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Tunisia – La nuova guida di Nejla Bouden


(a cura di Roberta Vaduva - Il Tazebao) - La Tunisia ha una nuova guida: Ne’jla Bouden. Ne parliamo con la Senatrice Stefania Craxi, vicepresidente della Commissione Esteri.

Donna, di alto profilo, “tecnica” e ora in un ruolo apicale. Per di più in un paese arabo, sebbene avviato da decenni a un processo di secolarizzazione. È lecito dire che la Tunisia ci ha dato una lezione?

La Tunisia che continua a stupire non è certo una novità. In questi anni travagliati nell’inquieto bacino del Mediterraneo allargato il popolo tunisino, nonostante le tante difficoltà – crisi economica, attentati terroristici, emergenza pandemica, ecc – continua a rappresentare tutto sommato un’eccezione positiva. La scelta di una personalità di alto profilo, prima ancora che di una donna, è la dimostrazione dell’esistenza di una società che al di là dei suoi travagli è viva, vitale, ed è al contempo la testimonianza, dopo gli eventi degli scorsi mesi, che la Tunisia non guarda al passato, a fantomatiche restaurazioni, ma guarda al futuro e cerca una sua strada democratica’”.

Questa scelta è figlia anche di un percorso complesso di graduale costruzione di una democrazia, che comunque non rigetta l’identità musulmana come testimoniano gli artt. 1 e 2 della giovane Costituzione del 2014. È forse la Tunisia l’unico Paese dove le Primavere Arabe non hanno prodotto solo esiti negativi?

È così. Ma dopo poco più di un decennio possiamo dire, senza timore alcuno di smentita, che le Primavere sono state un fallimento da qualunque parte le si guardi. Al di là del tema democratico – non certo marginale – e di una accresciuta emergenza sociale, la Regione è per aria, più instabile e più insicura, e si fatica a trovare un equilibrio anche a causa delle tante interferenze dei nuovi attori mediterranei (pensiamo al Qatar o alla Turchia) e alle strascicanti conseguenze del conflitto interno al mondo arabo. La Tunisia, benché abbia tenuto dritta la barra nonostante l’assenza di un vero aiuto dall’Occidente, non è però estranea a questo contesto. Ne ha risentito e ne risente. E le decisioni di Kaïs Saïed dello scorso luglio e, ora, l’indicazione di una donna alla guida del governo come Ne’jla Bouden, sono figlie anche di questo contesto, di una realtà che non vuole diventare un califfato o una teocrazia e, pur rivendicando e mantenendo le sue radici arabe, non intende subire e intraprendere la strada di una deriva islamista”.

È bene ricordare che dal 1988, con l’elezione di Benazir Bhutto in Pakistan, ad oggi, molti paesi musulmani hanno avuto premier o leader donne di primo piano. Penso a Tansu Çiller in Turchia o alla lunga leadership di Sheikh Hasina in Bangladesh. Forse scontiamo un preconcetto rispetto agli “altri”? Ne’jla Bouden è, insomma, davvero un’eccezione?

Dobbiamo smettere di analizzare questa scelta solo sotto il suo aspetto di ‘genere’. Benché abbia un valore simbolico altissimo è riduttiva analizzarla in questo modo perché essa ha una valenza politica straordinaria. È un messaggio al mondo, in primo luogo a quei Paesi che soffiavano sulle frange tradizionaliste tunisine per imprimere svolte ‘conservatrici’, retrograde nelle forme e nei contenuti. Ora, dopo mesi di attesa, abbiamo un governo del ‘presidente’ e sfido chiunque in Italia a dare lezioni in tal senso, visto che da Monti a Draghi non è una formula a noi così sconosciuta! Ma la sfida del governo è immane! Il Primo ministro sarà chiamato, in stretto rapporto con Saïed, a dare risposte concrete all’insofferenza di un popolo che negli scorsi mesi ha chiesto a gran voce di essere governato. Non ha grandi nostalgie del passato ma pretende risposte concrete, con una soglia di povertà che non si conosceva sotto il regime di Ben Alì e una disoccupazione giovanile da record mondiale! Bisognerà dare risposte a questi temi che rappresentano una miscela di istanze sociali altamente esplosiva, determinata anche da fattori politici ed economici esogeni. Infatti, se da un lato la ‘democrazia’ ha accresciuto il debito pubblico per mantenere, com’è giusto che sia, un po’ di pace sociale, la paralisi politica e istituzionale che si è esasperata all’inverosimile dopo la morte di Essebsi era per alcuni attori funzionale per imprimere una svolta islamica… Non a caso, la borghesia, l’impresa, come la stragrande maggioranza del popolo, per ora è dalla parte del nuovo Presidente…

Eravamo tutti in apprensione per la Tunisia. La ferita della crisi politica si è ricomposta? La sua leadership può apportare dei cambiamenti benefici ad un Paese che già rappresenta un unicum?

Il quadro tunisino è ancora molto instabile. I tempi della sua evoluzione non sono certi come allo stato è ancora sconosciuta la sua possibile evoluzione. I fronti aperti sono tanti e sulle sorti di questa piccola ma importante nazione mediterranea si giocano molte partite. Noi dobbiamo sostenere in tutti i modi questa transizione tunisina, senza cadere nell’errore guardare all’evoluzione del suo quadro politico ed istituzionale con ottusità e schemi precostituiti, tanto dogmatici quanto dannosi per una realtà che, come ha dimostrato anche la scelta del Premier, continua a mantenere salda la barra dei diritti e delle libertà. Non è poco e non era scontato…

Cosa dobbiamo augurarci?

Dobbiamo sperare che la situazione in Tunisia si stabilizzi e si evitino derive estremiste alle porte di casa nostra, in un paese amico, con un popolo mite e a noi vicino, dalla ferma tradizione laica che da sempre guarda ai valori condivisi dell’Occidente. Dopo la Libia, un disastro colossale in cui l’Occidente e l’Europa ne escono a pezzi, con Italia e Francia che, seppur per ragioni diverse, portano sulla loro pelle le stigmate della sconfitta, non possiamo lasciare che la Tunisia vada alla deriva. È da sempre stato un paese strategico, un ponte tra Occidente e mondo arabo…

L’Italia guarda interessata a questo nuovo corso?

L’Italia dovrebbe guardare con attenzione e con grande interesse a quello che accade a Tunisi se non altro per le ragioni che ho espresso poc’anzi. Dovrebbe rinsaldare i rapporti, strutturare i canali di dialogo e di iniziativa per uno sviluppo condiviso di due Paesi economicamente compatibili che potrebbe essere foriero di risultati positivi per entrambi. Noto, però, che ci sono dei dichiaratori seriali, che ripetono, a mo’ di cantilena, frasi fatte, con posizione precostituite, sganciate dalla realtà, inutili sotto ogni profilo perché inadeguate a dare risposte al popolo tunisino ed a sostenere la transizione del Paese. Altri, invece, per incapacità o per interesse sembrano dei Mujaheddin arruolati dai “Fratelli” con posizioni che rispecchiano più gli interessi di altri attori che non dell’Italia e dell’Europa! E si dicono europeisti! Ecco, servirebbe un po’ di serietà e di sano pragmatismo se non altro perché la Tunisia è quantomeno geograficamente casa nostra. Ed i problemi di casa sono sempre i più difficili da risolvere”.

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