Roberto Roggero - La guerra scatenata da Israele nella Striscia di Gaza, in risposta all’aggressione di Hamas del 7 ottobre 2023, sta trascinando molti Paesi della Regione verso pericolosi limiti. Uno di questi, forse il più delicato, è la Repubblica Islamica dell’Iran. Un Paese che, per cultura, tradizione millenaria e diplomazia, non è solito cadere in trappole fin troppo evidenti. Da considerare che anche gli Stati Uniti, da parte loro sono notevolmente sotto pressione, a causa delle iniziative unilaterali di Israele.
Di certo ormai non si può parlare di “fattore sorpresa”, ma di certo Teheran non ha intenzione di dare a Netanyahu il pretesto per spostare il discorso da Gaza all’Iran. Una guerra più ampia implicherebbe tutto questo, ma gli iraniani devono anche mantenere la propria influenza, senza porgere il fianco, e nel contempo mandare un messaggio perché Israele non compia altri attacchi, come quello contro il Consolato iraniana a Damasco.
Il rischio di una escalation certo non si può escludere, anche per le imprevedibili risposte israeliane, ma a dar fuoco alle polveri non è certo stata Teheran. Una nuova guerra in Medio Oriente che non sappiamo quando finirebbe non sarebbe assolutamente un bene.
Chi ha più giudizio, lo usi, e infatti tutto il mondo sta chiedendo all’Iran di non lasciarsi andare a rappresaglie, oltre alle pressioni su Israele. Netanyahu ha creato una nuova crisi, oltre a quelle che hanno determinato in passato pericolose impennate, come l’uccisione del generale Qassem Soleimani a Baghdad… L’Iran, da parte sua, vorrà garanzie che Israele non colpisca di nuovo edifici amministratici e diplomatici. La minaccia di una rappresaglia iraniana contro Israele è credibile e concreta, ma molte fonti ribadiscono che l’Iran è attento a evitare un conflitto diretto con Israele e Stati Uniti. Fra gli scenari possibili, si discute su un attacco iraniano contro basi militari di Israele con droni kamikaze e missili a lungo raggio. La base sul Monte Meron al confine con il Libano, potrebbe essere uno dei principali obiettivi, ma anche le postazioni sulle alture del Golan. In alternativa, l’Iran potrebbe compiere un attacco mirato con missili terra-aria contro presunte installazioni del Mossad a Erbil, nel Kurdistan iracheno, oppure a Idlib, in Siria, zona per altro ancora sotto il controllo di fazioni fondamentaliste come Tahrir Al-Sham che fa capo dad Al Qaeda. I guardiani hanno nel loro arsenale un buon numero di vettori con i quali ingaggiare l’avversario, in terra come in mare. Più volte navi collegate a Tel Aviv, in modo diretto o indiretto, sono state oggetto di iniziative in acque lontane. Altra situazione: rappresaglia in via indiretta, affidata a milizie, schieramenti dell’asse della resistenza fra gruppi iracheni, siriani, libanesi, palestinesi, afghani e yemeniti. Vi è poi l’ipotesi che vede l’Iran colpire una sede diplomatica di Israele all’estero, obiettivo analogo al Consolato iraniano a Damasco, con l’eliminazione di numerosi alti ufficiali. Un’operazione che comporterebbe una scelta di stampo troppo marcatamente terrorista, con l’innesco della consueta sfilata di inchieste, depistaggi, false testimonianze, eventi tragici e personaggi spesso ambigui.
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