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Speciale Sudan - Perché gli appelli a RSF cadono nel vuoto?

Immagine del redattore: Roberto RoggeroRoberto Roggero

Hussein Awad Ali (ministro degli Esteri, Repubblica del Sudan) -  Quindici mesi di guerra delle milizie RSF, eredi dei famigerati Janjaweed responsabili di un vero e proprio genocidio contro il popolo sudanese, e le atrocità senza precedenti da loro commesse, hanno finora incontrato una risposta inadeguata da parte della comunità internazionale.

È vero, la Risoluzione 2736 del Consiglio di Sicurezza ONU, emanata il 13 giugno 2024, che chiede alla RSF di porre fine all’assedio di El-Fasher è significativa, tuttavia non contiene quella necessaria e inequivocabile condanna che ci si sarebbe aspettato, nei confronti della milizia ribelle, per i crimini brutali commessi contro la popolazione civile innocente. Tra aprile e dicembre 2023, la Rapid Support Force, e le milizie affiliate, sono state responsabili della morte di un numero compreso tra 10mila e 15mila civili nel Darfur occidentale, secondo i dati raccolti da un gruppo di esperti indipendenti del Consiglio di Sicurezza ONU.

Secondo il Dipartimento di Stato americano, nel dicembre 2023 la RSF ha commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di pulizia etnica che sono in tutto e per tutto associabili al concetto di genocidio. Anche un progetto di risoluzione bipartisan del Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto queste azioni come genocidio.

Il 5 giugno 2024, un’altra carneficina ha avuto luogo nel villaggio di Wad-al-Nora, nello stato di Al-Gazirah, dove sono stati massacrati circa 270 abitanti. Nonostante l’indignazione globale per questi crimini, per molti aspetti la risposta della comunità internazionale appare lenta, insufficiente, e ha tutto il sapore della tacita e passiva accettazione.

L’apatia incoraggia l’impunità

Il risultato è una pulizia etnica continua e fuori controllo, e omicidi di massa da parte della milizia, in diverse parti del Paese. L’ultima risoluzione dell’ONU e le condanne internazionali chiedono essenzialmente alla RSF di comportarsi secondo le convenzioni internazionali, ovvero un approccio morbido, che presuppone erroneamente che la RSF possieda un livello di moralità, legittimità o disciplina tali da poter mettere in pratica tali principi. La risposta della RSF, però, non è stata quella sperata: un grave attacco a El-Fasher, co centinaia di vittime, nell’assoluto disprezzo per la diplomazia internazionale.

Memoria corta?

Storicamente, i Janjaweed (letteralmente “diavoli a cavallo”) si sono fatti conoscere in tutto il mondo per la brutalità nel conflitto del Darfur, i cui crimini hanno portato al coinvolgimento della Corte Penale Internazionale nel 2005. Tuttavia, alcuni ambienti occidentali sembrano aver dimenticato che la RSF è essenzialmente una versione aggiornata dei Janjaweed. Numerose pubblicazioni internazionali ricordano ugualmente che la RSF si è evoluta dai famigerati Janjaweed, specializzati in pulizia etnica e genocidio.

Il leader dei Janjaweed, generale Dagalo “Hemeti”, è stato elevato a figura di livello internazionale, riceve chiamate dal segretario generale delle Nazioni Unite e dal segretario di Stato americano, perfino un tappeto rosso da un presidente filo-occidentale dell’Africa orientale, ed è stato addirittura invitato a un vertice dell’IGAD. Il tutto nonostante che i ribelli paramilitari della RSF continuino a commettere atrocità, che per altro si sono estese al Darfur, alla provincia di Al-Gazirah, al Grande Kordofan, a Khartoum e negli stati di Sennar, con il sostegno di sponsor regionali che forniscono armi avanzate, mercenari, aiuti finanziari, pubbliche relazioni e propaganda. Pertanto, rispetto alla risposta ai crimini Janjaweed durante il conflitto del Darfur del 2003-2009, la comunità internazionale sembra ancora una volta indifferente nei confronti delle rinnovate atrocità, sebbene le vittime costituiscano quasi la metà della popolazione sudanese.

Cambiare contesto

L’ascesa di Hemeti alla carica di vicepresidente del Consiglio Sovrano è avvenuta in un periodo di transizione estremamente difficile, seguito alla caduta del precedente regime da parte della rivolta popolare. Mentre la nazione emergeva da molteplici conflitti e con l’obiettivo di ridurre al minimo ogni resistenza al cambiamento, che avrebbe esacerbato la situazione già precaria, è stato necessario accogliere la RSF all’interno dell’apparato statale, insieme agli stessi movimenti di lotta armata che aveva combattuto per conto dell’ex regime.

Si prevedeva allora che tali accordi avrebbero portato il Paese in una nuova condizione, basata su un accordo nazionale più ampio. Di conseguenza, la RSF avrebbe dovuto essere integrata nell'esercito nazionale, le SAF, dopo essere stata riformata e riabilitata, sotto la supervisione degli organismi ufficialmente riconosciuti. Tuttavia, l’ingerenza in questo cambiamento sia da parte delle potenze esterne che dei politici locali, ha interrotto questo sforzo, rafforzando invece la RSF. Grazie al suo sponsor regionale e all’appropriazione della maggior parte della ricchezza aurea del paese, la Milizia ora vanta armi avanzate, un significativo controllo economico e una rete di pubbliche relazioni. Il Sudan è a pochi passi dall’entrare nella lista dei paesi del Medio Oriente effettivamente gestiti da milizie non riconosciute ufficialmente.

Con le pesanti perdite di manodopera subite all'inizio della guerra, la milizia è tornata alle origini Janjaweed, soprattutto dopo la fine dei distaccamenti di ufficiali della SAF e delle smobilitazioni volontarie all'interno della RSF. Hemeti è stato rimosso dall’incarico nel maggio 2023 e la RSF è stata sciolta dal comandante della SAF nel settembre 2023. Pertanto, sono Janjaweed smascherati che ora combattono lo stesso popolo sudanese.

Corteggiare la bestia

Alcune potenze europee hanno anche iniziato a corteggiare RSF prima della caduta del precedente regime, per aiutarla a controllare l’immigrazione irregolare attraverso il Darfur e la Libia. Questi rapporti conferirono a Dagalo una sorta di pseudo-legittimità, oltre a significativi finanziamenti, facilitando il reclutamento di mercenari, compresi immigrati clandestini attratti da salari elevati.

Vittoria militare contro il terrorismo

L’idea che “non c’è vittoria militare in questa guerra” merita un esame approfondito. Sebbene la guerra sia indesiderabile, difendersi dall’aggressione è un diritto, oltre che un dovere. Precedenti storici, come la sconfitta del nazismo, del fascismo e dell’Isis, dimostrano che l’azione militare può essere necessaria ed efficace. Quindi la questione dovrebbe essere il “come” e non il “se” si vincerà la guerra al terrorismo. Le SAF stanno attualmente prevalendo contro le milizie RSF, che ora ricorrono ad attacchi contro remoti villaggi e piccole città, mostrando tattiche tipiche di gruppi terroristici come ISIS e Boko Haram.

Resistenza popolare e diritto alla difesa

Le critiche nei confronti dell’armamento di civili consenzienti per l’autodifesa contro le RSF sono fuori luogo. Il diritto all’autodifesa è fondamentale, soprattutto in un paese vasto e sottosviluppato come il Sudan che si trova ad affrontare una milizia terroristica. I precedenti internazionali sostengono la legittimità della resistenza popolare contro le forze coloniali o terroristiche.

In sintesi, l’approccio morbido della comunità internazionale nei confronti della RSF-Janjaweed, e del suo leader, è controproducente, data la storia della milizia stessa e le azioni attuali. È necessaria una posizione più ferma per affrontare i nuovi crimini dei Janjweed, e sostenere la lotta del Sudan contro questo gruppo terroristico.

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