Assadakah News Agency - Un viaggio atteso da tempo, finalmente fissato dal 31 gennaio al 5 febbraio, nella Repubblica Democratica del Congo ed in Sud Sudan e rinviato per motivi di salute. Due Paesi africani preda di conflitti interni per interessi terzi, dove la pace sembra continuare ad essere un obiettivo lontano, che l’impegno del pontefice cerca di avvicinare. Ne sia prova l’atto di umiltà compiuto in Vaticano nell’aprile 2019, quando Francesco ha invocato la fine della guerra civile in Sud Sudan, baciando i piedi dei due contendenti: il presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar. Allo stesso modo, il papa si è appellato ai governanti di Kinshasa e Juba, invitandoli a voltare pagina per tracciare nuove strade, all’insegna della pacificazione e della convivenza. Purtroppo le cose non sono andate secondo i programmi e il pontefice ha dovuto annullare la visita a Goma, proprio dove l’ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci sono stati uccisi.
La tregua nella RDC è durata meno di una settimana, poi la parola è purtroppo passata ancora alle armi, fra esercito governativo (sostenuto Uganda, Kenya, Sud Sudan e Burundi) e numerosi gruppi ribelli, fra cui il maggiore sembra essere Movimento 23 marzo (M23). La posta in gioco è il controllo delle enormi risorse minerarie del sottosuolo e una intricata rete di interessi politici delle nazioni confinanti, e come accade di solito, a farne le spese è la popolazione, fra stragi e massacri la cui responsabilità è strumentalizzata, con rimpalli di accuse fra le parti in causa.
La chiesa congolese ha organizzato manifestazioni in tutto il paese per chiedere la pace rilevando anche l’ambiguità dell’occidente che tace sul ruolo del Ruanda, interessato a dividere la nazione puntando sulla insicurezza. In particolare i cattolici congolesi denunciano che la Commissione Europea a novembre ha stanziato 20 milioni di dollari per sostenere l’esercito di Kigali nella lotta contro formazioni jihadiste nell’area di Cabo Delgado in Mozambico. Situazione altrettanto complessa in Sud Sudan dove la spaccatura politica tra i due contendenti si fa sempre più profonda, alimentando ulteriori massacri, ferimenti, stupri, estorsioni, saccheggi, estorsioni in varie parti della più giovane nazione africana: nella regione dell’Alto Nilo, in Kordofan occidentale, negli stati federali di Jonglei e Unity. Altri 20 mila civili si sono aggiunti negli ultimi tempi alla enorme massa dei rifugiati sud sudanesi, la più grande del continente africano. Ai combattimenti tra le varie fazioni dell’esercito fedeli ai due leaders si intrecciano gli scontri interetnici e quelli generati da interessi politici locali. L’ingovernabilità è la cifra distintiva. Nello scorso ottobre il partito di governo (Splm) che sostiene Kiir ha deposto il suo vice Machar, manovra respinta dall’opposizione, ma che non contribuisce al sereno. Le elezioni previste per febbraio 2023 sono slittate a fine 2024 con l’obiettivo di riconfermare l’attuale presidente in carica dal 2011.
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