Roberto Roggero - Il deliberato attacco israeliano al consolato iraniano a Damasco ha causato 11 morti, fra cui quella del generale Mohamed Reza Zahedi, alto comandante della Forza Al-Quds in Siria e Libano, e di altri ufficiali di primo livello della Guardia della Rivoluzione Islamica.
Un sorprendente errore di valutazione della strategia israeliana, che mette in evidenza l’ansia di prevalere senza poterne avere i mezzi e, da qui, il continuo accanimento contro la popolazione civile di Gaza, con la scusa di annientare Hamas, che di fatto non potrà mai essere sconfitta come vorrebbe il governo sionista.
L’attacco di Damasco è stato di una intensità esageratamente pesante, ed è una delle azioni più eclatanti dall’inizio di una campagna che si protrae da anni, con obiettivi diversi, dalla distruzione di materiale bellico all’eliminazione di figure importanti. Prima del generale Zahedi erano stati uccisi diversi altri esponenti di primo livello, nella complicità israelo-americana, fra cui il generale Qassem Suleimani, ucciso a Baghdad il 3 gennaio 2020 da un drone statunitense, insieme ad altri alti ufficiali iraniani e iracheni.
I tre alti ufficiali iraniani uccisi erano dirigenti che coordinavano aspetti operativi nell’area siriana, libanese e palestinese. Certo, verranno sostituiti, ed è questo uno degli aspetti più inutili dell’accanimento israeliano, ma ovviamente la loro assenza ha un peso non indifferente sul campo.
La strategia israeliana è ad alto rischio, perché se da una parte incalza il nemico, dall’altra mantiene diversi fronti aperti e ne apre altri. Israele è incentrato su Gaza e sul Libano, sul confine siriano e contro le milizie sciite, dal movimento Ansarullah dello Yemen (gli Houthi) ai gruppi presenti in Siria e Iraq, che oggi sono diventati notevolmente più potenti e possono disporre di armamenti all’avanguardia.
Si attende ora la risposta della Repubblica Islamica dell’Iran, in una situazione estremamente delicata perché da Teheran non sarà possibile incassare il colpo senza alcuna reazione, ma non si può certi rischiare di fare esplodere la polveriera Medio Oriente, che è quello che vuole Israele.
L’ Iran, come prevedibile, si esprimerà i un modo o in un altro. La risposta dovrà essere commisurata all’offesa, e può arrivare rapidamente oppure, secondo una scelta più ponderata, “al momento opportuno e nel luogo opportuno” secondo la strategia abituale iraniana. Certo è un avvertimento che lascia spazio a qualsiasi mossa.
Gli israeliani hanno distrutto una sede diplomatica, ovvero, hanno attaccato il territorio iraniano, compiendo un vero e proprio atto di aggressione, e questo potrebbe indurre l’avversario a fare lo stesso. In passato la ritorsione è avvenuta lontano dal Medio Oriente: attentati in Argentina e Bulgaria, in parte sventati, in parte falliti in Thailandia, India, Cipro.
La Repubblica Islamica dell’Iran ha diverse opzioni. Una può essere l’azione militare, simile a quella israeliana, ma qualsiasi scelta dovrà essere attentamente ponderata per evitare una escalation. Per questa ragione Teheran preferisce solitamente affidarsi ai collegamenti con gli alleati.
A quanto pare, da Tel Aviv non è stato inoltrato alcun avvertimento a Washington. L’amministrazione Biden ha fatto sapere di non essere stata informata dello strike, ed è una precisazione che tradisce il timore americano di trovarsi coinvolti nella rappresaglia, specie per quanto riguarda le molte basi militari nella Regione.
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