Redazione Assadakah - Colpito da diversi proiettili, sparati da un commando di almeno cinque assalitori al momento ignoti è morto la sera di mercoledì il più noto tra i leader dei campi profughi che in Bangladesh ospitano circa un milione di Rohingya fuggiti dalla persecuzione in Myanmar. E ieri in migliaia gli hanno detto addio. Al momento dell’agguato Mohib Ullah aveva appena terminato alla preghiera serale islamica e stava parlando con alcuni altri responsabili dei campi del distretto di Cox’s Bazar, quello che più ospita profughi in fuga dal Paese confinante. La polizia, a cui è affidata la sicurezza dei Rohingya nei 34 campi al confine birmano, ha rafforzato la presenza ma degli assalitori si sono perse le tracce.
Il ruolo di Mohib Ullah era di grande rilievo, sia nell’organizzazione dei campi, sia nell’individuare una prospettiva per i profughi Rohingya, sia per portare davanti a un tribunale internazionale i responsabili di quelli che testimonianze e dati raccolti, indicano come genocidio e crimini di guerra.
Una leadership carismatica, come ha mostrato il raduno di massa di 200mila Rohingya a Katupalong nell’agosto di due anni fa. Una personalità in grado di avere interlocutori internazionali, anche fino alla Casa Bianca, dove fu in visita nel 2019. Negli ultimi due anni le opportunità commesse ai rapporti fra Bangladesh e Myanmar e le limitazioni imposte dalla pandemia avevano indotto Ullah a ridurre le attività pubbliche e a cancellare i raduni per ricordare le violenze e l’espulsione subite dai Rohingya.
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