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Sud Sudan – Emergenza umanitaria nel Great Upper Nile

L’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), ha lanciato un nuovo drammatico allarme per l’escalation degli scontri armati nello Stato dell’Upper Nile, in Sud Sudan, che da agosto ha provocato almeno 20.000 sfollati, molti dei quali sono stati costretti a fuggire fino a 4 volte per salvarsi la vita mentre infuria una guerra tribale per le risorse tradizionali (pascoli e acqua) e il petrolio. Almeno 3.000 persone sono già fuggite nel vicino e instabile Sudan dal quale il Sud Sudan si è reso indipendente nel 2011, dopo una lunghissima e sanguinosa guerriglia guidata dal Sudan People’s Liberation Movement (Splm) che, subito dopo l’indipendenza si è trasformata in una guerra civile e tribale.

Da quando nel 2018 è stato firmato un “accordo di pace rivitalizzato” – mediato dal Papa e dal blocco regionale IGAD – tra il presidente Salva Kiir Mayardit di etnia Dinka e il suo principale rivale (e vicepresidente) Riech Machar, di etnia Nuer,0 il Sud Sudan non riesce a porre fine alla violenza tra gruppi armati ed esercito e l’attuazione dell’accordo di pace procede lentamente. Gli ultimi scontri nel Great Upper Nile intensificano ulteriormente la crisi dei rifugiati del Sud Sudan, la più grande in Africa, dovuta anche all’impatto che il cambiamento climatico ha sullo Stato più giovane del mondo.

L’UNHCR spiega che «Il conflitto armato è scoppiato nel villaggio di Tonga nell’Alto Nilo il 15 agosto 2022. Da allora la violenza si è ulteriormente diffusa nell’Upper Nile, nelle parti settentrionali del Jonglei e negli Stati dell’Unity. Attualmente sta estendendosi alla contea di Fashoda nell’Upper Nile e sta minacciando la città di Kodok». Oltre 9.100 persone sono state sfollate a seguito della recente ondata di violenza nella contea di Fashoda. Gli scontri scoppiati a metà novembre tra gruppi armati hanno provocato anche morti e feriti civili, rapimento di donne e bambini, distruzione di proprietà e mezzi di sussistenza e sono stati segnalati episodi di violenza di genere.

Il rappresentante dell’UNHCR in Sud Sudan, Arafat Jamal, è preoccupatissimo: «La disperazione sta crescendo e sempre più persone fuggono mentre il conflitto si intensifica. I civili sono sotto attacco in questo conflitto spietato; dobbiamo garantire la loro protezione. Donne, bambini e altre persone ad alto rischio costituiscono la maggioranza degli sfollati. Alcune persone anziane o con disabilità non sono riuscite a fuggire, costrette a nascondersi durante gli attacchi nella boscaglia e lungo il fiume Nilo Bianco. I civili in fuga sono visibilmente traumatizzati e denunciano uccisioni, feriti, violenze di genere, rapimenti, estorsioni, saccheggi e incendi di proprietà. Molti hanno perso la casa e sono stati separati dalle loro famiglie».

A novembre, Jamal ha guidato la prima visita inter-agenzia Onu al villaggio di Adidiang da quando era stato attaccato il 7 settembre, con circa 4.000 civili che vi erano rifugiati che erano stati nuovamente costretti a fuggire nel Malakal Protection of Civilians (POC) per gli sfollati interni. sotto la protezione dell’United Nations Mission in South Sudan (UNMISS), un sito realizzato quasi 10 anni fa per ospitare fino a 12.000 sfollati interni e dove ora vivono ammassate circa 37.000 persone e che era già sovraffollato prima dei recenti arrivi.

Oltre 2.300 persone sono arrivate al POC dall’inizio della nuova crisi e l’UNHCR dice che «Questa ondata di nuovi arrivi esercita un’ulteriore pressione sulla già limitata capacità dei partner di fornire servizi di supporto, con spazio limitato per la loro permanenza. Con l’estensione del conflitto, circa 5.000 persone sono state sfollate nella contea di Melut dalla contea di Manyo. Secondo i soccorritori locali, almeno il 75% dei nuovi sfollati sono donne e bambini, con molti bambini separati dai loro caregiver. Ci sono anche segnalazioni di un numero significativo di persone che entrano in Sudan, mentre altre si nascondono nelle paludi». I sopravvissuti all’attacco di Adidiang hanno riferito che «Decine di persone sono state uccise o ferite, mentre altre sono annegate nel fiume mentre cercavano di sfuggire all’attacco».

Secondo l’UNMISS k la nuova guerra tribale nella contea di Fashoda è scoppiata tra giovani armati Shilluk ed elementi Nuer e i combattimenti stanno avendo un impatto sulla vita di molti civili, con segnalazioni di ulteriori sfollamenti nelle città di Malakal e Kodok, dove la situazione rimane tesa e instabile. Le tensioni e le violenze sporadiche tra diversi gruppi iniziate in queste aree nell’agosto 2022 hanno provocato lo sfollamento di migliaia di persone, nonché le molestie e l’uccisione di altri e la distruzione di proprietà. La Missione invita le autorità governative, i principali leader della comunità e gli anziani di entrambi i gruppi Shilluk e Nuer, negli stati di Jonglei e dell’Alto Nilo, a usare la loro influenza per fermare la violenza brutale e prevenire ulteriori sofferenze dei civili. Inoltre l’UNMISS ha chiesto alle South Sudan People’s Defence Forces, (SSPDF, lesercito sudsudanese) che hanno una base a Kodok, di «Intervenire con urgenza per ridurre la violenza». Cosa che i militari si sono ben guardati dal fare.

La Missione di pace Onu in Sud Sudan «Fa appello a coloro che mobilitano i giovani per la violenza in entrambe le comunità affinché interrompano tale mobilitazione e adottino invece mezzi pacifici per affrontare qualsiasi protesta». Inoltre, l’UNMISS ha esortato gli sfollati nel sito POC di Malakal a «Esercitare moderazione e a non farsi trascinare in questa ultima esplosione di violenza. Alla luce delle continue uccisioni e abusi di civili innocenti, crediamo che ci saranno conseguenze per coloro che continuano a perpetrare questa violenza». Intanto l’UNMISS «Continua a salvaguardare l’accesso umanitario, stabilire basi operative temporanee e intensificare i pattugliamenti nelle aree dei punti caldi per scoraggiare la violenza. Il personale dell’Onu continuerà a lavorare con i leader politici e tradizionali per promuovere il dialogo e il rafforzamento della fiducia intercomunitaria e sostenere gli sforzi verso la riconciliazione e la costruzione duratura della pace». Ma, nonostante gli appelli, la situazione non migliora: il 4 dicembre l’UNHCR ha guidato un’altra missione interagenzia a Diel, nello Stato del Jonglei e Jamal racconta che «Sia ad Adidiang che a Diel, abbiamo assistito alle conseguenze di gravi violenze. E’ stato straziante vedere un chiaro schema di attacchi contro i civili e le loro case. A Diel, nel Jonglei settentrionale, alcuni degli sfollati stanno tornando ai loro villaggi e alle loro case bruciate. La loro situazione è disperata. Alcuni stanno mangiando piante acquatiche selvatiche per sopravvivere».

L’UNHCR, insieme ai partner Onu e alle ONG, ha intensificato la sua risposta per fornire sostegno salvavita ai più vulnerabili, anche nelle aree difficili da raggiungere, fornendo rifugi temporanei, generi di prima necessità, servizi di protezione, denaro e altra assistenza. Jamal spiega che «Utilizzando le barche per espandere la nostra capacità di risposta mobile, l’UNHCR può ora raggiungere le persone più velocemente e più facilmente, anche nelle aree remote e difficili da raggiungere. Nonostante il sostegno dell’UNHCR agli sforzi per allentare le tensioni e promuovere la pace, la situazione continua a deteriorarsi.

In Sud Sudan, 6,8 milioni di persone hanno bisogno urgente di aiuti salvavita a causa del conflitto armato, della violenza localizzata, delle drammatiche inondazioni, dell’aggravarsi dell’insicurezza alimentare e della destabilizzazione economica». Mentre sempre più persone fuggono dalla violenza e i bisogni aumentano, l’UNHCR è in grossa difficoltà a causa di una grave carenza di fondi: alla fine di novembre, era stato ricevuto solo il 46% dei 214,8 milioni di dollari necessari nel 2022. Nonostante questo, «L’UNHCR, insieme ai partner delle Nazioni Unite e delle ONG, ha intensificato la sua risposta per fornire sostegno salvavita ai più vulnerabili con alloggi, beni di prima necessità, servizi di protezione, denaro e altra assistenza – sottolinea Jamal – Avendo ora acquisito barche fluviali per migliorare la mobilità, l’UNHCR può attualmente raggiungere le persone più velocemente e più facilmente, comprese quelle in aree remote e difficili da raggiungere». Ma, nonostante il lavoro fatto dall’UNHCR per allentare le tensioni e nella promuovere la pace, la situazione continua a deteriorarsi e il coordinatore umanitario ad interim delle Nazioni Unite, Peter Van der Auweraert, ha denunciato che «La comunità umanitaria in Sud Sudan è sconvolta dalla continua violenza che ha un impatto devastante sulla vita e sui mezzi di sussistenza di donne, uomini e bambini: i più vulnerabili che sono già colpiti dalla terribile situazione umanitaria nel Paese soffrono di più.

I partner umanitari stanno lavorando instancabilmente, 24 ore su 24, su più linee del fronte per fornire ai nuovi sfollati cibo e servizi essenziali. Le persone hanno bisogno di cibo, accesso all’acqua, strutture igienico-sanitarie, assistenza sanitaria di base, protezione, salute mentale e supporto psicosociale. L’attuale insicurezza sta ostacolando la capacità dei partner umanitari di fornire assistenza salvavita a migliaia di persone e ha costretto i partner a sospendere le necessarie missioni di valutazione. In alcune aree, la violenza ha provocato il trasferimento di operatori umanitari, il saccheggio di strutture e rifornimenti umanitari e restrizioni di movimento nelle contee di Fashoda e Manyo». Van der Auweraert ha concluso: «Le ostilità devono cessare immediatamente per ridurre la sofferenza umana e prevenire ulteriori perdite di vite innocenti. Esorto il governo e le autorità locali a garantire un accesso sicuro e senza ostacoli per i partner umanitari a tutti i bisognosi e invito le parti in conflitto a cessare ogni violenza e ad agire in ogni circostanza nel pieno rispetto del diritto umanitario internazionale». (fonte: greenreport.it)

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