L'Ambasciatore del Sudan in Italia, S.E. Ahmed Sayed Altayeb
Patrizia Boi (Assadakah News) - I giornalisti della Redazione Assadakah, a causa del peggioramento della crisi umanitaria che si sta attuando in Sudan, hanno convocato il 31 ottobre 2024 alle ore 14,00, presso l’Ambasciata del Sudan (sita in via Panama, 48 a Roma), una Conferenza Stampa dell’Ambasciatore della Repubblica del Sudan in Italia, S.E. Ahmed Sayed Altayeb.
Lo scopo di questo incontro era quello di sensibilizzare la comunità internazionale attraverso la promozione di una iniziativa per divulgare la cultura della convivenza, della pace e della cooperazione fra le nazioni e le popolazioni.
All’incontro era presente anche il noto Reporter Talal Khrais, fondatore di Assadakah , che, oltre a moderare l’incontro, ha rivestito il ruolo di traduttore simultaneo dall’arabo all’italiano per l’Ambasciatore del Sudan sia durante la Conferenza Stampa, sia nel corso dell’intervista, sempre all’Ambasciatore, realizzata dalla giornalista Giulia Bertotto (operatore Umberto Ascione) per il Canale Byoblu, svoltasi prima dell’incontro.
Erano presenti, altresì, l’ex Ambasciatore Bruno Scapini che è sempre disponibile ad intervenire agli incontri dove necessita la diplomazia per facilitare percorsi di Pace e Carlo Palumbo, Vice Segretario Nazionale di Welcome Association Italy, che spesso affianca Assadakah nei suoi incontri.
Per la Rivista mensile sul Continente del Futuro, Africa e Affari, è intervenuto il giornalista della Stampa Estera Tommaso Meo, mentre per la Rivista inglese The Italian Insider, ha partecipato David Jardine, anch’egli giornalista della Stampa Estera.
In Sala vi erano anche molti rappresenti della comunità sudanese in Italia.
Scapini, Altayeb, Khrais Giulia Bertotto nell'intervista di Byoblu Talal Khrais e l'Ambasciatore durante l'incontro
Per comprendere meglio il messaggio trasmesso dall’Ambasciatore S.E. Ahmed Sayed Altayeb, occorre fare una premessa.
Il Sudan e le sue risorse
La Repubblica del Sudan è un Paese membro della Lega Araba e dell’Unione Africana e da lunghi anni, a causa della varietà dei gruppi etnici che la compongono (oltre 500, tra cui arabi, nubiani, Beja e Fur - tutti settentrionali e musulmani - Dinka, Nuer, Shilluk e Nuba - popoli nilotici del Sud) è attraversata da una instabilità politica dettata da conflitti e crisi economiche.
Il nome Sudan deriva dall'arabo “bilad as-sudan”, che significa il “paese dei neri”, una volta chiamato Nigrizia.
Il Sudan è in effetti il paese africano in cui la cultura araba musulmana si incontra e si fonda con quella subsahariana animista e cristiana.
La Repubblica del Sudan e lo Stato del Sudan del Sud (immagine dal web)
Va notato che con i suoi 600 Km di costa sul Mar Rosso e con l’importante centro di Port Sudan, il Paese possiede una posizione strategica nel crocevia tra Africa e Medio Oriente.
Si tratta, inoltre, di una terra davvero ricca di risorse minerarie in quanto secondo maggior produttore in oro del continente africano, ma anche di altre risorse come mica, alluminio, gesso ed uranio, nonché di risorse naturali ed idriche, dal momento che la presenza del Nilo o di fonti sotterranee consentono di irrigare naturalmente circa 300 milioni di ettari di terreno.
Non bisogna nemmeno dimenticare che il Sudan è stato il Regno della XXVª Dinastia dei Faraoni Neri Kushiti, fondato dagli Egizi circa 3.500 anni fa, dove fiorì la potente Napata, centro economico, politico e religioso sulla Valle del Nilo, con i suoi templi sacri al dio Amon e alla sua sposa Mut, i ricchi palazzi e le tombe regali. Di questa civiltà si conservano tracce archeologiche spettacolari come le piramidi della Necropoli Reale di Meroe, i templi di Naga e Musawwarat (tutti siti Unesco), le tombe sotterranee policrome di El Kurru, i templi alla base del Jebel Barkal, la montagna sacra (sito Unesco), uno sperone di roccia dall’evidente forma a testa di cobra, che rimanda immediatamente all’uraeus, simbolo della regalità faraonica.
La Montagna Sacra di Jebel Barkal
Di genuina bellezza nel Paese sono, altresì, gli splendidi villaggi nubiani - realizzati in mattoni di terra e pietre - nei pressi del suggestivo sito cristiano di Old Dongola e i semplici mercati frequentati dalle popolazioni sedentarie e dai nomadi.
Nel Paese ci sono paesaggi straordinari come il Parco nazionale del Dinder, situato al confine con l’Etiopia ed istituito nel 1935, una riserva della biosfera, con una superficie di circa 10mila km quadrati. In esso convivono gli habitat della savana e della steppa arbustiva, gli ecosistemi fluviali e i cosiddetti ‘maya’, meandri fluviali che durante la stagione delle piogge si riempiono d’acqua. È poi davvero maestoso il panorama che si può ammirare intorno al Jebel Marra, la “montagna amara”, considerata dai nativi il simbolo della patria. Non si contano, poi nel Sud parchi, foreste, paludi, cascate e fauna meravigliosa, tra elefanti, rinoceronti, antilopi, zebre, ippopotami e coccodrilli.
La questione del Darfur
Il cuore della crisi del Sudan è da anni il Darfur, una vasta regione semidesertica nel sud ovest del Sudan, ricca di risorse energetiche, oro, petrolio. Le milizie dei guerriglieri Janjaweed, spalleggiate dal Governo di Khartoum, hanno ucciso o costretto alla fuga metà della popolazione. Si tratta di un genocidio iniziato nel 2003, allorché i gruppi animisti e cristiani del Movimento per la Liberazione del Sudan e del Movimento Giustizia ed Uguaglianza hanno cominciato la loro difesa dal Governo del Sudan che opprimeva la popolazione non islamica e non-araba del sud del paese. Il Governo dal canto suo ha risposto con una pulizia etnica contro la popolazione nera cristiana e animista del Darfur, provocando la morte di centinaia di migliaia di civili. In seguito a questi fatti la Corte Penale Internazionale ha accusato il Presidente del Sudan, Omar-al-Bashir, di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
Da un lato le Forze armate del Sudan, le forze di polizia e le milizie Janjaweed, i "demoni a cavallo", un gruppo di arabi reclutati fra i membri delle tribù locali e tra i beduini delle tribù Baggara, dall’altro erano schierati i gruppi ribelli, il SLM e il JEM, i cui membri erano stati reclutati anche dai gruppi etnici musulmani non-arabi dei Fur.
Le cause del conflitto
Ebbene, in questo Paese meraviglioso di cui i nostri media poco parlano, nel 1989 un colpo di stato militare guidato da Omar al-Bashir pose fine al Governo civile realizzando un regime dittatoriale che durò per oltre 30 anni. Nel 2019, a partire dalla celebre Rivolta del pane, in pochi mesi una popolazione allo stremo della sopportazione, ha condotto alla destituzione e all’arresto di al-Bashir e alla speranza di libere elezioni, istituendo un Governo di transizione.
Ed è da quel momento che il Sudan si è trovato a confrontarsi con le sfide inerenti alle riforme democratiche e alla ricostruzione delle sue relazioni con la comunità internazionale. Per differenti punti di vista sui temi della Giustizia e della Sicurezza, per questioni di Potere e di controllo delle risorse, si sono create due opposte fazioni, quella delle Forze Armate Nazionali (RAF) capeggiate dal Generale Abdel Fattah al-Burhan e quella del gruppo paramilitare Rapid Support Force (RFS) il cui leader è il Generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto anche “Hemedti”.
Dopo vari tentativi di intervenire a favore della Pace da parte di vari attori, il 15 aprile 2023, sono esplosi i combattimenti tra le Forze Armate Sudanesi e le Forze di Supporto Rapido (RSF) a Khartoum e in gran parte del Sudan.
Come affermava l’Ambasciatore S.E. Sayed Altayeb Ahmed in una intervista rilasciata al Giornale Diplomatico nel maggio del 2023 relativamente ai fatti accaduti il 13 aprile 2023, allorché le Forze di Supporto Rapido (RSF) avevano mobilizzato un ampio contingente all'aeroporto internazionale di Marawi, nel nord del Paese: «Davanti a questo segnale di allarme i partiti politici sudanesi e il Meccanismo Tripartito (Nazioni Unite, Unione Africana e IGAD) hanno immediatamente organizzato un meeting fra il leader delle Forze Armate, il gen. Abdel Fattah al-Burhan ed il leader delle RSF, il gen. Mohamed Hamdan Dagalo. È importante ricordare che le RSF sono state riconosciute come forze di supporto regolare sotto il commando delle Forze Armate sudanesi con un decreto adottato dal Parlamento nel 2017; il loro compito era quello di offrire supporto alle forze regolari nel confrontare movimenti armati fuori dai confini statali, combattere il traffico di esseri umani, la criminalità locale e proteggere i confini.
Mentre si attendeva il meeting fra i due leader, il 15 aprile 2023, le RSF presenti nel compound di comando delle Forze Armate hanno condotto un attacco a sorpresa alla residenza del presidente del Consiglio sovrano, nonché comandante dell'Esercito sudanese regolare. Contemporaneamente le unità delle RSF, dislocate in molteplici istituzioni strategiche, si sono attivate nel tentativo di ottenerne il controllo, iniziando di fatto un colpo di Stato».
È importante sapere che la capitale Khartum conta oltre 5 milioni di abitanti ed è situata nel centro del Paese, nel punto in cui si uniscono Nilo bianco e Nilo azzurro. È formata in realtà da 3 città in una (Khartum, Nord Khartum o Bahri e Omdurman), quindi non è un luogo semplice in cui vivere e spostarsi soprattutto in caso di ostilità.
Da oltre un anno gran parte del Sudan vive in condizioni di incessante violenza caratterizzata da una intensa guerra urbana, sparatorie, bombardamenti e attacchi aerei.
Esplosioni a Khartum (Immagine dal web)
In questo contesto già complicato si inserisce l’intervento dell’Ambasciatore che, oltre che spiegare sinteticamente la situazione pregressa, pone l’accento sulla situazione umanitaria assai preoccupante che attualmente vive il Paese.
La difficile situazione umanitaria
In questa situazione di distruzione e di disagio, il sistema sanitario, che era già affetto da una intrinseca fragilità prima dell’inizio del conflitto, affronta con difficoltà sia le esigenze mediche esistenti, sia quelle che emergono a causa dell’intensificarsi del conflitto.
A questo si aggiungono sia la mancanza di personale sanitario spesso impossibilitato a recarsi sul luogo di lavoro e comunque non retribuito e oberato dal lavoro, sia la distruzione e il saccheggio delle strutture sanitarie operati dalle milizie dei ribelli, nonché le gravi carenze di servizi e forniture mediche che, non viaggiando più per via aerea, sono costrette alle lungaggini del trasposto via terra, alquanto complesso in zone di guerra.
Di conseguenza, la popolazione del Paese si trova ad affrontare notevoli difficoltà nell’accesso alle cure mediche.
Ancora prima dello scoppio del conflitto, il Sudan stava già affrontando una grave crisi umanitaria con 15,8 milioni di persone che necessitavano di assistenza umanitaria, una crisi che non ha ancora trovato soluzione a causa anche delle continue violazioni delle tregue e dei cessate-il-fuoco.
La situazione attuale in Sudan comporta che quasi 25 milioni di persone — oltre la metà della popolazione sudanese — si trovi in stato di bisogno.
Da una stima effettuata dalle organizzazioni umanitarie attive sul posto, si valuta che abbiano dovuto abbandonare le proprie case, spesso perché occupare dalle milizie ribelli, più di 12 milioni di persone, tra le quali circa la metà sono bambini.
La maggior parte di questi sfollati, oltre 10 milioni sono interni al Sudan stesso, mentre più di 2 milioni di persone sono fuggite in direzione dei paesi limitrofi.
Si tratta della più grande crisi di sfollamento a livello mondiale, con milioni di persone costrette a vivere in condizioni precarie nei campi privi di assistenza sanitaria e umanitaria. Si deve anche valutare che nel territorio sudanese erano già presenti, altresì, oltre 2 milioni di sfollati provenienti dal Sud Sudan, dall'Eritrea e da altri paesi vicini.
L’accesso al cibo è il bisogno più pressante tra le persone sfollate, poiché oltre il 97% degli sfollati in tutto il Sudan è stato ospitato in località con alti livelli di insicurezza alimentare. Si stima che l’89% delle famiglie sfollate non sia in grado di provvedere al proprio fabbisogno alimentare giornaliero.
Sono moltissimi gli sfollati in Ciad, Sud Sudan, Egitto, Etiopia, Repubblica Centrafricana e Libia, luoghi in cui le strutture per l’accoglienza sono di per sé piuttosto fragili.
I dati comunicati dalla organizzazione umanitaria InterSOS sono i seguenti:
in Ciad circa 780.000 sudanesi e rifugiati sud sudanesi sono entrati nel Paese e stanno affrontando sfide crescenti;
in Egitto si stima che siano sfollati circa 500.000 rifugiati sudanesi e la situazione dell’accoglienza è critica;
nel Sud Sudan, nel 2024, compresi i rifugiati, si stima che 9 milioni di persone – il 70% della popolazione totale – abbiano bisogno di assistenza umanitaria e 7,1 milioni di persone siano in condizioni di grave insicurezza alimentare. Sono più di 700.000 le persone che hanno cercato rifugio dal conflitto sudanese in Sud Sudan. Tra queste, più di 550.000 sono ex rifugiati sud sudanesi che stavano tornando nel loro Paese d’origine, mentre quasi 150.000 sono rifugiati sudanesi;
nella Repubblica Centrafricana, ad oggi, sono arrivate dal Sudan circa 25.000 persone rifugiate e oltre 6.000 returnees. La metà della popolazione soffre di insicurezza alimentare, sono oltre 500.000 le persone centrafricane sfollate all’interno del territorio e altri 750.000 i rifugiati nei Paesi limitrofi, tra cui il Sudan;
in Libia sono state accolte oltre 10.000 persone, sudanesi e non, tra aprile 2023 e giugno 2024.
Campi profughi (immagine dal web)
Insicurezza alimentare e malnutrizione
Un recente sondaggio di Medici Senza Frontiere che risale al 30 settembre 2024 ci fa comprendere quanto sia grave la situazione umanitaria in Sudan.
L’insicurezza alimentare e la malnutrizione hanno raggiunto livelli catastrofici in alcune parti del Sudan.
Nei mesi di marzo e aprile 2024, MSF ha condotto uno screening di massa di oltre 63.000 bambini sotto i 5 anni, nonché su donne incinte e che allattano, riscontrando una crisi di malnutrizione catastrofica e mortale nel campo di Zamzam, nel Darfur settentrionale.
Degli oltre 46.000 bambini sottoposti a screening, il 30% è risultato affetto da malnutrizione acuta, di cui l’8% in forma grave. Cifre simili sono state riscontrate tra oltre 16.000 donne incinte e che allattano sottoposte a screening: un terzo era gravemente malnutrito, di cui il 10% con grave malnutrizione acuta.
Le Nazioni Unite e altre organizzazioni hanno lanciato l’allarme: il Sudan potrebbe trasformarsi nella più grande crisi alimentare del mondo.
Oggi a causa degli attacchi, dell’occupazione degli ospedali da parte delle forze armate, delle interruzioni di corrente e della carenza di forniture mediche, il sistema sanitario è sull’orlo del collasso.
Se epidemie di morbillo e colera erano affrontate come eventi stagionali prima dell’attuale guerra in Sudan, oggi con la mancanza di medicinali e di servizi essenziali come l’acqua, la situazione è ancora più disastrosa, soprattutto per i bambini.
Non sempre, oltretutto è possibile accedere al servizio umanitario e delle forniture per la difficoltà di ottenere visti per il personale umanitario che vuole entrare nel paese e permessi di viaggio per muoversi in Sudan.
I traumi estremi subiti dalla popolazione per la perdita di familiari, per violenze a cui assistono o subiscono, per la violenza sessuale, stanno creando gravi implicazioni sulla salute mentale delle persone in fuga o bloccate nel mezzo dei combattimenti.
L'arrivo dei profughi sudanesi nel campo di Adré in Ciad – Reuters (immagine del web)
L’Ambasciatore ha descritto molto sinteticamente il disastro attuato nei confronti della popolazione dalle milizie ribelli ed in particolare l’aiuto fornito a queste milizie da parte della Federazione degli Emirati Arabi Uniti.
Comunicato Stampa
L’Ambasciata ha divulgato - in data 31 ottobre 2024 - un comunicato stampa sulle accuse degli Emirati Arabi Uniti riguardo al bombardamento della residenza del loro Ambasciatore a Khartoum.
Nel corso dell’incontro S.E. Ahmed Sayed Altayeb ne ha spiegato la sostanza nelle linee essenziali.
Come afferma il comunicato:
«Dallo scoppio della guerra, il 14 aprile 2023, sono disponibili informazioni di intelligence e prove conclusive che le Forze di Supporto Rapido, che si ribellarono alla legittimità dello Stato e provocarono abusi, uccisioni, sfollamenti e stupri tra il popolo sudanese, sono pienamente sostenuti militarmente, logisticamente e tecnicamente da diversi paesi, guidati dagli Emirati Arabi. Ciò prolunga la guerra e colpisce non solo la sicurezza e la stabilità del Sudan, ma anche la sicurezza e la stabilità della regione e dell’intero continente».
L’Ambasciatore ha posto l’attenzione sul fatto che questa situazione possa condizionare anche il nostro Paese perché se la condizione del continente africano precipita, immancabilmente anche il mondo occidentale e in primis l’Italia ne subirebbero le conseguenze, mentre soprattutto con l’Italia, il Sudan vanta una collaborazione che dura da circa tremila anni.
Il comunicato spiega, altresì, in cosa consista il supporto fornito dagli Emirati Arabi, sintetizzandolo in 7 punti:
«1. Supporto nella pianificazione e organizzazione della guerra.
2. Sostegno dei media per sollevare il morale dei combattenti della milizia e allo stesso tempo abbassare il morale dell’esercito.
3. Una fornitura continua di munizioni e tutti i tipi di armi avanzate, in particolare droni, cannoni, cannoni antiaerei e sistemi di disturbo.
4. Ospitare i leader della ribellione e i loro sostenitori politici.
5. Supporto logistico fornendo aerei per il movimento e lo spostamento dei leader delle milizie tra i paesi della regione, con accordi e coordinamenti regionali per loro.
6. Finanziare l’acquisto di mercenari provenienti da paesi africani e non africani, aprendo loro campi, armandoli e inviandoli a combattere nelle fila della Milizia di Supporto Rapido.
7. Evacuare e accogliere e curare i feriti della milizia negli ospedali degli Emirati Arabi».
Si tratta di accuse molto gravi, tanto che il Sudan, che possiede forti legami storici con gli Emirati Arabi Uniti, ha provato ad utilizzare la diplomazia per far cessare questo supporto, ma essendo rimasto inascoltato, ha presentato una denuncia contro gli Emirati Arabi Uniti al Consiglio di Sicurezza Internazionale
Con questo comunicato il governo sudanese nega anche che ci sia stato un attentato alla sede dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti a Khartum, infatti, afferma il suo impegno alla “inviolabilità della sede diplomatica e tutto ciò che è richiesto dalle leggi e norme internazionali”, in conformità con la Convenzione di Vienna.
L’Ambasciatore denuncia il genocidio, la pulizia etnica, la violenza sessuale e la schiavitù di donne e bambini, commessi dalla milizia terrorista di Janjaweed, nonché i recenti massacri commessi dalle milizie nei villaggi della regione di ALJAZEERA, un territorio molto popoloso, dove vivono solo contadini disarmati.
Il traffico d’armi e di mercenari effettuato dagli Emirati Arabi Uniti sarebbe, secondo il giornalismo investigativo internazionale, la causa della continuazione della guerra in Sudan.
In relazione al presunto bombardamento dell’Ambasciata è stato mostrato un video che afferma e dimostra - attraverso studi effettuati con droni - che l’edificio bombardato non sarebbe l’Ambasciata ma l’abitazione di un cittadino privato ucciso dalla milizia ribelle Janjaweed, in quanto tale Ambasciata sarebbe stata trasferita a Port Sudan.
Afferma, pertanto, che gli Emirati Arabi Uniti sono responsabili di «violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite, della Carta della Lega Araba e di tutte le norme internazionali…».
Alla fine dell’intervento di S.E. Ahmed Sayed Altayeb è intervenuto anche l’Ex Ambasciatore Scapini, il quale ha avvalorato la necessità di trovare percorsi diplomatici di Pace, prendendo anche l'esempio dal recente Vertice BRICS di Kazan’ dove si cerca di tracciare percorsi di Pace, denunciando le situazioni dei paesi in guerra, tra le quali quella del Sudan, ma soprattutto si orientano i paesi emergenti alla cooperazione e alla collaborazione all’insegna del rispetto reciproco.
Successivamente l’Ambasciatore Sudanese ha risposto a varie domande, in particolare sugli interessi economici e commerciali di molti Paesi nei confronti delle ricchezze del Sudan, che ritiene siano legittime, pertanto il Paese è disposto a qualunque proposta di scambio possa essere conveniente per entrambi i Paesi.
L’incontro ha stimolato alcuni interventi anche da parte della comunità sudanese intervenuta all’incontro, alla fine del quale l’Ambasciata ha offerto un rinfresco in segno di ospitalità
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