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Sudan – “Asilmiya”, la forza della gente

Redazione - I regimi dittatoriali nel mondo sono ancora molti, troppi. Anche solo uno sarebbe troppo, e l’opposizione ad essi risulta essere sempre difficile, per la contrapposizione di interessi esterni sempre contrastanti. Tuttavia esistono anche esempi a dimostrazione che la transizione pacifica non è possibile, ma probabilmente inevitabile.

Uno di questi esempi è il Sudan dove, dopo la rivoluzione e la guerra civile scoppiata nel 2018, il dittatore a vita Omar Al Bashir è stato cacciato, dando inizio a un periodo indubbiamente difficile, ma necessario, verso la democrazia, interrotto poi da un successivo golpe, nell’ottobre 2021, del generale Abdel Fattah Al Buhran.

Con provvedimenti ufficiali sono stati allontanati molto funzionari, fra cui il primo ministro Abdallah Hamdok, poi è stato sciolto il governo di transizione civile-militare, è stato proclamato lo stato di emergenza, ci sono stati scontri, vittime e feriti, ma la popolazione non ha rinunciato a fare sentire la propria voce e il desiderio di giustizia e di vivere in un Paese democratico. Una indubbia vittoria della “almuqawamat asilmiya”, in arabo “resistenza pacifica”, protesta di una società compatta e unita, con valori condivisi e fiducia nella riuscita.

Pochi giorni fa, nel primo anniversario del golpe di Al Burhan, decine di migliaia di sudanesi sono tornati a dare prova di determinazione, partecipando a manifestazioni di protesta in una ventina di città in tutto il Paese, chiedendo il ritorno alla democrazia e un governo civile.

Da quest’estate vanno avanti dei negoziati tra i generali e una parte delle forze della società civile “per un passaggio di poteri a un governo competente” come ha dichiarato lo stesso generale Al Buhran. Da settimane s’inseguono le notizie su un’uscita dalla crisi, fra informazioni contrastanti, le proposte di portare di fronte alla giustizia internazionale i responsabili di crimini contro la popolazione, interessi stranieri e la necessità di una riforma della sicurezza, che sia prologo a una serie di riforme ormai inevitabili, come la creazione di una forza armata unica, dalle due esistenti: l’esercito regolare, e le forze di supporto rapido, derivate dalle milizie arabe del Darfur, i paramilitari janjawid, comandati dal generale Mohammed Hamdan Dagalo, i quali cercano alleanze oltre i confini nazionali, con il continuo pericolo di nuove escalation. Intanto, i sudanesi continuano a scandire le loro proteste e a portare avanti la resistenza pacifica, la “almuqawamat ailmiya”.

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