(Ambasciata di Palestina in Italia) - In occasione della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, che si celebra il 3 maggio di ogni anno, la Commissione per i Detenuti e gli Ex Detenuti, la Società dei Prigionieri Palestinesi e l'Associazione Addameer per i diritti umani e il sostegno ai prigionieri hanno pubblicato un Rapporto in cui denunciano che le autorità di occupazione israeliane tengono ancora in prigione 16 giornalisti palestinesi, di cui quattro in detenzione amministrativa, cioè senza capi d’accusa né processo.
Secondo questo Rapporto, Israele continua a limitare la libertà di opinione e di espressione dei palestinesi, imponendo ai giornalisti controlli e censura, insieme a tutti gli altri strumenti tipici di questo regime di Apartheid. Le intimidazioni, le aggressioni nello svolgimento del proprio lavoro e i ripetuti arresti non servono ad altro, secondo queste tre associazioni, che a minare il ruolo dei media nella società, impedendo loro di denunciare i crimini in corso contro i palestinesi.
Il 9 maggio, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha pubblicato "Deadly Pattern", un Rapporto sulle uccisioni dei giornalisti commesse dall'esercito israeliano negli ultimi 22 anni. In occasione del primo anniversario dell'assassinio di Shireen Abu Akleh, il CPJ ha ristudiato i 20 casi di giornalisti eliminati dalle forze di occupazione israeliane in questo periodo e ha rintracciato un pattern che Israele segue puntualmente per sottrarsi alle proprie responsabilità. Di fatto, oltre a denunciare queste azioni come aperte violazioni dei diritti umani, il CPJ sostiene che il rifiuto da parte di Israele di perseguire i responsabili della morte di tutti questi giornalisti logori volutamente la libertà di stampa. Per questo, il suo Rapporto include raccomandazioni per proteggere i giornalisti, porre fine all'impunità delle forze di occupazione e prevenire ulteriori uccisioni.
Il giorno dopo la pubblicazione di questo Rapporto, il 10 maggio, il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi (PJS) ha rilasciato un comunicato che definisce il continuo divieto d’ingresso alla stampa straniera nella Striscia di Gaza un miserabile tentativo israeliano di coprire i continui crimini dell'occupazione contro il popolo palestinese.
Crimini come quello commesso la notte tra il 7 e l’8 giugno, quando ingenti forze militari israeliane hanno fatto irruzione nel cuore di Ramallah, sede della Presidenza e del governo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Decine di automezzi blindati hanno circondato l’appartamento della famiglia del prigioniero palestinese Islam Faroukh, in un edificio residenziale a più piani nella zona di Ramallah Al-Tahta (la Città Vecchia) e, dopo aver fatto uscire i genitori e le sorelle del detenuto, lo hanno fatto saltare in aria, provocando gravi danni anche ad altre abitazioni. Si è trattato di una tipica punizione collettiva, illegale secondo il diritto internazionale. Alle ovvie manifestazioni di protesta, le forze di occupazione hanno risposto sparando anche ai giornalisti accorsi per seguire quanto stava accadendo. Il fotoreporter Moemen Samrin, di 23 anni, si trovava assieme a una ventina di colleghi quando è stato colpito dietro all’orecchio destro da un proiettile di metallo rivestito di gomma, subendo per questo fratture al cranio; il collega della TV Al Arabiya, Rabih Al-Munir, è stato invece ferito all’addome. Entrambi sono stati trasportati in ospedale in condizioni abbastanza gravi. Il Ministero dell'Informazione palestinese ha subito reagito sostenendo che quest’ultimo attacco faccia parte di una guerra aperta contro i giornalisti palestinesi, che dimostra un evidente disprezzo per tutte le leggi e i trattati internazionali sottoscritti per garantire protezione ai media. Il Ministero ha anche informato di aver documentato nel solo mese di maggio ben 52 violazioni israeliane contro i giornalisti palestinesi, ammonendo che la violenza sta decisamente aumentando ed è dunque necessario che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in materia di protezione dei giornalisti siano attuate al più presto per garantire che gli aggressori non restino come sempre impuniti.
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