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Sudan - La situazione ai colloqui e sul campo

Assadakah News Agency – Non partono bene i colloqui di Jeddah, in Arabia Saudita, fra i rappresentanti del Consiglio di Stato, organo ufficialmente riconosciuto, e la Rapid Support Force, gruppo paramilitare ribelle, che da 15 aprile si stanno combattendo, a danno soprattutto della popolazione in condizioni di emergenza, e del processo che doveva portare al governo civile. Le due parti hanno infatti dichiarato che avrebbero discusso solo di una tregua umanitaria, nessun negoziato per porre fine alla guerra. Riyadh e Washington hanno accolto favorevolmente i colloqui pre-negoziali fra esercito nazionale e RSF, e hanno esortato all'impegno concreto.

Anche il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, è in Arabia Saudita questo per colloqui. Il governo saudita ha annunciato a Al Ekhbariya, la TV di Stato che stanzierà 100 milioni di dollari in aiuti umanitari.

L’iniziativa statunitense e saudita è il primo tentativo di porre fine ai combattimenti che hanno trasformato parti della capitale sudanese Khartoum e altre zone del Sudan in campi di battaglia e ha di fatto mandato in fumo la nascita – come promesso – di un governo civile. Le potenze occidentali hanno sostenuto la fine della dittatura militare in Sudan, Paese che si trova in un crocevia strategico tra Egitto, Arabia Saudita, Etiopia e la regione del Sahel, sempre più instabile.

L’Arabia Saudita invece si è mostrata sempre tiepida verso un’amministrazione civile. Non è un mistero che tema il contagio della democrazia. Per altro il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, nel 2017 aveva accolto a braccia aperte nella sua corte come consigliere per gli affari africani, un alto funzionario sudanese, Taha Osman Al-Hussein, ex capo di gabinetto del dittatore Omar Al Bashir, ora consulente del presidente degli Emirati Arabi Uniti, sceicco Mohammed bin Zayed e indicato come collegamento fra Dagalo e gli Stati del Golfo. La coalizione che comprende Sudanese Professional Association e partiti all’opposizione ha espresso parere favorevole al primo confronto tra le parti belligeranti in Arabia Saudita. FFC ha invitato le due fazioni a prendere una “decisione coraggiosa” per porre fine al conflitto.

I dialoghi si svolgono in due sale diverse, in quanto le due fazioni non vogliono incontrarsi di persona. Le parti stanno trattando su questioni di ordine pratico che si potrebbe definire tecnico: mettere in atto una tregua per motivi umanitari, caldamente richiesta dalle organizzazioni che lavorano sul campo per portare aiuti alla popolazione.

Intanto infuriano i combattimenti anche oggi, 23° giorno di guerra. Raid aerei e forti esplosioni si sono sentiti durante la notte a Khartoum e dintorni e anche questa mattina le parti hanno continuato a affrontarsi. Ieri è stata colpita l’automobile dell’ambasciatore turco accreditato a Khrtoum. In seguito all’attacco il ministero degli Esteri di Ankara ha deciso di trasferire la rappresentanza diplomatica a Port Sudan. Ora entrambe le fazioni in lotta si accusano a vicenda di essere stati responsabili dell’aggressione. I combattimenti scoppiati in Sudan il 15 aprile hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione e anche sulle infrastrutture. La città più colpita è la capitale Khartoum, dove state registrate 700 vittime, per lo più civili e migliaia di feriti. Questo numero aumenta di ora in ora, sembra significativamente troppo basso, dato che non è più possibile contare le vittime in mezzo a tutto questo caos.

Secondo quanto riporta Save the Chlidren, anche 190 bambini sarebbero morti colpiti da proiettili, scheggia o addirittura dal crollo di edifici colpiti e collassati. E, come ha riportato l’UNICEF alla Reuters, a causa dei continui attacchi alle infrastrutture, sono stati distrutti anche un milione di dosi di vaccino anti-polio destinati.

I residenti di Khartoum hanno riferito che i paramilitari di RSF hanno fatto irruzione in centinaia di abitazioni, spesso sgomberando, aggredendo i proprietari e saccheggiando i loro beni.

Secondo quanto riporta Sudan Tribune, sarebbero ripresi i combattimenti tra le due fazioni nel sud Darfur. Giorni fa è stata osservata una tregua, mediata da leader locali.

In tre quartieri di Nyala, la capitale, le forze rivali hanno utilizzati armi pesanti che hanno devastato anche diverse abitazioni civili.

Si teme che nella regione i nuovi scontri possano aggravarsi e scatenare un nuovo conflitto etnico. È stato segnalato un ampio dispiegamento di milizie tribali nelle aree controllate dalle RSF a est di Nyala. La città è ora praticamente divisa in due: a parte occidentale, controllata dall’esercito, comprende la segreteria del governo, i ministeri, il comando dell’esercito e gli arsenali. La parte orientale, dove si trovano l’aeroporto di Nyala, gli edifici dei servizi segreti e il quartier generale della polizia, è sotto il controllo dell’RSF. Questa mattina Al Jazeera ha riportato che le RSF sono state cacciate da Nyala. Difficile verificare le notizie quando regna il caos generale.

Ieri l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato di aver inviato via aerea a Port Sudan 30 tonnellate di forniture mediche. Si tratta di una delle prime spedizioni di questo tipo dall’inizio dei combattimenti. L’OMS sta ancora aspettando le autorizzazioni di sicurezza e di accesso per effettuare spedizioni simili a Khartoum, dove i pochi ospedali funzionanti stanno esaurendo le scorte.

Il Qatar ha effettuato un volo di soccorso in Sudan con circa 40 tonnellate di cibo. L’aereo è poi ripartito con 150 sfollati a bordo.

Le Nazioni Unite stimano che quasi 900mila persone abbiano lasciato il Sudan. Non solo sudanesi, anche molti migranti che da anni vivevano nel Paese, che fino allo scoppio della guerra ospitava 1,1 milioni di rifugiati, gran parte provenienti dl Sud Sudan.

Molti Paesi limitrofi, come il Sud Sudan, si trovano già in grande difficoltà. Nella più giovane nazione della Terra, in particolare nei suoi Stati settentrionali, che dipendono in larga misura dalle importazioni dal Sudan, i prezzi dei prodotti di prima necessità sono alle stelle. Il costo del carburante è salito fino al 60 per cento in due settimane e i prezzi dei generi alimentari in alcune aree sono aumentati di oltre il 30 per cento e si prevede che possano crescere ulteriormente.

Al 3 maggio 2023, più di 30.000 persone hanno attraversato il confine del Sud Sudan in cerca di sicurezza, il 90 per cento tra loro sono cittadini sud sudanesi, la maggior parte dei quali sono stati registrati come rifugiati in Sudan. Queste cifre rappresentano solo coloro che sono stati identificati dagli operatori umanitari al confine ed è probabile che i numeri reali siano più alti di quelli riportati.

La maggior parte dei fuggiaschi sono arrivati attraverso il valico di frontiera di Juda, nello Stato dell’Alto Nilo, in maggioranza provengono da Khartoum. Un numero assai minore è arrivato negli Stati del Bahr Ghaza settentrionale e occidentale, in fuga dal Darfur.

Anche molti eritrei, che si trovavano in Sudan, sono arrivati a Renk, nel Sud Sudan. Ora l’UNHCR li porterà con diversi pullman a Kaya. Altri, invece, si sono spostati da Khartoum verso Kassala (Sudan) dove si trova un campo per rifugiati. Per mancanza di cibo, non tutti richiedenti eritrei sono stati accettati. Mentre quasi 10.000 persone hanno cercato protezione nella vicina Repubblica Centrafricana. Tra questi poco meno di 3.500 ex rifugiati centrafricani. Molti dei fuggitivi sono ora ospitati da famiglie nella città di Am-Dafock, confinante con il Sudan, altri invece si trovano in piccoli accampamenti di fortuna. La OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) ha detto che sicuramente il numero dei rifugiati aumenterà nei prossimi giorni. Alti funzionari governativi hanno già visitato Am-Dafock per valutare la situazione in quanto la zona è soggetta a inondazioni durante il periodo delle piogge, prevista per la fine di questo mese. Va ricordato che in Centrafrica oltre 3,6 milioni di persone (il 56 per cento della popolazione) necessitano di aiuti umanitari e di protezione. Nel Paese si consuma una guerra civile da anni ed devastato e insicuro. Molti sudanesi e ex rifugiati sono partiti anche alla volta del Ciad, l’Egitto, la Libia e altri Paesi.

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