Roberto Roggero – La associazione italo-araba Assadakah si unisce alle felicitazioni internazionali per l’anniversario della cosiddetta Rivolta del Pane, che il 18-19 dicembre ha portato alla fine del decennale regime di Omar Al Bashir, il quale, al potere dal 1989, annunciò di voler triplicare il prezzo del pane e dei prodotti derivati. Per i sudanesi era la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la gente cominciò a scendere per le strade a protestare e le manifestazioni si allargarono a macchia d’olio dalla capitale Khartoum a molte altre del Paese.
Il giorno seguente, 19 dicembre, Omar Al Bashir ebbe la conferma che il proprio potere era giunto al termine, oltre al mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja, per crimini contro l’umanità e genocidio, in riferimento alle stragi del Darfur. Ciò nonostante, Bashir era stato di nuovo scelto dal suo partito, il Congresso Nazionale, come candidato alle presidenziali previste nel 2020. La rivolta prese corpo, e il governo proclamò lo stato di emergenza, schierando l’esercito a Oumdourman, la città gemella di Khartoum, e tutti gli accessi a fonti internet furono bloccati. Fra i manifestanti si cominciarono a contare vittime, ma la popolazione non si fermò. Emersero altri motivi di protesta, l’inflazione a oltre il 70%, niente benzina, niente pane, estrema povertà diffusa. Già nel gennaio 2018, c’erano state manifestazioni contro l’eccessivo rincaro delle derrate alimentari, ma erano state subito soffocate, e ancora prima nel 2013, c’era stato il movimento di settembre contro la politica economica del governo, che si è concluso con un bilancio di almeno 200 morti nella sola Khartoum, dove la rivolta era stata contenuta, mentre nel dicembre 2019 la popolazione manifestò in tutto il Paese.
Il 23 dicembre, quinto giorno di proteste, un gruppo di medici diffuse un appello allo sciopero, assicurando solo le urgenze. Il 24 furono chiusi interi quartieri della capitale e le università. Ai medici si aggiunsero insegnanti, giornalisti, avvocati, e non solo dal Sudan, come avvenne nel caso della giornalista italiana Antonella Napoli.
Dopo scioperi generali e cortei in 12 città del Paese, vittime e feriti, appelli dell’ONU, il 31 dicembre, le categorie professionali in sciopero invitano la gente a passare la notte in strada, per ricordare l’anniversario dell’indipendenza. Il 1° gennaio, 63° anniversario dell’indipendenza, Bashir promette elezioni libere nel 2020 e annuncia la formazione di un comitato per far luce sui fatti dal 19 dicembre, ma nessuno gli crede. La svolta arrivò il 6 aprile: i manifestanti riescono, per la prima volta, a giungere fino al quartier generale dell’esercito, che ospita anche il ministero della Difesa e la residenza ufficiale di Al-Bashir.
Un grande ruolo, nel processo che ha portato alla fine del regime, è stato riconosciuto alle donne del Sudan, che hanno uno dei propri simboli in Alaa Salah, giovane in tobe bianco che arringa la folla col dito puntato verso l’alto.
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