Assadakah News Agency - Oggi la storica capitale del Sudan, la culla della vita, appare come una città spettrale e quasi completamente distrutta a causa della drammatica guerra civile scoppiata il 15 aprile 2023 e non ancora finita, che riporta il Paese nell’inferno già attraversato pochi anni fa, con il genocidio del Darfur per opera dei famigerati Janjaweed, oggi noti come Rapid Support Force, comandati dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, le cui forze si sono ribellate al presidente riconosciuto Abdel Fattah Abdelrahman Al-Burhan.
Gli eleganti viali, la stazione ferroviaria, oggi sono in macerie, che ingombrano le strade stracolme di immondizia, e la capitale situata alla confluenza dei maestosi Nilo Bianco e il Nilo Azzurro è preda di una vera e propria agonia.
La capitale sudanese è divisa in tre parti urbane: Khartoum propriamente detta, Omdurman, e la più recente Khartoum Nord, da poco ribattezzata Bahari.
Non solo a Khartoum ma in tutto il Paese, gli scontri fra esercito e milizie ribelli continuano senza interruzione, mentre le trattative di pace per porre fine al conflitto sono in stallo.
Al recente vertice di Kampala, l’IGAD (Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo) ha ribadito l’appello per un cessate il fuoco immediato e incondizionato, e la disponibilità a intervenire come mediatore tra le parti, ma ancora nulla di fatto, mentre i paramilitari ribelli della RSF si rendono responsabili di uccisioni di massa a sfondo etnico (soprattutto nel Darfur) saccheggi e violenze d’ogni genere.
Le vittime di questo assurdo conflitto sono già oltre 20mila, cifra quasi sicuramente sottostimata, perché in base ai dati forniti dalle Nazioni Unite, 7,5 milioni hanno dovuto lasciare le proprie case. Tra loro circa 1,4 milioni, fuggiti nei Paesi limitrofi. Profughi e sfollati sono milioni, mentre i Paesi confinanti sono coinvolti a loro volta.
A margine del vertice del Movimento dei Paesi non Allineati, che si è svolto a Kampala, il ministro degli Esteri ad interim sudanese, Ali Al-Sadiq, ha incontrato Mohammad Mokhber, primo vicepresidente iraniano. Durante il colloquio le parti hanno fatto sapere di voler riaprire le rispettive ambasciate quanto prima. Nel 2016 Khartoum aveva deciso di interrompere i rapporti diplomatici con Teheran dopo un attacco alla rappresentanza saudita nella capitale iraniana e per presunte interferenze dell’Iran negli affari regionali. Il Sudan aveva quindi chiuso la sua ambasciata a Teheran e espulso i diplomatici iraniani da Khartoum.
Il conflitto ha messo il Paese in ginocchio, gran parte delle infrastrutture sono distrutte, oltre il 70% dei residenti ha lasciato Khartoum e il territorio circostante.
Violazioni di siti storici e religiosi
L’Unesco ha anche denunciato violazioni della RSF nel campo religioso di Naqa e nel complesso di templi Musawwarat es Sufra, entrambi i siti archeologici fanno parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dal 2011, insieme alla città reale dei re kushiti a Meroe, vicino al fiume Nilo. Le autorità dello stato del Nilo hanno confermato incursioni delle RSF, respinte dalle forze aeree sudanesi, ma non è ancora chiaro se i monumenti siano stati danneggiati o saccheggiati.
Il Consiglio dell’Unione uropea ha adottato sanzioni economiche contro sei “entità” ritenute “responsabili di sostenere attività che minano la stabilità e la transizione politica in Sudan”, dove da aprile è scoppiata una guerra civile che vede l’esercito (Sudanese Armed Forces, Saf) combattere contro le Forze di supporto rapido (Rsf), un gruppo paramilitare.
Congelamento beni
Come fa sapere il Consiglio sul proprio sito web, le misure prevedono “il congelamento dei beni”. “È vietata”, si legge ancora, “l’erogazione, diretta o indiretta, di fondi o risorse economiche a loro favore o a loro vantaggio”. Tra le sei entità colpite, informa ancora l’organismo Ue, figurano tre società che “producono armamenti e veicoli per la Saf” e “attrezzature militari”, tra cui la Zadna International Company for Investment Limited – controllata dalle Saf – e poi l’emiratina Tradive General Trading Llc e la sudanese Gsk Advance Company.
Le vittime
Quasi dieci mesi di conflitto hanno innescato una crisi umanitaria, con migliaia di persone uccise e circa 8 milioni d sfollati, di cui circa un terzo ha cercato salvezza nei Paesi vicini. A fine novembre, l’Alto rappresentante europeo per la Politica estera e di sicurezza Josep Borrell aveva condannato duramente “i continui combattimenti tra le SAF e le RSF e le rispettive milizie affiliate”, denunciando “la drammatica escalation di violenza e il costo in termini di vite umane in Darfur e in tutto il Paese”.
Testimoniane dirette
Nello Stato di Khartoum controllato dalle RSF, , sono pochissime le strutture mediche ancora funzionanti e tre milioni di persone non hanno cure mediche salvavita, mentre il prezzo dei medicinali essenziali continua a salire e al Turkish Hospital le equipe di MSF ricevono oltre 100 pazienti al giorno, per lo più bambini e donne incinte, molti arrivano in condizioni gravi e con malattie in stadio avanzato, rischiando la vita anche per raggiungere l’ospedale. MSF ha continuato: “Spesso arrivano a piedi dopo aver camminato per chilometri e aver attraversato le linee del fronte, poiché non esiste un servizio di ambulanze e ci sono pochissimi mezzi di trasporto disponibili.
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