"Dal 15 aprile il Sudan è ricaduto nell’incubo della guerra civile, per diverse settimane seguita dai media occidentali sulle prime pagine, poi gradatamente sostituita dal conflitto della Striscia di Gaza e da quello ucraino. Altre zone di crisi come il Nagorno Karabakh sono letteralmente sparite dalla cronaca. I ribelli paramilitari della Rapid Support Force, derivazione dei famigerati Janjaweed responsabili del genocidio in Darfur, sono ancora scatenati in razzie, saccheggi, violenze contro la popolazione allo stremo, e ancora intenzionati a terminare la pulizia etnica nel Paese.
Il 26 ottobre i ribelli hanno annunciato di aver preso il controllo di Nyala, la seconda città più grande del Sudan, ultimo capitolo di un conflitto che ha già fatto più di 10mila vittime, circa 5 milioni di sfollati interni, e altri 2 milioni fuggiti nei Paesi confinanti, a loro volta in situazione di emergenza, intanto Abdel Fattah al Burhan, capo del Consiglio di Transizione internazionalmente riconosciuto, mantiene il comando contro i paramilitari di Mohamed Hamdan Dagalo, fra diversi tentativi di tregua, puntualmente violata.
Le violenze si concentrano soprattutto nella regione del Darfur, dove già c’è stata una sanguinosa guerra durata quasi vent’anni, che aveva provocato centinaia di migliaia di morti, e più di mille persone della comunità Masalit sarebbero state uccise ad Ardamta, nel Darfur occidentale, dalla RSF. La coordinatrice dell’ONU per l’emergenza umanitaria in Sudan, Clementine Nkweta-Salami, ha parlato di orrende violenze, in una situazione che ha portato l’Unione Europea a lanciare un appello: il mondo non può permettere che si ripeta il genocidio dei primi anni 2000. Nonostante le dichiarazioni, però, i Paesi occidentali non stanno intervenendo per cercare una soluzione al conflitto, e la popolazione è abbandonata a sé stessa, mancano cibo e beni di prima necessità, e le Nazioni Unite hanno dichiarato che tra poche settimane finirà il cibo inviato per 500mila persone sfollate in Chad.
La sensazione che la guerra in Sudan sia lontana abbastanza per non preoccuparsene, perché destinata a durare ancora a lungo, è estremamente pericolosa, poiché il Sudan è un paese strategico per ragioni politiche, diplomatiche, commerciali e geopolitiche. Soprattutto per le rotte marittime sul Mar Rosso, fra le più trafficate e contese al mondo, oltre alle risorse del sottosuolo, in primis diamanti, oro e coltan. Per quanto riguarda l’Italia vi è poi il fatto che il Paese è uno dei principali punti di partenza per i migranti che dall’Africa subsahariana vanno in Libia, per poi imbarcarsi nel Mediterraneo.
La storia recente del terzo paese più grande dell’Africa, è particolarmente travagliata: negli ultimi quattro anni la popolazione è passata da una lunga dittatura alla promessa di democrazia, fino ad arrivare oggi al rischio di un nuovo genocidio.
Entrambe le parti hanno accettato di riprendere i negoziati di pace a Jeddah, in Arabia Saudita, ma non è ancora chiaro a dove porteranno i colloqui e prospettive non sono positive. In tutto questo, la popolazione continua a vivere nell’incubo.
Il Programma Alimentare Mondiale ha già annunciato che alla fine del prossimo gennaio, termineranno gli aiuti alimentari per oltre un milione e mezzo di persone fuggite in Chad, a causa della mancanza di fondi, oltre al problema degli sfollati interni e a quelli provenienti da Nigeria, Repubblica Centrafricana e Camerun a partire da dicembre. Dallo scoppio della guerra, oltre mezzo milione di rifugiati sono passati dal Sudan al Chad, molti sono fuggiti dal Darfur occidentale, dove la violenza etnica e le uccisioni di massa sono scoppiate nella capitale dello Stato, El-Geneina.
Il Darfur si sta rapidamente trasformando in una calamità umanitaria, come ha dichiarato Martin Griffiths, sottosegretario generale ONU per gli Affari Umanitari. L’Italia affronta onorevolmente la propria parte, con interventi di cooperazione e sviluppo sui settori di sicurezza alimentare, salute, istruzione e formazione, con lo stanziamento di 8 milioni di euro per Mozambico, Sudan e Burkina Faso.
Per l’escalation della crisi umanitaria in Sudan negli ultimi sette mesi, nel Darfur almeno 5 milioni di bambini si trovano ad affrontare la privazione dei loro diritti a causa del conflitto in corso. Dallo scoppio della guerra, sono state denunciate oltre 3.130 violazioni gravi dei diritti dell’infanzia, di cui almeno la metà nella regione del Darfur, ed è solo la punta dell’iceberg. Un inferno per milioni di bambini, con migliaia di persone prese di mira per motivi etnici, uccise, ferite, abusate e sfruttate.
Il numero di gravi violazioni dei diritti dell’infanzia denunciate in Darfur ha registrato un’impennata del 550% rispetto al numero verificato in tutto il 2022. Di tutti gli episodi di uccisione e mutilazione riportati in tutto il Sudan, per il 51% riguarda bambini.
Oltre ai molteplici livelli di violenza, più di 1,2 milioni di bambini sotto i cinque anni negli Stati del Darfur soffrono di malnutrizione acuta, di cui 218.000 sono colpiti da malnutrizione acuta grave, la forma più letale. Senza cure urgenti sono ad alto rischio di morte. Come comunità internazionale che si definisce progredita, possiamo ancora permettere tutto questo?".
(Hussein Ghamlouche - Ambasciatore internazionale di Pace)
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