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Sudan - Nuovo allarme di MSF per violenza etnica

Assadakah News - Conflitti, come quello in Sudan, non superano la coltre di indifferenza che li circondano, e non è un caso isolato. Più di dieci anni in Siria, poi lo Yemen, il Myanmar, e diverse realtà dell’Africa. Sono le guerre dimenticate ed è un peccato dimenticarle.

In Sudan la popolazione civile è vittima di violenze indiscriminate di ogni genere, tra omicidi, torture e violenze sessuali ed etniche. Gli operatori sanitari e le strutture mediche sono oggetto di continui attacchi nonostante nel paese sia in atto una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi anni, con più di 24 milioni di persone, tra cui più della metà sono bambini, che hanno bisogno di assistenza umanitaria, circa 10 milioni di sfollati interni e più di 2 milioni di persone che hanno cercato salvezza nei paesi vicini. Il rapporto internazionale pubblicato da Medici Senza Frontiere (Msf) è intitolato “A war on people. Il costo umano del conflitto e della violenza in Sudan”. Descrive le orribili violenze perpetrate dalle Forze Armate Sudanesi (Saf) e dalle Forze di Supporto Rapido (Rsf) e dai loro sostenitori sulla popolazione civile in tutto il paese. Dall’inizio della guerra nell’aprile 2023, i combattimenti hanno avuto un impatto catastrofico, con ospedali attaccati, mercati bombardati e case rase al suolo.

Le stime delle persone ferite o uccise dall’inizio del conflitto variano. Ma solo nell’ospedale Nao di Omdurman, nello stato di Khartoum, supportato da Msf, sono state curate 6.776 persone vittime di violenze tra agosto 2023 e aprile 2024. Con una media di 26 persone al giorno. I team di Medici senza frontiere lavorano in otto diversi stati del Sudan. E hanno curato migliaia di pazienti con ferite causate dal conflitto in tutto il paese. La maggior parte per effetto di esplosioni, colpi di arma da fuoco e accoltellamenti. “Sono arrivate circa venti persone e sono morte subito dopo. Alcune erano già morte all’arrivo. La maggior parte di loro arrivava con braccia o gambe già gravemente ferite o amputate”, racconta un operatore sanitario dell’ospedale Al Nao dopo un bombardamento in una zona residenziale della città. E aggiunge: “Alcuni avevano solo una piccola parte di pelle che teneva insieme due arti. Un paziente è arrivato con una gamba amputata, insieme a una persona che lo assisteva e aveva in mano l’arto mancante”. Sono scioccanti le testimonianze di violenze sessuali e di genere, perpetrate soprattutto in Darfur.

Un’indagine è stata condotta da Msf su 135 donne sopravvissute a violenza sessuale, assistite dalle équipe di Msf tra luglio e dicembre 2023 nei campi profughi in Chad al confine con il Sudan. Emerge che il 90% di loro ha subito abusi da parte di una persona armata. Il 50% ha subito abusi nelle proprie case e il 40% è stata violentata da più aggressori. Questi dati sono coerenti con le testimonianze riportate dalle persone sopravvissute che sono ancora in Sudan, che dimostrano come la violenza sessuale continui ad essere perpetrata contro le donne nelle loro case e durante la fuga dagli scontri.

Si tratta di un segno distintivo di questo conflitto. “Due giovani ragazze di Sariba, il nostro quartiere, sono scomparse. Quando mio fratello è stato liberato dopo essere stato rapito ha detto che le due ragazze erano nella stessa casa dove era detenuto. E che erano lì da due mesi. Ha raccontato che aveva sentito fare loro delle brutte cose, di quelle che vengono fatte alle donne”, ha raccontato un paziente di Msf, descrivendo quanto accaduto a Gedaref a marzo scorso. Alcune testimonianze raccolte da Medici senza frontiere sono state riportate nel rapporto. Descrivono episodi di violenza etnica contro la popolazione del Darfur. Le persone hanno raccontano che a Nyala, in Darfur meridionale, nell’estate del 2023 le RSF e le milizie alleate hanno saccheggiato casa per casa, ucciso e picchiato le persone. Prendendo di mira i Masalit e altre persone di etnia non araba.

“Gli uomini erano armati di pistole e vestiti con la mimetica della Rsf. Sono stato accoltellato molte volte e sono caduto a terra. Quando sono usciti di casa mi hanno guardato sdraiato a terra, ero appena cosciente. Li ho sentiti dire ‘Morirà, non sprechiamo proiettili’. Mentre uno di loro mi premeva il piede addosso”, ha raccontato ai team di Msf un paziente a Nyala.  In oltre un anno di guerra, gli ospedali in Sudan sono stati regolarmente saccheggiati e attaccati. A giugno l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)ha rilevato che nelle aree difficili da raggiungere solo il 20-30% delle strutture sanitarie del paese è funzionante. Ma anche in questo caso a livelli minimi. Le équipe di Msf hanno documentato almeno 60 episodi di violenza e attacchi contro il proprio personale, beni e infrastrutture. Tra questi, l’ospedale Al Nao di Omdurman, supportato da Medici senza frontiere, è stato bombardato in tre diverse occasioni. L’ospedale pediatrico Baker Nahar di El Fasher, invece, è stato costretto a chiudere dopo che un’esplosione causata da un attacco aereo ha fatto crollare il tetto della terapia intensiva, uccidendo due bambini. Nonostante le difficoltà del sistema sanitario di soddisfare adeguatamente i bisogni della popolazione. Inoltre alle organizzazioni umanitarie e mediche è stato spesso impedito di fornire supporto.

Le autorità hanno iniziato a rilasciare più facilmente i visti per il personale umanitario. Ma i tentativi di fornire cure mediche essenziali sono ancora regolarmente ostacolati da limiti burocratici. Come il rifiuto di rilasciare permessi di viaggio per consentire il passaggio di persone e forniture essenziali. “La violenza delle parti in conflitto è aggravata da ulteriori ostacoli. Se l’assistenza umanitaria viene bloccata quando le persone ne hanno più bisogno, in Sudan un semplice timbro o una firma possono diventare mortali quanto i proiettili e le bombe - riferisce Vickie Hawkins, direttrice generale di Msf. Chiediamo a tutte le parti in conflitto di facilitare l’aumento degli aiuti umanitari. E, soprattutto, di fermare questa insensata guerra contro le persone. Cessando immediatamente gli attacchi contro la popolazione, le infrastrutture civili e le zone residenziali”.

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