Letizia Leonardi (Assadakah Yerevan News) - Dopo lo storico incontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier armeno Nikol Pashinyan, oggi la presidente del consiglio della Federazione Russa (camera alta) Valentina Matvienko ha incontrato la delegazione guidata dal presidente dell'Assemblea Nazionale dell'Armenia Alen Simonyan ribadendo che le forze armate azere devono lasciare immediatamente il territorio sovrano della Repubblica d'Armenia. Un importante incontro che dimostra che i legami tra l'Armenia e la Russia sembrerebbero sempre più stretti in sintonia con i legami storici e di amicizia che intercorrono tra i due Paesi. A tal proposito a novembre, a Yerevan, è prevista una sessione congiunta del Comitato permanente per l'integrazione regionale ed eurasiatica dell'Assemblea Nazionale e del Comitato per gli Affari della CSI, l'integrazione eurasiatica e le relazioni con i connazionali della Duma di Stato. Alen Simonyan ha presentato a Valentina Matvienko i dettagli dell'aggressione armata dell'Azerbaijan contro la Repubblica d'Armenia. È stata ampiamente discussa la necessità di una soluzione definitiva la situazione del Nagorno-Karabakh in modo da assicurare i diritti e la sicurezza degli armeni che vivono in Artsakh. Intanto, il 6 ottobre scorso a Praga si sono incontrati, per la prima volta, i leader di due Paesi, nemici storici: Erdogan e Pashinyan, in occasione di un vertice dei leader di 44 paesi della Comunità Politica Europea. Era presente anche il presidente dell'Azerbaijan Ilham Aliyev. Non è ancora emerso alcun dettaglio su quanto si sono detti e sugli eventuali primi accordi tra la Turchia e l'Armenia, Paesi che ancora non hanno relazioni diplomatiche. L'unico passo avanti che è stato fatto mesi fa, dopo anni di assenza di dialogo, è stato l'accordo per riprendere i voli charter tra Istanbul, e Yerevan. La Turchia, stretto alleato dell'Azerbaijan, aveva infatti chiuso il confine con l'Armenia nel 1993, dopo la prima guerra tra armeni e azeri in Nagorno Karabakh, in segno di solidarietà con Baku. Anche nella guerra dei 44 giorni del 2020 in Artsakh, Ankara si è schierata ufficialmente con l'Azerbaijan, conflitto che si è concluso con un accordo di pace mediato dalla Russia. Ovviamente l'Armenia ha un conto aperto con la Turchia anche per via dell'uccisione di un milione e mezzo di armeni durante la prima guerra mondiale. Un genocidio ancora non riconosciuto da Ankara. Nel 2009 Turchia e Armenia avevano raggiunto un accordo per aprire i propri confini, ma non è mai stato ratificato per la forte opposizione dell'Azerbaijan. Ieri intanto, a Stepanakert, capitale dell'Artsakh ci sono state nuove proteste in piazza della Rinascita. La popolazione teme che il governo armeno possa accordarsi con l'Azerbaijan per riconoscergli l'annessione di parte dell'Artsakh.
A supportare il popolo armeno ci sono le forze politiche rappresentate nell'Assemblea della Repubblica dell'Artsakh che rivendicano il diritto all'autodeterminazione in conformità con le norme del diritto internazionale, i principi di democrazia e la legislazione sovietica in vigore nel momento dell'indipendenza proclamata attraverso un libero e democratico referendum. La comunità internazionale ha riconosciuto l'Azerbaijan come uno Stato indipendente in base alla stessa legislazione ma non la considera invece per il Nagorno Karabakh, anche in virtù del fatto che il territorio non ha mai avuto alcun legame con l'Azerbaijan, quindi l'integrità territoriale pretesa dall'Azerbaijan non ha nulla a che fare con la Repubblica del Nagorno Karabakh.
Accettando il principio della parità dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, sancito dal primo articolo della Carta delle Nazioni Unite e dal parere della Corte Internazionale di Giustizia del 22 luglio 2010 sulla conformità della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo al diritto internazionale, le fazioni dell'Assemblea Nazionale della Repubblica dell'Artsakh invitano i Paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk dell'OSCE - Federazione Russa, Stati Uniti d'America, Francia e altri 190 Stati membri delle Nazioni Unite, a riconoscere l'indipendenza della Repubblica del Nagorno Karabakh, in modo da evitare nuovi e più sanguinosi conflitti e il grave pericolo per la popolazione armena di subire un altro genocidio.
Il ministro degli esteri della Repubblica di Artsakh, David Babayan, ha dichiarato infatti che il presidente dell'Azerbaijan ha parlato di un programma di deportazione e genocidio degli armeni dell'Artsakh che non intenderanno andarsene. Naturalmente, la stragrande maggioranza della popolazione, il 99,9%, lascerà l'Artsakh, se finirà improvvisamente in Azerbaijan. Per questo è importante che la comunità internazionale prenda una posizione chiara e riconosca la sovranità dell'autoproclamata Repubblica d'Artsakh.
Un primo importante passo, che necessità però di ulteriori importanti passi, è stato fatto tre giorni fa. Al termine del vertice a quattro tra Pashinyan, Aliyev, Macron e Michel, il presidente francese ha rilasciato una dichiarazione ufficiale. Ha affermato che Pashinyan e Aliyev hanno accettato la Carta delle Nazioni Unite e la dichiarazione di Alma Ata del 21 dicembre 1991. L’Armenia ha accettato di facilitare una missione civile dell’Unione europea lungo il confine orientale con l’Azerbaijan al fine di aiutare nel tracciamento della linea di frontiera. La dichiarazione di Alma Ata, successiva allo scioglimento dell’Unione sovietica e costitutiva della futura CSI (Comunità Stati Indipendenti), prevedeva tra l’altro il riconoscimento e il rispetto dell’integrità territoriale reciproca e l’inviolabilità dei confini esistenti. Alla data di tale dichiarazione il distacco del Nagorno Karabakh era ormai già stato completato e quindi quando si parla di confini esistenti si deve considerare la piccola Repubblica armena del Nagorno Karabakh (Artsakh) come parte non costitutiva dell’Azerbaijan.
In tutta questa situazione pesa l'atteggiamento dell'Italia, da sempre legata all'Armenia per storia e cultura, che non solo è colpevole di un vergognoso silenzio ma si ostina a concludere accordi e a stringere mani ai rappresentanti del regime autoritario di Baku. Nei giorni scorsi infatti, il segretario generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Ettore Francesco Sequi ha ricevuto l'ambasciatore azero in Italia Ahmadzada per un saluto al termine del suo mandato di sei anni. E, a differenza di molte cancellerie estere (Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, e altre), che hanno espresso la loro condanna per l'invasione e i crimini di guerra compiuti dagli azeri nel territorio sovrano della Repubblica d'Armenia, dal ministero italiano non è stata scritta una sola frase di circostanza e di vicinanza ai fratelli cristiani armeni. Per non parlare dell'informazione latitante e di una politica estera italiana completamente inesistente che ha ridotto l'Italia in un Paese suddito e succube della dittatura azera, ritenendo che gli affari e il gas valgano di più dei valori umani e morali.
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