Assadakah News - Fra le poche notizie che giungono dal martoriato Sudan, desta attenzione la testimonianza di un sacerdote comboniano, padre Diego Dalle Carbonare, che racconta come, dopo la liberazione della strategica città di Wad Madani da parte delle forze armate governative, vi sia una concreta possibilità che il caos della guerra possa affievolirsi e dare respiro alla popolazione stremata. "Nelle città controllate dal governo, le scuole sono state riaperte e si sono tenuti gli esami delle secondarie. A Port Sudan, il giorno di Natale, il capo del governo, generale Al-Buhran, ha voluto salutare i cristiani dopo di una Messa celebrata in un cortile", racconta padre Diego.
E’ un segnale forte, di speranza, che potrebbe essere il prologo a una svolta decisiva. La riconquista di Wad Madani non sarebbe solo un successo militare delle forze regolari contro i paramilitari ribelli della Rapid Support Force, ma potrebbe anche rappresentare la concreta possibilità che la guerra possa finalmente finire.
Il pensiero che padre Diego Dalle Carbonare, superiore provinciale dei comboniani in Egitto e Sudan, è frutto di una oculata analisi di chi ben conosce le attuali dinamiche sociali e politiche del Paese, anche i fatti apparentemente insignificanti, spesso ignorati dall’informazione mainstream.
Un racconto oggettivo e realistico: “Wad Madani è la capitale dello Stato di Gezira, l’area più fertile di tutto il Sudan fra Nilo Bianco e Nilo Azzurro. Una terra molto ricca per risorse naturali, e nodo strategico che permette i collegamenti fra il nord-est (Port Sudan), Cassala, e le altre provincie del sud che da più di un anno erano tagliate fuori dal resto del Paese.
La liberazione di Wad Madani sarà senza dubbio ricordata nella recente storia del Sudan, e sono certo che i progressi delle forze governative a Khartum e poi verso ovest, sulla strada che da Kosti conduce ad El Obeid, avranno fondamentale importanza per porre fine a una guerra dove si combatte metro per metro, con bombardamenti di artiglierie e aerei, danni gravissimi alle infrastrutture e un altissimo numero di vittime innocenti. Ci sono ancora zone dove si combatte accanitamente, come il Darfur e il Kordofan, dove è difficile, se non impossibile, pensare a una diminuzione o a una fine, e dove scorre ancora molto sangue innocente. Per queste parti del Paese non credo che finirà molto presto. Del resto non dobbiamo dimenticare che la guerra che stiamo vivendo non è altro che il frutto di vent’anni di conflitto in Darfur, non è certamente iniziata nel 2023 con gli scontri adi Khartoum. Se mai le armi dovessero tacere in una sola parte del Paese, non sarà certo per una pace concordata, ma per la vittoria di una parte sull’altra. In questo desolante quadro, la popolazione stremata cerca di sopravvivere alla violenza, perché ha estremo bisogno di tornare alla normalità.
E’ comunque un buon segno che a Port Sudan, ormai capitale de facto, i residenti stanno tornando, la popolazione è più che raddoppiata, si stanno costruendo nuove case, e comunque le periferie i campi profughi sono ancora affollati. Le nostre chiese stanno accogliendo un numero sempre maggiore di fedeli, e lo stesso capo del governo, generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, a sorpresa ha visitato una scuola dove si stava celebrando una messa per i cristiani, durante le recenti festività natalizie. Nel suo breve discorso ha voluto mettere in evidenza il legame di pace che unisce cristiani e musulmani.
Un altro segno di estremo bisogno di pace, in un paese i fedeli musulmani sono circa il 97%, i sacerdoti cristiani hanno scelto di vivere con gli sfollati, per dare loro conforto e assistenza. Molti scelgono ancora di fuggire in Egitto, altri preferiscono rimanere sul confine, nei campi intorno a Rabak, nei pressi del Nilo Bianco, ma la maggior parte sceglie la via meridionale, verso il Sud Sudan, per arrivare a Juba, ma nemmeno il Sud Sudan se la sta passando bene, fra violenze e povertà estrema”. (fonte Vatican News)
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