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Siria - I gesuiti con i giovani di Homs

Assadakah New - Homs è stata a lungo il crocevia delle rotte commerciali e industriali della Siria. Situata a metà strada tra Damasco e Aleppo, la città è una porta d'accesso al vicino Libano ed è anche il luogo dal quale partono le principali rotte verso la costa mediterranea siriana. La terza città più grande della Siria, con circa 700mila abitanti prima della guerra, è anche una delle più danneggiate da 10 anni di conflitto. Interi quartieri sono stati devastati, sventrati e la sensazione è che la guerra sia finita ieri. Il tempo sembra essersi fermato per quattro anni. È difficile dire quante persone vivano oggi nella città, dato che non ci sono statistiche affidabili. Ma considerando la distruzione, il numero di case ridotte a cumuli di macerie, e tenendo conto della fuga massiccia dei siriani all'estero o nei campi profughi del vicino Libano, che ospitano 1,5 milioni di persone, la popolazione di Homs si è ridotta notevolmente.

Ancora una volta, come è spesso accaduto nella regione quando le tensioni hanno raggiunto punti di non ritorno, i cristiani sono stati i primi a prendere la strada dell'esilio. I "terroristi" hanno sviluppato metodi di intimidazione sanguinari, lasciando alla minoranza cristiana ben poca scelta. Nella casa dei gesuiti di Homs, giovani cristiani, ma anche musulmani, si incontrano quasi ogni giorno della settimana per partecipare alle varie attività della parrocchia "ignaziana". Padre Vincent de Beaucoudrey è uno dei padri gesuiti di Homs che accoglie Vatican News nel piccolo cortile quadrato della residenza. Proprio qui, il 7 aprile 2014, è morto il gesuita olandese Frans Van Der Lugt, sgozzato da alcuni jihadisti. I suoi confratelli si erano allontanati dai combattimenti, ma lui aveva deciso di restare per continuare ad accogliere tutti coloro che, durante la guerra, cercavano un momento di preghiera, di dialogo o di conforto. Ma i jihadisti non hanno avuto pietà.

I suoi compagni hanno seppellito nello stesso cortile, luogo del suo martirio: una tomba a forma di croce ora ci permette di riflettere e di non dimenticare. L’incontro con padre Vincent, Mansour in arabo, inizia con un momento di raccoglimento proprio davanti al sepolcro di padre Van Der Lugt. Poi, padre Vincent ci racconta le difficoltà della gente che incontra quotidianamente. Sono difficoltà che derivano dalla mancanza di lavoro, di prospettiva e di speranza. "Restiamo accanto alla popolazione il più possibile – dice - Cerchiamo di aiutarla spiritualmente, e naturalmente soffriamo con lei”. Il religioso spiega che la sua comunità opera su due livelli, sociale e pastorale, e che si fa una chiara distinzione tra i due.

Complessivamente, sono circa un migliaio i giovani che si incontrano presso la casa dei gesuiti per giocare a basket o calcio nel cortile, e per partecipare ad attività teatrali o a feste. Sono tutti momenti di relax condivisi, ma che sono ben distinti dai momenti dedicati a Dio. "Se i ragazzi vengono qui, sanno bene perché vengono: o per giocare o per pregare ed ascoltare. Non vogliamo mescolare le due cose", spiega il sacerdote. Homs è così devastata che non ci sono praticamente posti per distrarsi, e la casa dei gesuiti può offrire questo spazio: "Vengono molte persone, il 20% in più ogni anno – aggiunge - e si può dire che le nostre attività hanno successo. Ma sappiamo anche che se non ci fossimo noi, non avrebbero altro da fare”.

D'altra parte, i tempi di ascolto, di condivisione e di preghiera seguono un programma diverso. Ed è qui che padre Vincent viene sopraffatto dall'emozione: "Non lo so, non lo so…", risponde alla domanda sul futuro di questi giovani, e poi aggiunge: "Non possiamo essere concentrati sul lungo termine. Cerchiamo di vivere, di lasciarci toccare dal Vangelo. Il carisma dei gesuiti è quello di aiutare le persone a prendere decisioni e quando sei un cappellano degli studenti, pensi di aiutare le persone a costruire la loro vita. Ma cosa si fa quando non si sa cosa si può decidere? È complicato”.

Vincent de Beaucoudrey poi si ricompone ed articola meglio la sua risposta: "Una delle nostre difficoltà più grandi è quella di aiutare nel discernimento. Quando a qualcuno viene offerta una scelta, significa che può decidere tra due cose buone. Ma non si può parlare di scelta quando tutte le vie d’uscita sono bloccate. I giovani non hanno nulla da scegliere in questo contesto, non c’è luce alla fine del tunnel”. Gli studenti spesso finiscono in campi-scuola che non li interessano veramente. La maggior parte di loro non ha scelto il proprio percorso di studi, ma si è adattata alla rete di trasporti disponibile nel proprio quartiere e alle università più servite dai mezzi pubblici.

"Quando veniamo a sapere questo, quando parliamo con loro, quando cerchiamo di parlare del loro futuro, ci dicono 'Sì, ma poi?’ Non hanno più alcuna fonte di speranza", afferma con tristezza padre De Beaucoudrey.

"Per questo, dobbiamo andare più in profondità, raggiungere i giovani nei piccoli dettagli della vita quotidiana. Per loro, le nostre attività sociali possono rappresentare l'inizio della speranza”. Ma questa speranza è come chiusa in una scatola, una scatola che neanche il discernimento ignaziano riesce ad aprire del tutto, perché mancano le giuste opportunità: "Qui i giovani possono scegliere tra due piccoli lavori, se hanno la fortuna di avere questa scelta – spiega il religioso gesuita - Ma come possiamo aiutarli a discernere quando devono scegliere tra fare il servizio militare [n.d.t.: si tratta di rimanere nell'esercito per diversi anni, fino a 7 o 8 anni, perché il Paese è in guerra] o andare all'estero?”. “Quando vengono da me e mi chiedono se devono restare o andare, non sono in grado di rispondere - conclude padre Vincent - Posso solo dire loro di prendersi cura di se stessi, e che Dio li accompagni”. (fonte VaticanNews)

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