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Oriolo Romano – Ritrovati manoscritti di Salvatore di Cappadocia

Letizia Leonardi – Cristoforo Colombo, il primo migrante italiano, ha definito lo Stivale “Terra di Santi, poeti e navigatori” e tra i moltissimi santi e martiri a cui l’Italia ha dato i natali, c’è anche Salvatore Lilli, detto Salvatore di Cappadocia, paesino in provincia de L’Aquila a 1100 metri di altitudine, che all’epoca contava circa 3.800 abitanti, dove Salvatore è venuto alla luce il 19 giugno del 1853. Figlio di Vincenzo Lilli e di Annunziata di Benedetto, Salvatore crebbe in una famiglia molto religiosa. Era l’ultimo di cinque figli. Fu battezzato nella chiesa di San Biagio il giorno stesso della sua nascita. Da piccolo spesso si fermava al santuario della SS.Trinità di Vallepietra e sua sorella maggiore, Maria Pia, prese i voti tra le suore Trinitarie di Cappadocia. Salvatore segui l’esempio della sorella e a soli 16 anni si presentò al padre Provinciale di S. Francesco di Ripa, a Roma, entrò nell’Ordine Francescano e partì per il convento di Nazzano di Roma, dove fece il noviziato. Alla fine del 1872, per non interrompere gli studi, arrivare al sacerdozio ed evitare il servizio militare, fece domanda per recarsi in Terra Santa. Un anno dopo partì come missionario per la Palestina.


Un viaggio che durò più di un mese. Gli studi di filosofia che aveva iniziato in Italia, a Castelgandolfo, li continuò nel convento di Betlemme dove fu ordinato sacerdote nel 1878. Si trasferì anche a Gerusalemme nel convento di S. Salvatore dove svolse i suoi studi di teologia e dove fu molto apprezzato per la sua condotta e la sua attività rivolta ai più deboli e ai bisognosi. Il suo motto fu sempre: “dove sono le pecore, lì deve stare il Pastore”. Questo suo motto lo mise in pratica restando con i suoi fedeli, anche nei momenti più difficili. Nel 1880 fu inviato a svolgere il suo apostolato in Armenia, a Maras (città della Cilicia che attualmente si trova in territorio turco), dove vi rimase per 15 anni. Fu lì che padre Salvatore diede incarico, a frate Giacomo da Cercepiccola (che doveva tornare dall’Italia) di acquistare tutto l’occorrente per realizzare un presepe. Quell’anno, a Natale, fu moltissime persone, di ogni ceto sociale, cristiani e turchi, arrivarono dai vari quartieri di Maras per vedere “Betlemme”, il nome che venne dato a quel particolare presepe. Nell’estate del 1885, per festeggiare il sacerdozio con la sua famiglia, Salvatore tornò in Italia. Partì con la nave da Alessandretta, costeggiò Cipro e Creta e dopo più di un mese approdò a Napoli. Da lì giunse a Nettuno dove trovò i suoi fratelli, che non vedeva da 12 anni. Tornato in Armenia, nel 1890, si prodigò per aiutare, da solo e per 40 giorni, i malati colpiti dall’epidemia di colera e lui miracolosamente non fu contagiato. In Armenia eresse diverse cappelle con le offerte dei benefattori e acquistò appezzamenti e attrezzi agricoli per lavorare la terra.


Nel 1994, diventò parroco e superiore dell’ospizio di Mugiukderesi. Poco dopo iniziarono i cosiddetti massacri hamidiani nei confronti degli armeni, ordinati dall’allora sultano Abdul Hamid II, e alla fine del 1895, scoppiarono anche le rivolte, da parte della popolazione dei villaggi armeni, contro i turchi che si macchiarono di terribili crimini.


Durante queste persecuzioni i militari entrarono nella casa parrocchiale, dove si trovava Salvatore di Cappadocia, e il comandante gli pose subito l’alternativa: o rinnegare Cristo, o morire. Lui non rinnegò il suo Dio e per questo fu arrestato con altri dodici cristiani armeni. Dopo quasi due ore di estenuante cammino, giunti al ponte detto del diavolo, dopo l’ennesimo rifiuto alla conversione all’islam, il 22 novembre, Salvatore fu ucciso dai soldati ottomani insieme agli altri suoi fedeli. Sui corpi ancora tremanti fu versato del petrolio e furono dati alle fiamme nella zona di Mujuk-Deresi. Venne scavata una fossa e fu sepolto ciò che restava delle otto spoglie carbonizzate. Grazie alla testimonianza oculare di una ragazzina il massacro non restò nascosto e vennero recuperate alcune reliquie carbonizzate.


Il 3 ottobre del 1982 Papa Giovanni Paolo I lo ha beatificato insieme agli altri sette cristiani trucidati insieme a lui (Baldji Ohannès, Khodianin Kadir, Kouradji Tzeroum, Dimbalac Wartavar, Ieremias Boghos, David Oghlou, Toros David). Ci sono diverse testimonianze di persone, convalidate dalle dichiarazioni dei medici, che si sono affidate a Salvatore di Cappadocia Martire, e sono state miracolate, guarendo da malattie che non avrebbero lasciato scampo.

Recentemente, nell’ultima dimora in Italia di Salvatore di Cappadocia, a Oriolo Romano, sono stati trovati alcuni suoi preziosi manoscritti. Ancora una volta una piccola comunità come quella di Oriolo Romano, e la sua chiesa, offrono un grande contributo alla cultura cristiana.



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