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Immagine del redattorePatrizia Boi

Tunisia - Cartagine, l'eterna fenice della storia

Tunisia, Tunisi

La Tunisia è una terra ricca di storia e cultura, crocevia di civiltà che hanno lasciato tracce indelebili nel suo paesaggio. Dalle antiche città puniche ai grandiosi resti dell’impero romano, il patrimonio archeologico tunisino rappresenta una testimonianza unica della varietà culturale e storica della regione. La panoramica delle principali risorse archeologiche della Tunisia è un tesoro che merita di essere esplorato e valorizzato.


I principali siti archeologici sono Cartagine, uno dei siti più iconici della Tunisia, Dougga, conosciuta come la "Pompei dell’Africa del Nord", El Jem, famoso per il suo anfiteatro romano, Sbeitla (Sufetula), noto per il suo foro ben conservato, circondato da tre templi dedicati a Giove, Giunone e Minerva e Kerkouane, una delle poche città puniche giunte a noi senza sovrapposizioni romane.


Oltretutto, negli ultimi anni, gli archeologi hanno portato alla luce importanti reperti che gettano nuova luce sul passato della Tunisia. Tra queste, scavi subacquei nei pressi di Cartagine hanno rivelato resti di porti antichi e manufatti legati al commercio mediterraneo. Inoltre, ricerche nel Sahara tunisino stanno svelando dettagli sulle antiche rotte carovaniere e sulle popolazioni berbere.


Oltre ai siti archeologici, la Tunisia vanta una rete di musei che custodiscono inestimabili tesori. Il Museo del Bardo a Tunisi, celebre per la sua collezione di mosaici romani, quello di El Jem e di Sousse, i cui reperti locali arricchiscono la comprensione del contesto archeologico.


In questo articolo ci occupiamo più approfonditamente del sito più importante, ossia quello di Cartagine.


Cartagine - L'eterna fenice della storia


Cartagine, un nome che evoca potenza, mistero e grandezza. Situata sulla costa del Mediterraneo, nell'attuale Tunisia, è un luogo intriso di storia, mito e leggenda. Fondata dai Fenici nell’814 a.C., questa città millenaria si staglia come un simbolo della tenacia umana: distrutta, ricostruita e mai dimenticata. Oggi, i resti archeologici di Cartagine sono un museo a cielo aperto, una testimonianza tangibile di un’era gloriosa che ha plasmato il mondo antico.


La fondazione mitica, tra storia e leggenda


La nascita di Cartagine è avvolta nel fascino della leggenda. Didone, regina fenicia, approdò sulle coste nordafricane fuggendo dalla tirannia del fratello. Qui fondò la città, scegliendo un promontorio strategico che si affacciava sulle rotte commerciali del Mediterraneo. In realtà, Cartagine crebbe come una delle più importanti colonie di Tiro, sviluppando rapidamente un impero commerciale grazie alla sua posizione privilegiata.


Il cuore archeologico di Cartagine


Oggi, visitare Cartagine significa immergersi in un viaggio nel tempo, tra rovine che raccontano la stratificazione di civiltà. I principali siti archeologici sono sparsi nell'area urbana moderna, offrendo un’esperienza unica di connessione tra passato e presente.


Il Tophet – Un luogo misterioso e di devozione

Tra le vestigia di Cartagine, in un angolo sospeso tra storia e mito, si cela il Tophet, un santuario intriso di enigmi e sacralità. Qui, l’aria sembra ancora vibrare di antiche invocazioni, sussurrate ai due grandi numi del pantheon fenicio-punico: Baal Hammon, signore del fuoco e della fertilità, e Tanit, la grande dea madre, protettrice della vita e simbolo della luna.


Il Tophet è molto più di un luogo archeologico: è un portale verso un tempo in cui il confine tra umano e divino si assottigliava in rituali carichi di mistero. Le urne funerarie, celate sotto la terra, racchiudono resti incinerati, memoria di un sacrificio che intrecciava vita e morte, speranza e timore. Sono tracce di un culto complesso, che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro per tentare di comprenderne il significato.


Le stele votive, disseminate come pietre di un antico mosaico, raccontano di un popolo che cercava il favore degli dèi. Incise con simboli sacri – l’iconica figura di Tanit con le braccia alzate verso il cielo, il disco solare di Baal Hammon, le linee che richiamano la ciclicità del tempo – queste pietre parlano una lingua silenziosa, fatta di fede e soggezione al divino.


Baal Hammon regnava nel cuore delle fiamme: il suo potere era quello di trasformare, consumare, rigenerare. La sua energia devastante, ma vitale, era il fulcro attorno al quale ruotava la vita agricola e spirituale dei cartaginesi.


Tanit, invece, incarnava la protezione, la fertilità, la rinascita. La sua presenza era la promessa che, dopo la desolazione del sacrificio, sarebbe venuto un nuovo inizio, un raccolto abbondante o un grembo fecondo.

Visitare il Tophet oggi significa calpestare un terreno che porta ancora i segni di una religiosità viscerale, in cui ogni atto era carico di significato simbolico. Era qui che i cartaginesi affidavano il loro futuro agli dèi, intrecciando le loro vite con il sacro attraverso gesti che sfidavano la comprensione del mondo moderno.


In questo luogo enigmatico, la pietra e il fuoco si incontravano per narrare una storia di fede e destino. Il Tophet è un santuario dove un eco lontana continua a vibrare, ricordandoci la complessità dell’animo umano e il suo eterno dialogo con l’infinito.


I Sacrifici Umani


I sacrifici umani nel Tophet di Cartagine sono tra i temi più controversi e affascinanti legati alla civiltà fenicio-punica. Questo luogo sacro, dedicato principalmente a Baal Hammon e Tanit, ha suscitato dibattiti tra storici e archeologi per secoli. Le fonti antiche, unite ai ritrovamenti archeologici, offrono un quadro complesso e non privo di contraddizioni.


Le testimonianze antiche


Gli autori classici, tra cui Diodoro Siculo, Plutarco e Tertulliano, descrivono rituali in cui i cartaginesi avrebbero sacrificato bambini ai loro dèi. Secondo queste fonti, i sacrifici venivano compiuti in momenti di grande crisi, come guerre o carestie, per placare la collera divina e garantire la protezione della città. I bambini, spesso i primogeniti, erano offerti in un rituale pubblico davanti a statue di bronzo che rappresentavano Baal Hammon, con fiamme accese per bruciare le vittime.


Diodoro Siculo, in particolare, racconta che, durante l’assedio di Cartagine da parte dei romani, centinaia di bambini furono sacrificati per ottenere l’aiuto degli dèi. Questo tipo di narrativa, però, potrebbe essere stato influenzato da una propaganda ostile, volta a demonizzare i cartaginesi agli occhi dei nemici.


Le evidenze archeologiche

Gli scavi nei Tophet di Cartagine e in altri siti punici (come a Mozia in Sicilia o Tharros in Sardegna) hanno portato alla luce urne funerarie contenenti i resti incinerati di neonati, bambini piccoli e, in misura minore, animali. Questi ritrovamenti confermano la pratica di offerte rituali, ma il loro significato esatto è dibattuto.


Interpretazione sacrificale - Alcuni studiosi sostengono che i bambini fossero sacrificati intenzionalmente, come descritto nelle fonti antiche. Le urne, le stele votive e i simboli religiosi rinvenuti sembrano corroborare l’idea di un’offerta diretta alle divinità.


Interpretazione funeraria - Altri archeologi ipotizzano che il Tophet fosse un cimitero per bambini morti prematuramente o nati morti, consacrati agli dèi in un rituale di purificazione. Questa teoria considera le fonti classiche esagerazioni volte a screditare i cartaginesi.


Il significato simbolico


Se i sacrifici fossero stati realmente praticati, il loro significato va ricercato nel rapporto profondo tra i cartaginesi e le loro divinità. Baal Hammon, come dio del fuoco e della fertilità, rappresentava il potere creativo e distruttivo della natura, mentre Tanit, dea madre e protettrice, incarnava la rigenerazione e la continuità della vita. Il sacrificio di una vita giovane, nel contesto di un ciclo eterno di morte e rinascita, avrebbe potuto essere percepito come il più grande atto di devozione.


La controversia moderna


Molti studiosi contemporanei, pur riconoscendo l’importanza del Tophet nella religione punica, restano cauti nel confermare l’esistenza di sacrifici umani su larga scala. La mancanza di prove inequivocabili e la tendenza delle fonti romane e greche a descrivere i nemici in termini negativi rendono difficile separare realtà e propaganda.


Il Tophet di Cartagine rimane un simbolo della complessità e del mistero della religione punica. Che si trattasse di sacrifici umani o di riti funerari per neonati, questo luogo rappresenta la profonda connessione dei cartaginesi con il sacro, il loro desiderio di dialogare con le forze divine e la loro volontà di garantire la sopravvivenza della comunità attraverso gesti che, seppur drammatici, riflettevano una visione cosmica e ciclica della vita.


Le Terme di Antonino, dove il mare incontra la grandezza di Roma


L’impronta romana è visibile nelle Terme di Antonino, le più grandi dell’Africa romana. Affacciate sulle sponde del Mediterraneo, le Terme di Antonino si ergono come un maestoso tributo alla raffinatezza e alla potenza dell’Impero Romano. Qui, dove il mare sussurra alle antiche pietre, si respira ancora l’essenza di un’epoca che celebrava il corpo, la mente e la bellezza della natura.


Costruite nel II secolo d.C., queste terme erano un luogo di lusso e socialità, un tempio dedicato al benessere e alla cultura. Piloni colossali si innalzano verso il cielo, come giganti silenziosi che vegliano su ciò che resta di sale maestose e piscine dall’acqua cristallina. I mosaici sbiaditi, frammenti di un’arte che celebrava la vita, si mescolano al calore della pietra e al profumo del mare, evocando la quotidianità elegante degli antichi frequentatori.


Ogni angolo delle Terme racconta una storia. C’era il frigidarium, fresca e rigenerante, il tepidarium, tiepido abbraccio per il corpo, e il calidarium, dove il vapore scaldava l’anima. In questi spazi, romani di ogni estrazione si riunivano per rilassarsi, discutere e stringere legami, trasformando un atto quotidiano in un rito di comunità.


Passeggiare tra le rovine scolpite dal tempo è un’esperienza che mescola sogno e realtà. I resti architettonici, imponenti anche nella loro frammentarietà, sembrano dialogare con il paesaggio circostante. Il mare azzurro che si infrange poco distante diventa un elemento vivo, quasi una parte integrante delle terme stesse, un ponte tra natura e ingegno umano.


Queste terme non erano solo un luogo per il corpo, ma anche per la mente. In esse riecheggiano i dialoghi filosofici, le trame politiche, i versi di poeti e i progetti di architetti che cercavano la perfezione nell’armonia tra utilità e bellezza.


Oggi, le Terme di Antonino resistono come un frammento di eternità, un ricordo del lusso e dell’arte di vivere che fu proprio di Roma. Camminare tra i loro ruderi, lambiti dal vento del mare, è come entrare in un racconto antico, dove ogni pietra conserva il sussurro di un passato grandioso e immortale.

L’Anfiteatro Romano di Cartagine: Eco di Gloria e Sangue


Nel cuore della Cartagine romana, si ergeva maestoso l’Anfiteatro, un colosso di pietra che poteva ospitare fino a 30.000 spettatori, una folla in delirio per la spettacolarità degli eventi che vi si svolgevano. Questa arena, dedicata alla forza, alla brutalità e al divertimento di massa che offrivano spettacoli cruenti ma amati dalla popolazione, rappresentava non solo un luogo di intrattenimento, ma anche un simbolo del potere e della grandezza di Roma, un microcosmo in cui la morte e la gloria si intrecciavano.


Qui, dove il vento del Mediterraneo sussurrava tra le rovine, si consumavano combattimenti di gladiatori, uomini addestrati all’arte della guerra, pronti a lottare fino all’ultimo respiro per guadagnarsi la libertà o l’immortalità nel cuore del pubblico. Ma non solo gladiatori: anche bestie feroci, strappate dalle terre lontane, venivano fatte combattere per il piacere della folla, danzando in una macabra coreografia che esaltava la potenza di Roma nella sua più crudele magnificenza.


Oggi, i resti dell’anfiteatro sono avvolti da un’aura di solitudine e di grandezza, come se ogni pietra, ogni gradino consumato dal tempo, custodisse l’eco delle grida di un tempo lontano. Un silenzio austero permea il luogo, spezzato solo dal rumore dei passi dei pochi visitatori che si avventurano tra le rovine. È come se, in qualche angolo nascosto dell’anfiteatro, si potesse ancora sentire il fremito della folla, il battito dei cuori ansiosi, la tensione prima della battaglia, l’odore del sudore e del sangue che permeava l’aria.

L’architettura monumentale dell’anfiteatro riflette la grandiosità della Roma imperiale, ma anche la sua natura implacabile, pronta a offrire un’umanità ridotta alla violenza per intrattenimento. I gradoni in pietra, ora quasi consumati dall’usura dei secoli, sembrano guardare verso il centro dell’arena, come se aspettassero ancora le gesta eroiche e cruente che un tempo animavano quel luogo.


In queste rovine, ogni angolo racconta una storia di forza e fatica, di uomini e animali che combattevano per la gloria, per la libertà, ma soprattutto per il piacere di una popolazione che amava l’atrocità del gioco. L’Anfiteatro di Cartagine, ormai silenzioso, continua a parlare con le sue pietre, ricordando la storia di un mondo dove la morte non era un tabù, ma un’esibizione pubblica, un atto di potere che risuona nei secoli.

Il Porto Militare Punico, cuore pulsante di Cartagine


Nel lontano abbraccio del Mediterraneo, dove il mare racconta storie di navigazioni e conquiste, sorgeva il porto militare punico, un’opera che sfidava la forza delle onde e l’imponenza del tempo. Una meraviglia dell’ingegneria antica, il porto si ergeva come un gioiello di ingegno, frutto della maestria dei costruttori punici, che seppero piegare la natura alle esigenze della potenza.


Il bacino circolare, con la sua forma perfetta, abbracciava le navi in un guscio di protezione, come un dio che custodisce i suoi fedeli. Al centro, l'isola fortificata si ergeva come un baluardo inespugnabile, sorvegliando l’ingresso e impedendo l'accesso a chi non era chiamato. Ogni muro, ogni pietra di questo porto parlava di una civiltà che, nel suo splendore marittimo, aveva saputo costruire più di un rifugio: aveva creato una roccaforte galleggiante, il fulcro di una potenza che si estendeva sul mare, tra le onde e le rotte commerciali, sfidando le tempeste e le minacce degli avversari.


Oggi, il porto esiste solo nei resti sommersi, sepolti sotto il manto azzurro delle acque, ma la sua memoria non è affatto svanita. Le sue fondamenta, nascoste e invisibili agli occhi dei più, continuano a raccontare la storia di Cartagine e della sua genialità architettonica. In quelle acque tranquille, è ancora possibile percepire il fragore delle onde che un tempo accarezzavano i fianchi delle navi puniche, il suono delle corde tese, i movimenti frenetici dei marinai pronti a salpare verso nuove terre.


Il porto militare punico, una meraviglia dell’ingegneria antica, era il cuore pulsante della potenza marittima di Cartagine, un simbolo di resistenza e di grandezza che sfidava le forze naturali e il destino. Ogni pietra, ogni angolo di quel porto, immerso nel silenzio delle acque, custodisce il ricordo di una civiltà che sapeva dominare il mare, che guardava all'orizzonte con l’ambizione di conquistare e proteggere il suo impero. La sua visione non è svanita, ma continua a riaffiorare dalle profondità, come un sogno che non cede alla dimenticanza.

L’architettura come simbolo di potere e resilienza


L'architettura di Cartagine è un amalgama di influenze puniche, romane e bizantine, riflettendo il suo passato tumultuoso. Le case puniche, scavate nell'area collinare, rivelano una sorprendente attenzione alla funzionalità e al comfort. Gli edifici pubblici romani, come il teatro e le terme, esprimono un’idea di grandiosità e innovazione tecnica. Infine, le chiese bizantine, come quella di Damous El Karita, testimoniano la trasformazione della città in un importante centro cristiano.


Damous El Karita -Un'Eco di Fede e Grandezza a Cartagine


Tra le rovine di Cartagine, in un angolo che sembra sospeso nel tempo, si erge la chiesa di Damous El Karita, uno dei luoghi di culto cristiano più affascinanti dell’antica città. La sua storia si intreccia con la transizione di Cartagine da potenza punica a fulcro del cristianesimo nel mondo romano.


Damous El Karita, che significa "Chiesa delle Carità", fu costruita probabilmente nel V secolo d.C., durante l’apice del cristianesimo cartaginese. Situata in un punto panoramico, da cui si può ammirare l'intera area circostante, la chiesa è un simbolo della nuova fede che aveva preso piede in una città un tempo dominata dal culto dei numerosi dèi fenici. La chiesa si distingueva per la sua grandezza e la sua struttura imponente, in grado di riflettere l’importanza di Cartagine come centro religioso dell'Africa romana.


L'edificio, che si sviluppava su una pianta a croce latina, seguiva i modelli architettonici tipici delle chiese paleocristiane, ma con alcune caratteristiche locali che ne accentuano l’unicità. Le colonne corinzie, che ancora oggi spiccano tra i resti, raccontano l’opulenza del periodo, mentre le mura di pietra rispecchiano la solida stabilità e la durabilità volute dai costruttori. La chiesa era decorata con mosaici e affreschi che rappresentavano scene bibliche, figure di santi e motivi religiosi, che testimoniano la crescente diffusione del cristianesimo nel Nord Africa.


Anche se oggi la chiesa è in rovina, il suo spirito è ancora palpabile tra le pietre. Passeggiando tra i resti di quella che un tempo doveva essere una splendida basilica, si percepisce una sensazione di pace e solennità, come se il silenzio che regna ancora oggi fosse permeato dal fervore religioso che un tempo la animava.


Nel corso dei secoli, Damous El Karita è stata testimone di molteplici trasformazioni. Dopo l’invasione vandala e, successivamente, la conquista araba, la chiesa ha subito danni e saccheggi, ma la sua bellezza e il suo significato storico non sono mai svaniti. La chiesa rappresenta non solo la fede cristiana, ma anche l'evoluzione culturale e religiosa di una città che, pur cambiando volto e spirito, ha continuato a essere un crocevia di culture e credenze.


Oggi, le rovine di Damous El Karita sono un’importante testimonianza storica e un luogo di riflessione. Esse ci ricordano la ricca eredità religiosa di Cartagine, che affonda le radici nella potenza punica, ma che, grazie alla diffusione del cristianesimo, ha avuto un impatto duraturo sulla storia e sulla cultura del Mediterraneo. In questo angolo silenzioso di Cartagine, tra le rovine di una chiesa che un tempo risuonava di preghiere e canti, si può ancora percepire l'eco di una fede che ha attraversato i secoli.

Cartagine, un patrimonio universale


Nel 1979, i resti archeologici di Cartagine sono stati inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Questo riconoscimento celebra non solo il valore storico del sito, ma anche la sua capacità di ispirare le generazioni future. Ogni pietra, ogni rovina, racconta una storia di ascesa, distruzione e rinascita.


Un’eredità immortale


Cartagine è un luogo simbolo. Simbolo di resilienza, di civiltà che si incontrano, si scontrano e si trasformano. Camminare tra le sue rovine è come ascoltare un racconto millenario, una narrazione che parla di commercio, guerra, cultura e fede. Cartagine vive ancora oggi, nei cuori di chi la visita, nei libri di storia e nei sogni di chi immagina un Mediterraneo unito dalla cultura e dalla memoria.


Se la fenice rinasce dalle sue ceneri, Cartagine è la sua incarnazione più splendente.

Fonti utili per informazioni sull'archeologia tunisina:


Siti ufficiali:

Il Ministero della Cultura della Tunisia e il Patrimonio Culturale Tunisino spesso pubblicano notizie sui siti archeologici e sulle scoperte recenti.


I musei nazionali, come il Museo del Bardo a Tunisi, che ospita una vasta collezione di mosaici romani e reperti archeologici.


Organizzazioni internazionali:

L'UNESCO fornisce informazioni sui siti patrimonio mondiale, come Cartagine, Dougga e Kerkouane.

Pubblicazioni accademiche e ricerche dell'ICROM (Centro Internazionale per lo Studio della Conservazione e del Restauro dei Beni Culturali).


Siti archeologici principali in Tunisia:

Cartagine: Fondazione fenicia, periodo punico e romano.

Dougga: Considerata una delle città romane meglio conservate.

El Jem: Famoso per il suo anfiteatro romano.

Sbeitla (Sufetula): Importante colonia romana.

Kerkouane: Una delle poche città puniche conservate.


Scoperte recenti:

Sono riportate su riviste accademiche o attraverso conferenze specifiche come articoli pubblicati da università o istituzioni coinvolte in scavi nella regione, come l'École Française de Rome o l'Università di Tunisi.



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