Roberto Roggero – Fino a qualche anno fa, era impossibile viaggiare all’interno della Siria, in particolare fra le due maggiori città, la capitale Damasco e Aleppo, separate da innumerevoli posto di blocco, deviazioni, e qualche volta anche pericoli ben più seri. Oggi è invece possibile percorrere la M5, la più importante arteria stradale del Paese. Un segnale certo molto positivo, ma che non deve fare pensare che in Siria sia improvvisamente arrivata la pace e la convivenza.
Certamente non è più la situazione degli anni 2011-2015, ma il conflitto non è del tutto finito, perché è ancora possibile sentire spari, esplosioni e aerei da guerra. Una situazione purtroppo imposta dall’isolamento internazionale, dalle sanzioni e dai provvedimenti imposti a Damasco, elementi che rendono molto difficoltosa una ricostruzione e una rinascita.
Ci sono ancora numerosi ordigni inesplosi, disseminati per le strade di tutto il Paese, non vi è certo abbondanza di medicinali e generi di prima necessità, eppure in Occidente si parla sempre meno della Siria, e si fa passare sotto silenzio il fatto che esistano ancora aree con grandi tensioni, che non di rado sfociano in scontri armati.
Di queste aree, la più importante è nella parte nord-occidentale, ovvero circa la metà della provincia di Idlib, controllata in gran parte da milizie legate a quella che era l’organizzazione fondamentalista Al Nusra, che oggi si chiama Tahrir Al Sham ed è collegata direttamente a Al Qaeda e all’Isis, o Daesh, e al famigerato leader Al Jawlani, che ha creato una sorta di feudo chiuso in sé stesso, attualmente ancora fuori dal controllo da parte del governo di Damasco. In questa parte del Paese, fino alla prima metà del 2020 si combatteva ancora accanitamente, e le forze governative avevano riacquistato il controllo della città strategica di Saraqib, proprio dove passano le autostrade M4 e M5, riaperte in quella occasione. Da quel momento, il conflitto si è spostato all’interno della provincia, dove oggi è in vigore un cessate-il-fuoco con la supervisione di Russia e Turchia, conseguenza degli accordi di Sochi del marzo 2020.
Altra zona ancora a rischio è la provincia di Homs, dove fra il 2015 e il 2017 si combatteva per strappare il territorio al dominio dello Stato Islamico, e dove sono ancora presenti formazioni fondamentaliste, che hanno le loro basi nelle impenetrabili grotte naturali e zone rurali della regione in parte impenetrabili, e da dove continuano gli agguati ai soldati governativi.
La zona più pericolosa è a nord, lungo i confini con la Turchia, dove le truppe di Ankara combattono ancora le forze curde dell’SDF, per altro protagoniste di primo piano della vittoria sull’Isis. Il presidente turco Erdogan sembra non voler fare alcun passo indietro, e anzi, si dice pronto a scatenare nuove operazioni nelle zone di Ayn Isa, Tal Rifaat, Jarabulus e Manbij.
Ricomporre il mosaico siriano non è affatto semplice, specialmente perché per farlo occorre la volontà di trovare un accordo, sia interno alla Siria, sia dal punto di vista internazionale. A tale proposito, ci sono voci sempre più insistenti circa un probabile incontro diretto fra il presidente Bashar Al Assad e il presidente turco Erdogan. Un processo di normalizzazione delle relazioni turco-siriane aprirebbe di certo la strada a possibili negoziati, in prospettiva futura., a seguito della ripresa delle relazioni diplomatiche fra Damasco, Emirati Arabi e Giordania.
In sostanza, la Siria sta vivendo un periodo di conflitto che gli addetti ai lavori definiscono “a bassa intensità”, con tutte le considerazioni e i rischi del caso, ma è la comunità internazionale che dovrebbe intervenire con una presenza più “presente”, soprattutto da parte dell’Unione Europea, che non ha ancora preso in considerazione, almeno ufficialmente, un riesame delle sanzioni imposte a Damasco, circostanza che ostacola non poco il flusso di aiuti umanitari alla popolazione, comprese le attrezzature ospedaliere, e non è certo favorevole pacificazione, ricostruzione e rinascita. Senza commercio, senza entrate e con rigide sanzioni ancora in vigore, effettivamente è difficile immaginare un processo di pace.
Unico elemento realmente nuovo nella realtà siriana riguarda la percezione di sicurezza. Oggi è possibile percorrere le principali arterie stradali del Paese, passeggiare senza la paura di missili, colpi di artiglieria o attacchi dal cielo. Damasco, Aleppo, Homs e altre località, oggi non sono più segnate da barricate, voragini di esplosioni e filo spinato, ma questa situazione non può e non deve durare in eterno, perché in tal caso la Siria, con le sue ricchezze storiche e culturali, sarà votata al fallimento, e la responsabilità sarà solao della comunità internazionale.
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