Assadakah News - Presentata in Parlamento una mozione riguardante la situazione umanitaria a Gaza, presentata da Massimo Vizzardi del Gruppo Misto, basata su documenti ufficiali dell’ONU, che chiedono immediato cessate-il-fuoco e protezione dei civili. La mozione non solo sottolinea l’importanza di fermare le ostilità, ma richiede anche un intervento più incisivo dell’ONU per facilitare il processo di pace.
Il documento impegna il governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana, a sollecitare il governo italiano affinché sostenga un intervento dell’ONU, fondamentale per garantire la sicurezza dei civili e permettere alle organizzazioni non governative di operare efficacemente nella Striscia di Gaza per fornire assistenza umanitaria.
Appello condiviso
Durante la discussione, i consiglieri di maggioranza e opposizione hanno espresso la loro preoccupazione per la situazione attuale, nonostante le differenze di opinione sul conflitto tra Israele e Hamas. Tutti hanno concordato sull’importanza di accelerare le trattative per fermare le ostilità e liberare gli ostaggi. Questo consenso trasversale dimostra che, al di là delle divergenze politiche, c’è una volontà comune di cercare soluzioni pacifiche e umanitarie.
Critiche e osservazioni
Nonostante l’approvazione della mozione, Onorio Rosati di Alleanza Verdi-Sinistra ha scelto di non partecipare al voto. Rosati ha espresso la sua opinione secondo cui il testo non tiene conto della gravità della situazione, con migliaia di morti palestinesi e la distruzione delle speranze di uno Stato palestinese autonomo, una posizione che evidenzia le complessità che circondano il conflitto, richiedendo un’analisi più profonda e una risposta più articolata da parte della comunità internazionale.
Che cosa manca?
Le trattative per una tregua a Gaza sono in fase avanzata a Doha, in Qatar. Hamas ha approvato una bozza di accordo che prevede il rilascio graduale di ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi. Questo accordo, se attuato, potrebbe rappresentare un passo significativo verso la de-escalation del conflitto e la ripresa di un dialogo fra le parti.
C’è uno scambio di accuse fra Israele e Hamas sul ritardo nell’approvazione dell’accordo. Israele respinge le accuse di Hamas di aver alcuni punti di frizione secondo il gruppo di Gaza.
Diversi quotidiani arabi hanno riportato la notizia che Hamas non avrebbe ancora accettato l’accordo, perché Israele non avrebbe consegnato le mappe che chiariscono tempi, modi e luoghi del ritiro delle forze israeliane da Gaza dopo l'entrata in vigore del cessate il fuoco. Il governo israeliano insistere sul diritto di veto nei confronti di una lista di nomi di prigionieri palestinesi condannati a reati gravi come terrorismo, per i quali vi è la condanna a uno o più ergastoli. Secondo le bozze dell’accordo circolate, per ogni soldatessa israeliana liberata, verrebbero rilasciati dalle prigioni israeliane 50 detenuti, 30 dei quali con accuse gravi.
Israele, inoltre, non cedere sulla richiesta che l’esercito resti ad almeno 700 metri nella Striscia all’interno della zona di Rafah, al sud, sul corridoio Philadelphia al confine fra Gaza ed Egitto, da dove, secondo l’esercito, entrano armi e altro.
Questa mossa, e la precedente, servirebbero ad Israele per tenere buone in parte le fazioni del governo contrarie all’accordo per “motivi di sicurezza”.
Altri media arabi riferiscono che Netanyahu avrebbe inserito nell’accordo la richiesta che fra i 33 ostaggi da liberare nella prima fase (tre il primo giorno, quattro dopo una settimana e ogni sette giorni altri tre), che comprenderebbe donne, bambini, e civili feriti o malati, vengano inseriti anche i militari, il cui rilascio era stato concordato in una seconda fase da discutere dopo 16 giorni dall’inizio dell’entrata in vigore della tregua. Un altro punto di contestazione, che i media occidentali hanno trascurato, è la terminologia e le implicazioni del termine “tregua”: Israele parla di cessate-il-fuoco, mai di fine della guerra, come vorrebbe Hamas. Questo perché il paese ebraico vuole essere sicuro, come successo anche in Libano, di avere la possibilità di tornare a combattere se i termini dell’accordo non fossero rispettati, o se Hamas dovesse rappresentare di nuovo un pericolo, alla stregua di quanto accaduto nella “tregua” del novembre 2023.
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