Roberto Roggero – Un avvenimento di portata fondamentale, di quelli che possono cambiare il corso della storia di un Paese, mettendo fine a un periodo drammatico, e di puntare a un futuro democratico. A Khartoum è stato raggiunto l’accordo fra la giunta militare, il Fronte Rivoluzionario, le Forze per la Libertà e il Cambiamento, il Partito del Congresso Popolare, il Partito Unionista Democratico e diversi altri elementi della società civile sudanese, per portare il Sudan verso condizioni di sicurezza e democrazia da tempo agognate. Il generale Abdel Fattah Al Burhan, capo del Consiglio Sovrano, ha accettato la scelta del Paese e ha dichiarato di essere pronto a cedere ogni autorità a un organismo che dovrà essere l’espressione dell’unità delle parti civili, per portare il Sudan verso elezioni democratiche e l’entrata in vigore di una nuova Costituzione. Come segno di distensione, è stato rilasciato il noto attivista Wagdi Salih, da due mesi detenuto, guida del Comitato Anticorruzione delle Forze Libertà e Cambiamento, incaricato di smantellare le strutture del precedente governo Bashir.
L’intesa, conclusa al termine di colloqui mediati dall’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (Igad) fra i leader militari e i rappresentanti di diverse parti politiche sudanesi, è stata suggellata il 5 dicembre da una cerimonia al palazzo presidenziale di Khartum, alla presenza del capo del generale Al Burhan, del suo vice Mohamed Hamdan Dagalo e altre figure militari, oltre che dei leader delle Forze per la Libertà ed il Cambiamento (Ffc), movimento che riunisce le opposizioni e che in Sudan ha svolto un ruolo determinante fin dall’animazione delle proteste che nell’aprile del 2019 portarono alla deposizione dell’ex presidente Omar al Bashir.
L’accordo è stato preceduto dall’incontro fra i rappresentanti dell’Unione Africana (Ua), delle Nazioni Unite e delle parti interessate non statali che non fanno parte del patto, comunque criticato da diverse fazioni, come la Sudan’s People Call (“Il popolo del Sudan chiama”) o il Blocco Democratico, che rifiuta ogni revisione dell’accordo di pace di Giuba, mentre l’Esercito Popolare di Liberazione, principale gruppo armato di opposizione, non si è ancora espresso.
Anche l’Italia, insieme ai Paesi del gruppo “Amici del Sudan”, ha accolto con favore la firma dell’accordo e ha espresso le felicitazioni ufficiali insieme ai governi di Canada, Francia, Germania, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, Svizzera, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europe: “Gli Amici del Sudan elogiano inoltre il ruolo svolto dalla Missione integrata di assistenza alla transizione delle Nazioni Unite in Sudan (Unitams), dall’Unione africana (Ua) e dall’Autorità intergovernativa per lo Sviluppo (Igad), rinominato come meccanismo trilaterale, nel facilitare i colloqui e nel contribuire a superare la crisi politica in Sudan. Ora, proseguono i Paesi, è necessario portare avanti gli sforzi fatti per una nuova fase di consultazioni che metta a punto gli elementi dell’accordo, ed in particolare la riforma del settore della sicurezza, la giustizia nel periodo di transizione, l’accordo di pace di Giuba, il comitato per il disarmo, la crisi nell’est e l’economia del Paese. In conclusione, i Paesi Amici del Sudan ribadiscono il loro sostegno alla transizione ed alla realizzazione delle aspirazioni di pace, giustizia e prosperità dei sudanesi, dicendosi pronti ad una proficua cooperazione con il futuro governo a guida civile”.
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