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Sudan - Torna l’incubo del genocidio

Roberto Roggero - Ucraina e Gaza stanno monopolizzando l’attenzione dei media, questo anche giustamente, ma non bisogna dimenticare ciò che sta succedendo in Sudan. La popolazione è terrorizzata in particolare da una parola, Janjaweed, bande di paramilitari ribelli, protagonisti del genocidio nel Darfur e ora ribattezzati Rapid Support Force, tornati con intenzione di portare a termine ciò che avevano cominciato.

Il Paese, per conformazione, distanze, caratteristiche varie, è in gran parte fuori controllo. Ampie aree del Darfur, del Kordofan, e di altre regioni, sono contese fra RSF del generale Mohamed Hamdam Dagalo e forze governative del generale Abdel Fattah Al Burhan, riconosciuto come referente dalla comunità internazionale. La popolazione è presa nel mezzo, fra profughi, sfollati, morti e feriti. In tutte le principali città infuria la violenza. A Omdurman, città gemella della capitale Khartoum, è decisamente pericoloso uscire le la strada, ma è nel Darfur che la situazione è catastrofica.

Le testimonianze dei fuggiaschi che hanno passato il confine con il Chad parlano di veri e propri massacri nei confronti della popolazione Masalit, soprattutto nella zona di El-Geneina e Ardamata. I ribelli paramilitari della RSF e le bande di predoni arabi sono scatenati nella caccia alla popolazione musulmana non araba. Un testimone ha riferito a Al-Jazeera, di avere visto uccidere brutalmente oltre 1.300 persone, i feriti sarebbero oltre 600, altre 350 disperse. I miliziani sarebbero entrati in tutte le case, separando gli uomini dalle donne, le strade sono cosparse di cadaveri.

I vertici delle RSF hanno annunciato che gran parte delle maggiori città del Darfur sono ora sotto il loro controllo e si procede all’avanzata verso Al Fashir, nel Darfur settentrionale.

Altri 700 sfollati sono stati cacciati dalla regione orientale di Gadaref, dove si trova un campo profughi con oltre 270mila persone.

Nel frattempo, in Arabia Saudita, a Jeddah, si sono svolti ripetuti colloqui per tentare la soluzione politica, ma ancora nulla di fatto: dalla fine di ottobre rappresentanti delle due parti in guerra, insieme ai mediatori di Washington, Riyadh e IGAD (Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo) sono in trattativa, ma procedono a rilento. Nessun passo significativo è stato fatto finora per porre fine a questa terribile guerra iniziata lo scorso 15 aprile, che circa otto mesi ha causato la morte di almeno 15mila persone (cifra sottostimata), oltre 5 milioni sono sfollati, e altri 895mila cercano protezione nei Paesi limitrofi, mentre 24,7 milioni necessitano di aiuti umanitari. Più di una volta, è stato annunciato il mancato accordo, intanto nelle pianure sudanesi la popolazione continua a morire.

Una sorta di patto non scritto è stato concluso mercoledi, per collaborare con le Nazioni Unite nella consegna di aiuti umanitari, in seguito all’allarme dell’Alto Commissariato per i Rifugiati.

Nel frattempo a Kassala, capoluogo dell’omonima regione sudanese al confine con l’Eritrea, Unops (Ufficio delle Nazioni Unite per servizi e progetti) e l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo hanno firmato un’intesa di 4,2 milioni di euro per la fornitura di servizi sanitari.

L’ambasciatore italiano in Sudan, attualmente in Addis Abeba, Michele Tommasi, ha dichiarato che l’Italia sta finanziando la cittadella della salute di Kassala, con oltre a 120 posti, centro diagnostico, banca del sangue, reparto pediatrico e altre divisioni specializzazioni, a disposizione di circa tre milioni di persone. Non è un cessate il fuoco, ma pur sempre un piccolo progresso.

Nell’ultima settimana la situazione sul campo è tornata a scaldarsi, con una ripresa dei combattimenti in tutto il Paese. Alcuni reparti della RSF, guidate dal fratello di Hemetti, Abdul Rahim Hamdan Dagalo, hanno conquistato terreno, riuscendo a estendersi su buona parte del Darfur, dove hanno ripreso lo sterminio etnico dei Masalit, mentre l’esercito governativo si trova intorno alla città di Al Fashir, più a nord.

L’avanzata dei ribelli paramilitari causa la fuga continua di centinaia di migliaia di persone, come è successo a Erdamta, dove si sono verificate violenze e atti criminali contro la popolazione, con almeno 700 vittime.

Il Sudan è diventato attrazione per i combattenti che arrivano da tutto il Sahel, in particolare da Chad, Repubblica Centrafricana e Libia. Gruppi di sbandati che portano a circa 100mila gli uomini di Dagalo, insieme ad altri gruppi armati locali e mercenari stranieri, il cui nucleo è formato da arabi nomadi del Sudan occidentale e arabi chadiani, fra cui non pochi veterani della guerra del Darfur dell’inizio degli anni duemila tra le file dei temuti janjaweed.

Nel frattempo, in Niger la giunta militare sta cercando di assestarsi nell’esercizio del potere, cercando appoggi per affrontare le sanzioni, fra estrema povertà, carenza di generi di prima necessità e fame.

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