(ambasciata di Palestina, Roma) - Nel 2010, durante una gita scolastica, Naama Al-Sawarka visitò il monastero di Sant’Ilarione - conosciuto anche come Tell Umm Al-Amr - che risale al 329 d.C. ed è situato nel campo profughi di Nuseirat, al centro della Striscia di Gaza. Il sito era abbandonato e agli altri studenti il posto non era piaciuto, ma Sawarka racconta di averlo amato immensamente e di averci lasciato un pezzo del suo cuore. Anche per questo appena terminate le superiori ha scelto Storia e Archeologia presso l’Università Islamica di Gaza, nonostante questo tipo di studi fosse ritenuto dalla sua comunità più adatto agli uomini. Così, dopo la laurea, Sawarka ha ottenuto un posto come guida turistica proprio presso il monastero di Sant’Ilarione, collaborando al restauro dei pavimenti musivi e al consolidamento delle mura.
L’ONG francese Première Urgence Internationale soprintende ai lavori con il sostegno del British Council. Sawarka dice di essersi divertita moltissimo durante gli scavi: “Lavoravamo con grande entusiasmo. A un certo punto ci siamo imbattuti in un muro, ma abbiamo continuato a scavare e abbiamo trovato un crocifisso risalente a 1800 anni fa. È stato un anno pazzesco”. Adesso, il team palestinese che lavora dal 2018 al restauro del monastero include laureati in Architettura, Archeologia, Storia e altre materie, a cui sono state date opportunità lavorative temporanee nell’ambito del progetto denominato “Ripresa economica tramite un lavoro dignitoso nella Striscia di Gaza: Soldi in cambio di lavoro”.
Nel 2020 anche Iman al-Amsi, laureata presso il Dipartimento di Storia e Archeologia dell’Università Islamica di Gaza, si è unita al lavoro di restauro del monastero. “Facevo parte di un team che lavorava alle scoperte archeologiche nella cappella. Avevo così tante domande! Aspettavo con impazienza Ronnie Ultra, un archeologo francese, per chiedergli tutte le informazioni utili a svelare i segreti di queste civiltà”, racconta Amsi. Saja Abu Mashaikh era impaziente quanto Amsi di vedere la reazione dell’archeologo francese quando lei e i suoi colleghi hanno voluto mostrargli l’antico recinto che avevano scoperto scavando nel sito. “I suoi occhi brillavano quando gliel’abbiamo fatto vedere”, dice Saja, che si è laureata in Architettura presso il Training Community College di Gaza.
“Ogni volta che riportavo alla luce delle monete antiche non vedevo l’ora di mostrarle agli esperti stranieri per ottenere ulteriori informazioni sulla scoperta”, racconta ancora.
Mohammed Abdel Jawad, responsabile del monastero, dice che molto è stato ottenuto dopo tre anni di collaborazione fra Première Urgence Internationale e il Ministero del Turismo e delle Antichità: è stata restaurata una parte consistente della chiesa, con la ricostruzione dell’80% dei pavimenti musivi più antichi, e i muri che stavano crollando sono stati consolidati. Inoltre, sono stati costruiti un muro esterno per proteggere tutto il sito e un edificio amministrativo per conservare i reperti scoperti, oltre a una passerella di legno per permettere ai visitatori di muoversi sul sito in sicurezza. Tra le scoperte più recenti, spiega Abdel Jawad, “vi è quella di corpi che non siamo riusciti a datare. Li abbiamo lasciati sul terreno avvolti in un materiale isolante per conservarli fino a quando non avremo più informazioni”.
Ovviamente, aggiunge, durante il lavoro il team ha incontrato vari ostacoli, dato che Israele ha impedito per un anno intero l’ingresso nella Striscia di Gaza a parecchi esperti, cosa che ha danneggiato le attività di scoperta e restauro. Inoltre, molti materiali e attrezzature non sono disponibili nella Striscia. Tuttavia, spiega, “siamo riusciti a reperirne alcuni attraverso i valichi e ne abbiamo prodotti altri alternativi fatti qui artigianalmente”.
Jamal Abu Rida, Direttore del Dipartimento Generale delle Antichità e del Patrimonio Culturale del Ministero Palestinese del Turismo e delle Antichità, ha spiegato che gli scavi archeologici hanno rivelato come il monastero sia uno dei più grandi in Palestina per superficie e struttura, e sia citato in testi antichi.
A Gaza succede questo e altro, a dimostrazione di come, nonostante le enormi difficoltà create dall’occupazione, dal blocco e dai bombardamenti israeliani, i suoi abitanti siano ancora pronti a scommettere e ad investire sulla cura del loro territorio e di chi lo abita. Compresi gli animali.
Lucy è una cagnolina disabile. Ha perso l’uso delle zampe posteriori tanto tempo fa. Quando è arrivata al Sulala Animal Rescue, il rifugio per animali abbandonati di Gaza, si trascinava faticosamente per riuscire a stare dietro ai numerosi ospiti della povera struttura. Poi, un bel giorno, a qualcuno è venuta un’idea geniale, che prevedeva l’utilizzo di giocattoli abbandonati. Così, praticamente dal nulla, ecco che una biciclettina mezza rotta è diventata una sorta di sedia a rotelle per cani e una macchinetta aiuta a deambulare un cucciolo oppure un gattino. Anche questa è resilienza.
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