Assadakah Beirut - Accade in questi giorni ad Hassakeh, città nord-orientale della Siria. Nell’intera provincia i fondamentalisti hanno distrutto case e chiese, e i cristiani sono costretti a fuggire, come racconta il patriarca siro-cattolico di Antiochia, Ignazio Youssef III Younan. Una Chiesa che ha il suo quartier generale a Beirut, in Libano, ma che ha come terre d’origine e di riferimento la Siria e l’Iraq. O almeno le aveva. Perché oggi la comunità siro-cattolico è diffusa in tutto il mondo. Un’espansione figlia – purtroppo – della diaspora imposta da conflitti, attacchi e persecuzioni degli ultimi anni. «L’insicurezza e la violenza settaria persistono in varie aree dei due Paesi – afferma il patriarca –. Se non cesseranno le ostilità manovrate dall’esterno, la nostra sopravvivenza sarà davvero a rischio. Siamo più che stufi della diplomazia empatica e dei buoni propositi. C’è bisogno di azioni coraggiose, anzi carismatiche, per difendere l’esistenza di un popolo che ha tanto sofferto». Una pausa. «I cristiani del Medio Oriente sono i migliori ambasciatori di riconciliazione verso i connazionali musulmani. Ma necessitano di un sincero sostegno da parte dell’Occidente».
Le ferite della guerra in Siria condizionata dalla jihad e sconfinata fino in Iraq sono ancora evidenti. Non cadono più le bombe, ma ci sono le “mine” della fame e della miseria. «La situazione umanitaria è catastrofica – riferisce il patriarca. Sono già undici anni che questa nazione è stata aggredita da bande interne e da governi spinti dall’opportunismo geopolitico. Esistono ancora gruppi di Daesh che, fomentati e finanziati da potenze opportuniste o da fanatici, controllano illegalmente parte del Paese, attaccano le forze di sicurezza e terrorizzano i villaggi isolati nel deserto».
Anche la comunità siro-cattolica sarà rappresentata all’Incontro dei vescovi del Mediterraneo ispirato alla profezia di pace di Giorgio La Pira che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio e che sarà concluso da papa Francesco. Proprio il patriarca Youssef Younan aveva accolto il Pontefice lo scorso anno a Qaraqosh in Iraq dove i miliziani dello Stato islamico avevano invaso nel 2014 la piana di Ninive costringendo 120mila civili a fuggire in una notte e profanando la Cattedrale. «È stato un incontro commovente nella chiesa dell’Immacolata purificata dagli atti abominevoli dei takfiristi e recentemente restaurata. Abbiamo abbracciato un padre che ci ama, ci consola, ci incoraggia».
A causa del caos e delle violenze i fedeli non hanno altra scelta che fuggire. Ed emigrano per lo più in Australia, Canada e Europa. In Occidente abbiamo trenta missioni siro-cattoliche servite da ventiquattro sacerdoti. Si tratta di una vera emorragia. Di fatto si sta sradicando una Chiesa che per secoli è rimasta nelle proprie terre ancestrali. Intanto le persecuzioni dei cristiani continuano.
In Siria i cristiani non erano minacciati o discriminanti fino a pochi anni fa. È stato l’islamismo radicale, alimentato da compagini terroristiche, a prendere di mira i discepoli di Cristo. Il governo siriano ha sempre visto in modo positivo la presenza delle minoranze cristiane e le ha incoraggiate a rimanere, mostrando invece il pugno duro contro i fondamentalisti che seminano odio e violenza.
Già dall’inizio della terribile crisi in Siria, i pastori delle Chiese avevano avvertito che la “primavera araba” si sarebbe trasformata in un rigido inverno. Alcuni Paesi imbottiti dal fanatismo islamico e altre nazioni motivate dal proprio opportunismo hanno fomentato la rivolta che ha portato alla distruzione della Siria.
Anche se il Documento di Abu Dhabi invita alla fraternità universale, rimane quindi estremamente difficile costruire un rapporto in un clima di convivenza. Il Papa ha chiamato tutti all’amore e ha inviato anche ai musulmani un messaggio di autentica fraternità. Tuttavia rimane una domanda: l’islam praticato dalla maggioranza dei seguaci del Profeta riuscirà a riconoscere la libertà di coscienza ai non musulmani?
Nell’incontro dei vescovi a Firenze si parlerà del rapporto fra Chiesa, società e istituzioni politiche. Il Papa dice che la cittadinanza si basa sull’«uguaglianza di diritti e doveri».
Oggi non si può parlare di uguaglianza di diritti tra i cittadini nei Paesi a maggioranza islamica. È vero che in diverse Costituzioni è garantita la libertà di culto, ma all’atto concreto non è prevista la possibilità di scegliere la propria religione o di cambiarla. D’altra parte, bisogna riconoscere che alcuni Stati stanno attuando riforme graduali grazie a un sistema politico stabile e a capi saggi e tolleranti: è il caso dell’Egitto in questi anni.
La Chiesa e le autorità politiche possono collaborare per riconciliare la Siria, ma è una questione molto complessa, anche perché restano tensioni tra le diverse denominazioni islamiche. Da qualche anno si discute la stesura di una nuova Costituzione. Ma la strada per la riconciliazione sembra lunga, perché gran parte della popolazione non riconosce la separazione tra fede e politica.
Nel frattempo, la crisi economica e sociale è ancora forte, e la comunità internazionale sembra avere dimenticato questo angolo del Medio Oriente.
Il quadro è molto critico sia in Siria, sia in Iraq. Ma in Siria lo definirei orrendo. Considero un crimine le sanzioni contro il Paese. L’Occidente usa la sua influenza politica ed economica per punire i civili. Tendere la mano al popolo è urgente se si vuole seminare speranza.
L’embargo imposto alla Siria non solo ha reso indigente gran parte della popolazione, ma ha anche aggravato la già critica situazione sanitaria. I medicinali scarseggiano e per pagare un tampone ci vuole lo stipendio di un mese. La stessa cosa vale per i vaccini.
L’acuirsi delle disuguaglianze è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare ai profughi che attraversano il Mediterraneo e vogliono raggiungere il Vecchio Continente.
Il Papa chiede all’Europa di favorire l’accoglienza, mentre si alzano muri o si respingono in mare i migranti. Come attuare una “rivoluzione del cuore” che investa anche la politica? Il Papa annuncia il Vangelo che insegna ad accogliere lo straniero. È un atto di carità cristiana che chiama in causa prima di tutto i Paesi che hanno le risorse per sostenere i rifugiati. Certo, gli Stati dell’Occidente dovrebbero unirsi per combattere la povertà, l’ingiustizia, l’autocrazia religiosa nelle nazioni da cui si emigra.
La via migliore è la pace, frutto della stabilità. Purtroppo ci sono potenze che persistono nell’esercitare un machiavellismo fatale per le minoranze, in particolare per i cristiani. Partendo dal Vangelo di Cristo che è la nostra pace e la nostra speranza. Come credenti siamo chiamati a essere testimoni di fiducia e armonia, e compiere azioni concrete di solidarietà.
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