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Palestina – Una situazione al collasso

Roberto Roggero - Sono passati 44 anni da quel 2 dicembre del 1977, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite richiese di istituire il 29 novembre come Giornata Internazionale di solidarietà con il popolo Palestinese come impegno della comunità internazionale per sostenere i diritti dei palestinesi.

La data scelta non era casuale ma serviva a ricordare quel 29 novembre del 1947, giorno dell’adozione della Risoluzione 181 (II) che stabiliva la creazione di uno “Stato ebraico” e di uno “Stato arabo”, con Gerusalemme come corpus separatum sotto giurisdizione internazionale speciale. Dei due Stati citati solo uno, quello di Israele, è diventato realtà.

I palestinesi stanno affrontando una crisi fatta da molte crisi, fra cui persistenti escalation di violenza, un collasso socio-economico e la pandemia di Covid-19, nel contesto di un’occupazione che dura ormai da più di settant’anni.

Dopo 44 anni, la situazione economica e umanitaria all’interno dei Territori Palestinesi occupati è disperata, secondo le Nazioni Unite, ma nella comunità internazionale non si sa ancora chiaramente che cosa significhi vivere quotidianamente nella striscia di Gaza o in Gisgiordania.

Un approccio frammentario e superficiale alle attuali sfide politiche, economiche e di sicurezza all’interno dei Territori Palestinesi occupati rischia solo di perpetuare una crisi continua. È quanto emerge dall’ultimo report pubblicato dall’ufficio del Coordinatore Speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente (Unsco), Tor Wennesland.

Anni di stagnazione economica all’interno della Cisgiordania sono stati seguiti, nel 2020, da un forte calo del Pil pro capite. Situazione che peggiora nella Striscia di Gaza, dove l’economia continua un declino con tassi di disoccupazione preoccupanti, soprattutto per quanto riguarda le donne.

È sempre più difficile per l’Autorità Palestinese coprire le spese minime, per non parlare degli investimenti essenziali per l’economia e per la popolazione. La situazione fiscale dell’Autorità Palestinese sta arrivando al punto di rottura, con un deficit di bilancio di 800 milioni di dollari, quasi il doppio rispetto al 2020.

La situazione è poi ancora più critica a causa delle tensioni a Gerusalemme Est, dove si verificano ancora scontri tra cittadini israeliani e palestinesi, continue demolizioni di case e sequestri di proprietà palestinesi e crescita degli insediamenti israeliani. Le operazioni di sicurezza israeliane nell’Area A, che dovrebbe essere sotto il pieno controllo dell’Autorità Palestinese secondo gli Accordi di Oslo, continuano a minare le istituzioni palestinesi e diminuiscono le prospettive per qualsiasi soluzione a due Stati. Una realtà sempre più disperata, modellata da estremismi e azioni unilaterali che minacciano di aumentare i rischi per l’intera regione.

Le infrastrutture sono al collasso, specialmente le reti idriche ed elettriche. Milioni di persone non sono in grado di soddisfare i bisogni più elementari a causa della grave carenza di cibo e acqua, di carburante e medicinali, soprattutto a Gaza, dove è ancora in vigore il blocco imposto dal governo israeliano.

Un quadro desolante, descritto dalla Federazione Internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (Ifrc). Inoltre, secondo l’ultimo report dell’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, più di 2,4 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.

Le stime dell’Ocha indicano che nel 2021 le forze israeliane hanno ucciso 68 palestinesi nella Cisgiordania, in netto aumento rispetto agli anni precedenti. Numeri che crescono se parliamo della Striscia di Gaza, dove i morti sono 264. Dall’inizio dell’anno sono invece quasi 14 mila i palestinesi feriti dalle forze israeliane negli Opt, 190 nel solo mese di novembre.

A causa di questo aumento esponenziale di morti e feriti palestinesi, l’Unrwa, Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha chiesto alle forze israeliane di cessare l’uso di munizioni da combattimento contro civili disarmati, che non rappresentano alcun pericolo, e di esercitare la massima moderazione nell’uso della forza di altre armi non letali. L’Unrwa ha chiesto inoltre al governo di Israele di indagare su queste vittime e di ritenere responsabili coloro che violano gli standard internazionali. In quanto forza di occupazione, le forze militari israeliane sono obbligate a proteggere le vite e a garantire la dignità dei palestinesi che vivono sotto il loro controllo.

Lo stato di Israele ha costruito in questi anni più di 280 insediamenti in Cisgiordania, che ospitano più di 440.000 coloni. Di questi insediamenti, 138 sono stati ufficialmente istituiti e riconosciuti, mentre circa 150 sono avamposti non ufficialmente riconosciuti dallo Stato di Israele.

Negli ultimi dieci anni sono stati costruiti circa un terzo degli avamposti, la maggior parte dei quali viene denominata “fattorie”. I dati contenuti nell’ultimo report stilato dalla Ong israeliana B’Tselem non lasciano dubbi: gli insediamenti israeliani in Cisgiordania dominano ormai centinaia di migliaia di dunam (dove 1 dunam vale mille metri quadri) a cui i palestinesi hanno accesso limitato o non ne hanno affatto.

Il documento, dal titolo “Affari di Stato: appropriazione indebita di terra da parte di Israele in Cisgiordania attraverso la violenza dei coloni”, presenta cinque casi studio che illustrano inoltre come la violenza, continua e sistemica inflitta dai coloni israeliani, sia parte della politica ufficiale di Israele che guida l’acquisizione massiccia di terreni agricoli e pascoli palestinesi.

Nelle testimonianze raccolte nell’ambito della ricerca, i palestinesi descrivono come questa violenza minacci le fondamenta della vita quotidiana. Le comunità palestinesi si vedono infatti costrette ad abbandonare o ridimensionare attività come l’allevamento di pecore e capre, o delle varie colture stagionali, che hanno permesso loro di vivere dignitosamente per generazioni

Sempre l’inviato delle Nazioni Unite ha recentemente ricordato come «tutti gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale e rimangono un ostacolo sostanziale alla pace». Ha inoltre evidenziato come i piani israeliani per la costruzione di unità abitative nella zona E1, adiacente alla parte nord-est di Gerusalemme Est, “reciderebbero il collegamento tra il nord e il sud della Cisgiordania, minando in modo significativo le possibilità di stabilire uno Stato palestinese vitale e contiguo come parte di una soluzione negoziata a due Stati”.

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