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ONU – Rapporto sui Diritti Umani nei Territori Palestinesi

(Ambasciata di Palestina in Italia) Il Rapporto sulla Situazione dei Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967 presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 21 settembre è stato stilato dalla nuova Relatrice Speciale, l’italiana Francesca Albanese. Esperta di diritto internazionale e grande conoscitrice della questione palestinese, Albanese ha svolto la sua analisi dei diritti concentrandosi sul diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, non solo perché si tratta di un diritto fondativo delle Nazioni Unite, ma perché rappresenta un diritto “inviolabile”, nonché un “diritto-piattaforma” su cui si basano molti altri diritti. Il fatto che il popolo palestinese non possa godere del diritto all’autodeterminazione a causa dell’occupazione israeliana indica dunque, secondo la Relatrice ONU, l’urgenza di rimuovere l’ostacolo alla realizzazione di questo diritto sacrosanto, ponendo semplicemente fine all’occupazione.

Come il suo predecessore, Michael Lynk, nemmeno Francesca Albanese ha potuto visitare i Territori Palestinesi Occupati, perché Israele non glielo ha concesso. Numerosissime sono tuttavia le fonti giuridiche e le testimonianze da cui ha attinto per redigere il Report. Non le è stato difficile giungere alla conclusione che “per 55 anni, tre generazioni di palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati sono cresciute sotto l’occupazione israeliana”. “Nel 40 per cento dei casi si tratta dei rifugiati espulsi dagli israeliani nel 1948”, persone (e discendenti di coloro) che sfuggivano alla “violenza che accompagnò la creazione dello Stato di Israele”, spiega Albanese, che ricorda come la guerra del 1967 abbia di nuovo sfollato la maggior parte di questi rifugiati, distrutto i loro villaggi, e negato il loro Diritto al Ritorno. “I palestinesi che nel 1967 erano riusciti a ‘rimanere’ non potevano immaginare che, 55 anni dopo, si sarebbero ancora svegliati sotto il giogo della dominazione straniera, con i propri diritti sospesi e, per quanto riguarda i rifugiati, senza alcuna prospettiva concreta di tornare alle proprie terre d’origine”, lamenta Albanese. Tuttavia, se il problema è l’occupazione, diventa importante affrontarla in modo corretto, avverte la Relatrice. Parliamo di un’occupazione che è illegale perché “non temporanea”, “in mala fede” - cioè “deliberatamente gestita contro i migliori interessi della popolazione occupata” - e tale da causare l’annessione di territorio occupato, “infrangendo così la maggior parte degli obblighi imposti alla potenza occupante”. Un’illegalità, quella israeliana, che deriva dalla violazione sistematica di tre norme perentorie del diritto internazionale, il quale proibisce l’acquisizione di territori con l’uso della forza; vieta l’imposizione di regimi stranieri di assoggettamento, sfruttamento, discriminazione e Apartheid (che rappresenta dunque solo una parte del problema); e obbliga gli Stati a rispettare il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Per tutti questi motivi, secondo Albanese l’occupazione israeliana – che equivale a “un uso ingiustificato della forza e a un atto di aggressione” – “è inequivocabilmente proibita dal diritto internazionale e contraria ai valori, ai propositi e ai principi delle Nazioni Unite così come sono sanciti dal loro Statuto”.

Sin qui, ammonisce la Relatrice, nell’affrontare questo tema la tendenza è stata quella di seguire un approccio – sia esso umanitario, politico o economico - per cui l’occupazione terminerà una volta raggiunta una soluzione negoziata. Così facendo, tuttavia, si confondono le cause con gli effetti, e si finge di ignorare che se “la violazione del diritto dei popoli all’autodeterminazione è intrinseca al colonialismo degli insediamenti”, il quale nega “la dimensione esterna del diritto all’autodeterminazione” e promuove la “de-palestinizzazione” dei Territori Occupati, l’inosservanza da parte di Israele del diritto internazionale costituisce “un elemento strutturale della prolungata privazione dei diritti politici dei palestinesi sotto occupazione”.

E’ davvero tragico, accusa la Relatrice, che “i palestinesi abbiano sofferto un crescente colonialismo degli insediamenti in un momento storico in cui il resto del mondo stava facendo progressi in questo senso”. Dal caso della Namibia negli anni Cinquanta a quello dell’Ucraina nel 2022, la comunità internazionale ha saputo attingere dagli strumenti forniti dal diritto internazionale per porre termine alle occupazioni ed ad altre forme di assoggettamento illegali. Ebbene, “il popolo palestinese non solo ha diritto, ma deve godere di una simile cooperazione ed azione internazionale”, e la comunità internazionale deve rammentare che, “come occupante, Israele non ha alcuna sovranità sui Territori Palestinesi Occupati”.

Per mantenere questo dominio illegale sui palestinesi Israele si è servito di una “cassetta degli attrezzi” molto capiente, ricorda Albanese, che comprende la “frammentazione strategica” dei loro Territori, la negazione della loro libertà di movimento, e la “sistematica violazione dei loro diritti umani”, con uccisioni extragiudiziali, detenzioni amministrative, revoche dei permessi di residenza, e deportazioni di massa. Ora, se come è vero “la violazione del diritto internazionale non dovrebbe essere oggetto di negoziati perché questo legittimerebbe ciò che è illegale”, risulta evidente che “l’obbligo di cessazione dell’occupazione israeliana non può in nessun modo essere condizionato dai negoziati”, conclude Albanese, che richiede per questo un “cambio di paradigma” come unico modo per risolvere questa situazione, optando per “una soluzione basata sul rispetto della storia e del diritto internazionale”.

La Relatrice Speciale raccomanda quindi che il governo israeliano adempia ai propri obblighi legali e cessi di impedire la realizzazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, ponendo incondizionatamente fine all’occupazione e provvedendo alle riparazioni motivate dalle sue azioni illecite; e chiede che tutti gli Stati condannino questa violazione del diritto all’autodeterminazione, pretendano la fine dell’occupazione senza condizionarla ai negoziati tra Israele e Palestina, e preparino tutte le misure diplomatiche, economiche e politiche atte a contrastare un eventuale rifiuto da parte di Israele, garantendo nel frattempo la protezione della popolazione palestinese, la fine dell’impunità per i responsabili delle violazioni dei diritti umani, e l’interruzione dei rapporti economici illegali con le colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati.

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