Assadakah News Agency - Troppi Paesi nel mondo stanno vivendo situazioni di emergenza, Gaza e Cisgiordania, Yemen, Libia, Corno d’Africa, fino alla tragedia del Nagorno Karabakh, e la lista è drammaticamente lunga. Uno dei Paesi che sta attraversando ancora una crisi sociale, politica e soprattutto umanitaria è il Sudan, dove i ribelli paramilitari della Rapid Support Force di Mohamed Hamdan Dagalo (nuova veste dei Janjaweed responsabili di genocidio) stanno sfidando l’autorità riconosciuta del Consiglio di Transizione del presidente Abdel Fattah Al Buhran, il tutto a scapito della popolazione già provata da decenni di conflitti.
L’attività di supporto umanitario è estremamente difficile, a causa delle distanze, delle caratteristiche del territorio, ma soprattutto della instabilità che investe la popolazione.
La guerra è arrivata lo scorso 14 aprile, dopo l’interruzione del processo di transizione democratica, a causa del colpo di Stato militare nell'ottobre 2021. Le vittim sono oltre 10mila, circa 5 milioni di sfollati interni e più di un milione di persone fuggite in Chad, Egitto, Sud Sudan, Etiopia e Repubblica Centrafricana. Dardur e nel Kordofan sono piombati ancora in una tragedia umanitaria.
Clementine Nkweta-Salami, coordinatore Onu per l'emergenza umanitaria in Sudan, ha dichiarato: “Situazione orrenda, impossibile descrivere gli orrori, atrocità, stupri, sparizioni, violazioni dei diritti umani, escalation di violenza”. Così si è espresso anche l'Alto commissario per i rifugiati, Filippo Grandi. L'Unhcr riferisce che negli ultimi giorni sono state uccise 800 persone da bande armate nel Darfur occidentale, mentre altre 8 mila sono fuggite nel vicino Chad. Scontri armati sono in corso soprattutto a Khartum, nella regione circostante e nella regione occidentale del Darfur e in particolare nella città di Al-Fashir. Scontri anche a El-Odeid, dove il centro urbano è controllato dalle forze governative e in periferia ci sono i ribelli.
Gli ospedali di Port Sudan, sul Mar Rosso, e Madani, a sud della capitale, lavorano al minimo perché il personale medico non è pagato e i rifornimenti non sono sufficienti per curare i pazienti, i servizi essenziali sono in bilico in tutto il Paese a causa dei combattimenti, ma l’emergenza umanitaria è presente anche dove non si combatte.
A Omdurman è ancora in attività una parrocchia di missionari che continua a prestare servizio, e nella capitale c’è una casa salesiana che è stata bombardata due settimane fa, ma i missionari continuano a prestare assistenza a oltre cento persone, e Kosti, nel Sud del Paese, e diventata crocevia di profughi che cercano di raggiungere il Sud Sudan.
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