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Sudan - I reali interessi russi

Lorenzo Utile - Mentre nella città saudita di Jeddah i negoziati sembrano di nuovo a un punto morto, in Sudan la guerra prosegue e il numero delle vittime innocenti aumenta giorno per giorno. In questo scenario è noto che Mosca non sia spettatore disinteressato, specialmente per quanto riguarda l’importante base militare russa sul Mar Rosso.

Dal 2019 sono stati ben tre i colpi di stato che hanno determinato la situazione attuale: con il primo è stato deposto il dittatore Omar al-Bashir, al potere dal 1993, cui sono seguiti quello del 2021, e l’ultimo nell’aprile 2023, che ha determinato lo scoppio della nuova guerra e causato dal generale Dagalo, capo delle Forze di Supporto Rapido (RSF), dopo mesi di instabilità. Le vittime sono ormai oltre 10mila oltre a una delle catastrofi umanitarie peggiori nella storia recente. Ancora una volta, dietro l’acuirsi degli scontri si trovano ragioni economico-militari. Le tensioni giungono infatti al massimo quando Al-Burhan firma un accordo che avrebbe previsto la reintegrazione delle RSF nell’esercito regolare, togliendo così a Dagalo il proprio braccio armato, e privarlo di quell’apparato necessario per assicurare i propri interessi economici, in quanto le RSF sono impiegate nel controllo delle miniere d’oro, garantendo così enormi profitti, a discapito della popolazione sudanese.

Se molti Paesi hanno deciso di rispondere a questa emergenza evacuando i propri civili (tra cui l’Italia), altri hanno invece deciso di approfittare della situazione caotica per esercitare i propri interessi – e qui entrano in gioco la Russia e la Wagner.

Mosca ha dichiarato il proprio supporto a Dagalo, con armi e assistenza militare. La ragione di questo aiuto si trova in interessi economici comuni più che in motivazioni di vicinanza ideologico-politica: in Dagalo il Cremlino ha trovato un ottimo partner in grado di garantire l’accesso alle riserve minerarie, di cui il Paese è particolarmente ricco, in cambio di supporto militare (sotto forma di armamenti, materiali e addestramento) fornito dal Gruppo Wagner. Il traffico illegale di oro in cui è impegnata Mosca è diventato ancora più importante soprattutto in seguito alle sanzioni economiche imposte dall’Occidente per l’invasione dell’Ucraina: l’attività fornisce infatti a Mosca un modo efficace e rapido per contenerle. E per il Sudan la Russia ha rappresentato fin dallo scoppio della guerra in Darfur un importante partner: soggetto a sanzioni occidentali dagli anni Novanta, con lo scoppio della guerra nel Darfur e i conseguenti embarghi ONU contro il regime, per Khartoum, sempre più isolata sul piano internazionale, era necessario trovare un partner che continuasse a fornire supporto militare. E qui si inserisce perfettamente l’azione di Mosca, che comincia a fornire sostegno militare in cambio di concessioni economiche sulle risorse naturali del Paese, prima tramite Al-Bashir e poi tramite Dagalo.

Mosca (tramite il gruppo Wagner) fornisce alle RSF una vasta gamma di armamenti. Inoltre la Wagner si sarebbe servita delle proprie basi militari in Siria e Libia per offrire supporto alle RSF, affermandosi anche come il principale fornitore di armi del Paese africano negli ultimi anni. Ma a differenza del passato, per Mosca oggi si aggiunge una motivazione in più: la possibilità di vedere finalmente realizzata la tanto auspicata base navale a Port Sudan. Per la prima volta discussa nel 2017, in seguito alla deposizione di al-Bashir e ai tre colpi di Stato il Cremlino si è visto sfuggire questa possibilità. Ora il coinvolgimento russo in Sudan e il suo totale appoggio a Dagalo mirano anche a quella base, che per Mosca acquisisce un ruolo di estrema importanza: con un’installazione sul Mar Rosso e le due già esistenti nel Mediterraneo (in Libia e Siria), la Russia potrebbe concretizzare la propria ambizione di diventare una potenza navale influenzando anche il traffico commerciale nel Mar Rosso e stabilendosi in un’area chiave, tra l’Africa e il Medio Oriente e tra l’Europa e l’Asia.

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