Prosegue il resoconto del caro amico e collega Talal Khrais, che si trova a Beirut, sua città natale: “Dopo quattro giorni sto ancora camminando per le strade della mia martoriata Beirut, e sono riuscito con grande difficoltà a scrivere a causa dello shock che ho subito vedendo la città della mia infanzia, della mia gioventù, completamente disastrata. Dal primo giorno, ho cominciato a piangere dimenticando che sono stato, come mi chiamano i colleghi, grande reporter che ha vissuto conflitti e guerre. Ho pianto vedendo tanta gente vicino alle loro case distrutte, famiglie che si rifiutano di lasciare il loro appartamento nonostante sia insicuro. Mi sono guardato intorno con le lacrime agli occhi: non ci sono più i quartieri di Beirut, la mia città di tanti colori, le scale di Gemayseh dove passavo insieme agli amici i momenti più belli della vita, gli alberghi della ‘dolce vita’ e le scuole. Beirut storica non c’è più. Ho camminato ancora verso via Nahre Ibrahim dove ho passato i momenti più belli della mia vita, nell’Associazione di Vahan Tekeyan e al quotidiano della diaspora armena ‘Zartounk’, dove ho iniziato a 16 anni il lavoro che svolgo ancora oggi. Li ho lavorato, ho studiato, ho incontrato il primo mio amore Araks. I danni sono enormi, guardavo il palazzo e non riuscivo a non piangere, e non riuscivo a capire se Vahan, il custode del Palazzo, stesse sorridendo o piangendo a sua volta:”Ce la faremo, vedrai. Siamo sopravvissuti a genocidi e guerre, bisogna fare qualcosa, non possiamo andare avanti in questo modo…”.
Sono passati 34 giorni da quando la terribile esplosione di nitrato di ammonio al porto ha distrutto grande parte di Beirut storica, e molti palazzi che risalivano al XVII secolo. Quartieri che un tempo erano pieni di vita, ora sono cumuli di case inabitabili, brandelli di muri, finestre rotte. Sono 300mila i libanesi che non hanno un tetto sulla testa, rimasti senza casa, la maggioranza sono cristiani e armeni. Dove andrà tutta questa gente? Non c’è elettricità, né linea telefonica. Migliaia di porte non si chiudono. Non vogliono lasciare case pericolanti e non hanno fondi per ricostruire. È quasi impossibile, per la maggior parte dei residenti, finanziare la ricostruzione delle proprie case, poiché il Paese sta affrontando una crisi economica senza precedenti con un’inflazione alle stelle. Ma bisogna vedere l’altro lato della medaglia per sperare e credere alle parole di Vahan. Tutto il Libano, tranne il governo quasi inesistente è sceso in campo per sostenere i bisognosi che si sentono abbandonati dalla classe dirigente. Offrono le loro case, le chiese tutte le chiese sono aperte per ricevere gli sfollati. Arrivano ogni giorno aiuti medici, ospedali da campo temporanei, supporto umanitario e tecnico da molte zone del mondo e dall’Italia sempre presente in Libano.
I primi due giorni non ho potuto apprezzare abbastanza l’operato dei volontari libanesi e non libanesi, che sono giovani, belli e umani, lavorano giorno e notte per sgombrare i detriti e ricostruire, utilizzano le tecnologie, un Call Center a Gemmayzeh per ricevere chiamate dove esiste una emergenza. La ricostruzione nelle loro mani. Migliaia di giovani lavorano in grande silenzio. Gestiscono la distribuzione del materiali di emergenza, garantiscono l’assistenza sanitaria portano gli aiuti alimentari ai bisognosi. I volontari si trovano ovunque nelle aree disastrate, aiutano a pulire le strade e le case.
La maggior parte delle organizzazioni in campo mi hanno detto che tanti soldi vengono raccolti in loro nomi alla loro insaputa in Europa in Italia e che non deve essere strumentalizzata la loro tragedia. Il Libano non ha bisogno di soldi, ha bisogno di vetro e materiale di costruzione come infissi, materiale elettrico. Per questo. Ne ringraziare tutti i Paesi amici, e in particolare l’Italia, per l’assistenza, a testimonianza che italiani e libanesi sono due popoli con un solo cuore, sento il bisogno di dare un avvertimento: è essenziale che gli aiuti, i fondi e i materiali non passino attraverso organizzazioni non governative che destinano la maggior parte delle risorse a viaggi organizzati e privilegi, ma che vengano affidati a organismi ufficiali. Un esempio è stata la spedizione delle autopompe, delle jeep e delle attrezzature che i Vigili del Fuoco di Firenze hanno portato direttamente ai Vigili del Fuoco di Beirut.
Grande speranza poi è riposta nella prossima visita del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che sarà a Beirut l’8 settembre, come già hanno fatto diversi rappresentanti dello Stato Italiano, fra cui la vice ministra degli Esteri, Emanuela Del Re, E’ molto importante, perché ogni più piccola risorsa che non raggiunge la destinazione prevista, potrebbe significare la perdita di una vita.
Io continuo a camminare per le strade della mia città devastata, senza la forza di mettermi a scrivere, ringraziando per altro il caro amico e collega Roberto Roggero, che sta raccogliendo le mie testimonianze alla redazione di Assadakah. Insomma, mi guardo intorno e vedo tanto dolore, disperazione, ma anche la speranza che caratterizza la gente del Libano, che può trovare la forza di rinascere e portare il Paese a condizioni anche migliori di quelle di prima”.
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