Assadakah News Agency - Con queste parole si è espressa la sottosegretaria ONU, Rosemary Di Carlo, per gli Affari Politici e la costruzione della Pace, definendo la situazione attuale in Sudan, nel corso della recente Assemblea Generale.
Sono trascorsi più di cinque mesi dallo scoppio del conflitto fra Sudanese Armed Forces (esercito regolare nazionale) e Rapid Support Forces (RSF, paramilitari ribelli eredità dei famigerati Janjaweed), ma nessuna delle due parti riesce a prevalere, mentre a fare le spese della guerra è la popolazione stremata, specialmente nel Darfur, dove è in atto una spietata pulizia etnica contro le tribù Masalit, e nella regione del Kordofan. Oltre 5.000 donne, uomini e bambini sono stati uccisi e milioni sono gli sfollati, e più di 7 milioni di sfollati interni, compresi circa 3,3 milioni di bambini, e 6 milioni di sudanesi sull’orlo della carestia e a rischio di diffusione di epidemie.
I pochi resoconti e le testimonianze che raggiungono l’Occidente e l’Europa, fra cui i volontari di Music for Peace, son scioccanti, e il conflitto si sta espandendo e sta portando ad una crescente frammentazione del Paese.
Il conflitto è poi alimentato dalla mobilitazione transfrontaliera, anche lungo i confini tribali, così come dal movimento dei combattenti e dal flusso di armi e munizioni dall’estero.
L’ONU mantiene la sua presenza in Sudan, ma l’inazione politica ha già avuto un costo elevato, in termini di vite e lo stallo diplomatico necessita di un immediato rafforzamento. La comunità internazionale deve fare di più per contribuire a fermare i combattimenti e trovare una strada verso una soluzione politica.
Per portare le parti in lotta, e quelle che le alimentano, alla trattativa, per stabilire un cessate il fuoco, richiede volontà politica, monitoraggio e verifica, e capacità di identificare e perseguire i responsabili, non con un’azione unilaterale che potrebbe intensificare i combattimenti, ma con il dialogo., per fermare subito gli attacchi contro i civili e le infrastrutture, compresi centri sanitari e ospedali, e garantire l’accesso sicuro a soccorsi e aiuti umanitari, insomma, tornare ai colloqui di Jeddah e mettere fine al conflitto.
La violenza ha una base sempre più etnica, in particolare in Darfur, dove si continua a trovare fosse comuni, specialmente nei pressi di El Geneina. I servizi sanitari sono inesistenti, la crisi alimentare è sempre più grave, oltre 1.200 bambini sono già morti per malnutrizione e malattie prevenibili, come il morbillo.
Nel frattempo, è stata ripristinata l’operatività da Port Sudan al Darfur attraverso intensi negoziati ma in media sono necessari almeno due mesi per spostare dal porto sul Mar Rosso al territorio del Darfur, distanti circa 2.500 km. E’ quindi necessario uno sforzo internazionale concertato il cui costo stimati è di almeno 2,6 miliardi di dollari per aiutare 18 milioni di persone entro la fine di quest’anno.
L’Alto Commissario Onu per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha dichiarato che milioni di persone sono già state costrette ad abbandonare le proprie case e hanno bisogno di aiuto urgente, assistenza umanitaria, interventi di sviluppo e di emergenza, ma soprattutto è necessario fare tacere le armi.
Il ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, Faisal Bin Farhan AlSaud, ha promesso che il Regno continuerà a stare al fianco del popolo del Sudan nelle difficoltà che deve affrontare, e il supervisore generale del Centro Aiuto e Soccorso Umanitario King Salman, Abdullah Al Rabeeah, è stato più concreto: “Trovare soluzioni per la crisi umanitaria in Sudan significa garantire un accesso pieno e sicuro agli aiuti e ai lavoratori, aumentare i finanziamenti internazionali e sostenere una pace sostenibile.
Milioni di rifugiati e sfollati interni hanno bisogno di assistenza urgente in Sudan e nei Paesi vicini, e anche i Paesi ospitanti hanno bisogno del nostro sostegno per prendersi cura del flusso di coloro che fuggono dalla violenza. Ogni giorno che passa, sempre più persone sono a rischio, ma lavorando insieme possiamo fare una differenza positiva nella vita dei più vulnerabili del Sudan. E’ nostra responsabilità condivisa fare tutto il possibile per alleviare le sofferenze e lavorare per la pace e la stabilità in Sudan”.
Il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha detto che i Paesi vicini al Sudan non dovrebbero sopportare da soli il peso della crisi. Il sovraccarico di questi Paesi e delle loro capacità di fornitura di servizi pubblici spinge l’immigrazione clandestina. Dobbiamo sostenere il principio di un’equa condivisione degli oneri e delle responsabilità come unica soluzione per alleviare il peso umanitario e rispondere alla crisi degli sfollati in modo efficace e sostenibile”.
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