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Palestina - Sanzioni: perché Russia si e Israele no?

Lorenzo Utile – Dall’inizio dell’anno, le autorità di occupazione israeliane hanno autorizzato almeno tre massicce incursioni dell’esercito a Gerico, Jenin e Nablus, in Cisgiordania, prologo all’operazione contro Huwara e i villaggi circostanti, con la morte di 85 palestinesi per mano delle truppe di occupazione e dei coloni protetti da polizia ed esercito. Vale a dire una media di una persona uccisa ogni giorno, e in questa drammatica cifra vanno compresi anche 15 bambini. Parallelamente, continuano espropri forzati, demolizioni, sgomberi ed espansione degli insediamenti.

Il tutto mentre la comunità internazionale resta a guardare e l’ONU dimostra ancora una volta la propria impotenza, mentre l’attenzione dei media mainstream è astutamente concentrata sull’Ucraina, e la popolazione palestinese continua a pagare il prezzo economico e politico di una sistematica oppressione. Una palese manifestazione della mancanza di una determinata volontà politica di risolvere la crisi palestinese. Le azioni concrete, comprese le sanzioni, possono essere una via efficace per costringere Israele a rispettare il diritto internazionale, porre fine alle violazioni dei diritti umani e garantire la protezione dei palestinesi. Le stesse sanzioni che la comunità internazionale si è affrettata ad applicare contro la Russia per l’attacco all’Ucraina, nello spazio di poche settimane, che invece non sono ancora state applicate per quanto riguarda la decennale Questione Palestinese. Perché l’Europa, l’ONU e la comunità internazionale sono state precipitose nell’applicare sanzioni a Mosca, e invece voltano la testa quando tali sanzioni sarebbero da applicare a Israele? Perché si continua ad applicare il principio dei due pesi e due misure?

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