Roberto Roggero - Mentre la comunità internazionale in parte volta la testa, in parte è ancora limitata ai discorsi di condanna o sostegno, nei fatti la popolazione sudanese è in condizioni di assoluta emergenza umanitaria. Migliaia le vittime, centinaia di migliaia gli sfollati interno, milioni quelli che si dirigono verso i Paesi confinanti, dove per altro la situazione è tutt’altro che rosea, e conseguenti tragedie nello sterminato Sahara, per non parlare della capitale Khartoum, dove le ultime informazioni parlano di migliaia di cadaveri in decomposizione per le strade, con il rischio certo di epidemie.
Gli obitori sono al limite delle capacità, l’energia elettrica è un lusso, non vi è possibilità di conservazione dei corpi. “Save the Children” ha già evidenziato la situazione, da quando è scoppiato il conflitto ad aprile, ma gli scontri che nelle ultime settimane si sono intensificati. Il personale medico non è assolutamente sufficiente, e i circa 90 ospedali principali del Paese, oltre 70 sono fuori servizio, mentre gli altri lavorano a singhiozzo.
Molte strutture sono state occupate da comandi militari delle forze ribelli, la Rapid Support Force. Inoltre, gli attacchi a centri sanitari e ospedali sono oltre una cinquantina, e mancano attrezzature per il trattamento dell’acqua, con lo spettro del colera, che in questo territorio è sempre latente e quindi pericolo che potrebbe davvero manifestarsi a peggiorare la situazione già drammatica.
Il Sudan è culla della vita e delle prime civiltà, un tesoro da salvare e conservare prima che sia troppo tardi. Per garantire un futuro a questa terra, segnata da conflitti tribali e interessi stranieri, particolare attenzione deve essere dedicata all’infanzia, perché è ben noto che i bambini sono le prime vittime di un conflitto.
Bashir Kamal Eldin Hamid, direttore settore salute e nutrizione di Save the Children, ha dichiarato: “Il sistema sanitario in Sudan è appeso a un filo. Con l’aumentare delle vittime, gli ospedali sono costretti a chiudere, completamente privati di medicinali e medici e saccheggiati di ogni rimanente scorta. L’impossibilità di dare sepoltura ai morti è un ulteriore elemento di sofferenza. Stiamo assistendo a una crisi sanitaria in atto, oltre allo sconforto, alla paura e al dolore. Dove gli ospedali sono ancora aperti, sono sovraccarichi, il personale è stremato e mancano i rifornimenti. Save the Children chiede alle parti in conflitto di concordare un’immediata cessazione dei combattimenti in Sudan, e trovare una soluzione pacifica. Ogni bambino o bambina, indipendentemente da dove viva, merita di vivere una vita sicura, felice e sana, libera dalla violenza. E’ fondamentale per la sopravvivenza dei minori e delle famiglie vedere la fine di questi combattimenti”.
Da non dimenticare che il conflitto sta interessando varie zone del Darfur e del Kordofan, in particolare a Omdurman, Shabi, Al Doha, Alomda e Al Masalma, che centinaia di case in diverse zone del Paese sono state rase al suolo da piogge torrenziali, e che diversi casi di colera e morbillo sono già stati segnalati.
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