Talal Khrais – Ero appena arrivato in Italia, nel 1979, quando sono entrato in contatto per la prima volta con il sindacato della Cgil, che ha storici contatti di cooperazione con il sindacato libanese, e per la prima volta ho sentito i nomi di coloro che erano realmente i trascinatori della storica organizzazione, e che in seguito avrei conosciuto personalmente, nomi come Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama, Antonio Pizzinato, e soprattutto Bruno Trentin.
All’epoca ero ancora studente, quindi dovevo provvedere agli studi, e nel contempo mantenevo i contatti fra i due sindacati, venendo in contatto con altre persone come Sergio Giulianati, importante riferimento del Dipartimento Internazionale, che a sua volta mi presentò il compianto Luciano Lama, il quale mi ha anche augurato successo all’università. E’ stata una conoscenza importante, con una stima reciproca e un rispetto che ho conosciuto in poca gente. Dall’83 la Confederazione Generale del Lavoro mi chiese di assistere le delegazioni dei Paesi arabi, ho svolto incarichi di mediazione con i sindacati libici, continuavo a studiare e, naturalmente, non trascuravo certo la passione per il giornalismo, e con la Cgil e i contatti con il sindacato libanese, ho approfondito gli studi su Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Giuseppe Di Vittorio, e la persona che più mi stimolava e mi ispirava, Enrico Berlinguer.
Pochi anni dopo, nell’86, la Cgil mi assunse come responsabile delle relazioni con i Paesi Arabi e poco tempo dopo Luciano Lama lasciava il sindacato…con parole come “uguaglianza, libertà, democrazia, sviluppo, conoscenza, giustizia, salute e pace: sono i valori che contano nel progresso umano e che non dobbiamo solo lasciare all’ideologia, ma viverli quotidianamente”. Il 31 maggio 1996 morì Luciano Lama, a 76 anni. Lo ricordo come un leader fin dal 1970, l’anno dello Statuto dei Diritti dei lavoratori. Aveva solo 49 anni, e già un’esperienza e un curriculum che lo aveva visto rivestire le cariche più importanti dell’organizzazione, aveva combattuto nella Resistenza, era passato a dirigere la Camera del Lavoro a Forlì, poi ebbe inizio l’esperienza sindacale che avrebbe occupato tutto il resto della sua vita.
A succedergli, per soli die anni, Antonio Pizzinato, grande militante la cui scuola è stata la strada, onesta e sincero. Con lui ho continuato il mio lavoro, risolvendo tanti casi di lavoratori italiani in Libia. Poi è arrivato Bruno Trentin, che ho sempre considerato l’ultimo dei grandi leader, deciso e risoluto sui diritti dei lavoratori e tenero con la gente, ben cosciente che intorno a lui c'era da risolvere la troppo intricata burocrazia, i portaborse, l’inutilità di tante procedure.
L’arrivo di una persona come Bruno Trentin è stato un sollievo, perché ho trovato un leader che non ascoltava solo compagni, amici, nemici, ma ascoltava la ragione e il buon senso, con un bagaglio di esperienze come pochi altri: vicesegretario Cgil nel ’58, dal ‘62 al ‘77 segretario dei sindacati metalmeccanici Fiom e Flm; ideatore dei Consigli dei Delegati di fabbrica e dell'unità della confederazione dei metalmeccanici, poi segretario generale Cgil fino al ’94 e autore di numerosi testi che oggi sono un vero e proprio riferimento.
Quando Saddam Hussein invase il Kuwait, il 2 agosto 1990, fu un precedente gravissimo, perché era una violazione del Diritto Internazionale e un atto con cui uno stato escludeva la possibilità di trattativa per risolvere una questione diplomatica, e ammetteva il diritto unilaterale di invasione militare. Ricordo bene che la sinistra e i pacifisti, e quasi tutta la CGIL, non condannavano completamente Saddam Hussein perché credevano in un scambio: la liberazione del Kuwait per la restituzione dei Territori Palestinesi occupati.
Questa posizione ha provocato l'espulsione dai Paesi arabi, di circa 300mila palestinesi perché sostenevano l'invasione del Kuwait, Paese che ai palestinesi stessi ha dato generosa ospitalità. Tutta la Cgil si schierò contro di me, che sostenevo l’esatto contrario, proprio perché ero il responsabile delle relazioni con i Paesi arabi nella Confederazione. Bruno Trentin, però, era d'accordo con me, e per incoraggiarmi mi invitò a parlare al Direttivo, per spiegare e chiarire la situazione.
Quando Bruno Trentin ha lasciato la CGIL, l'area non era più respirabile. I pilastri morali cadevano uno dietro l'altro. Il successore fu Sergio Cofferati, che si trovò a gestire un vero e proprio caos all'interno del sindacato più grande in Italia.
Sono così tornato alla mia passione il giornalismo e ho lasciato la Cgil, perché con Bruno Trentin la militanza era passione, ma dopo era solo un puntare alle poltrone, in un ambiente che non era più quello di prima. E ho ritrovato una sorta di famiglia alla Stampa Estera, dove Marcelle mi ha dato forza, perché lei è la forza, e mi ha incoraggiato con la sua passione e la sua professionalità.
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