le buone intenzioni si nascondeva la minaccia, nemmeno troppo mascherata, di un Islam politico. Minaccia oltremodo tangibile in Tunisia che però, grazie agli anticorpi frutto della particolarità del paese, ha resistito. Non solo, è opinione diffusa che i partiti nati sull’onda delle Primavere abbiano tradito gli ideali preoccupandosi più della spartizione dei posti. Anche in quest’ottica si possono leggere le decisioni del Presidente Kaïs Saïed che ha incaricato Nei’ja Bouden.
Il segno dei tempi. Le scelte di Saïed aprono una fase di transizione che merita di essere studiata e, per quanto possibile, compresa. Soprattutto dall’altra parte del Canale di Sicilia. Al momento il Presidente non ha un partito di riferimento sebbene possa contare su un ampio appoggio popolare, come dimostrano le manifestazioni andate in scena domenica scorsa a Tunisi in Avenue Habib Bourguiba, Avenue de Paris e Avenue de Rome. Circa 8mila persone riferisce l’agenzia Tunis Afrique Press. Potrebbe tentare il referendum per cambiare la Costituzione ma il voto è sempre un’incognita. Certo è che la Tunisia conferma una tendenza oramai in atto in tutte le democrazie, più o meno compiute: la presidenzializzazione.
Gli avversari di Saïed. Il primo bersaglio è il partito Ennahda di Rached Ghannouchi e non potrebbe essere altrimenti. Il clima è diventato sempre più rovente. Domenica sono stati arrestati il deputato Abdellatif Aloui (poi liberato, udienza è spostata all’11), di Al Karama, partito islamista radicale, e il conduttore Abdellatif Aloui per delle dichiarazioni offensive rivolte a Saïed durante una trasmissione sul canale Zaitouna (ora sequestrato). Rispetto agli anni passati, però, Ennahda è molto meno forte, ha perso il consenso di molti giovani che costituivano una delle sue basi. Di contro, negli anni del consenso, il partito ha inserito i propri riferimenti nei gangli del potere, come nel caso dei giudici assunti a partire dal 2011.
Il peso della religione. La Tunisia ha vissuto un processo, non sempre lineare, di secolarizzazione che gli ha permesso di respingere gli elementi più radicali e di frenarne l’emersione. Eppure, il paese vive sempre la stessa contraddizione che ancora sopravvive nel dettato costituzionale che lascia un dubbio sul rapporto tra religione e Stato.
Per fare un esempio, nel caso dell’eredità del marito che arriva alla donna ma solo per metà. Punto spinoso su cui anche lo stesso Saïed preferì rimanere al contenuto del testo sacro.
Le insidie. Al netto del consenso, la strada di Saïed è tutt’altro che semplice. Il cammino intrapreso potrebbe portare ad uno stato di emergenza più prolungato, con conseguenze non prevedibili. Ugualmente, come insegnano i tanti precedenti, gli umori del popolo sono mutevoli e il populismo è strumento difficile da controllare a lungo. Saïed ha dalla sua dei rapporti internazionali utili, come con l’Algeria epperò il Fondo Monetario Internazionale potrebbe concedere i tanto attesi prestiti sebbene la riapertura del parlamento sia un’opzione ancora lontana. Infine, bisogna dire che una crisi in Tunisia avrebbe ripercussioni su tutta l’area. Nessuno può permettersi una nuova Libia.
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