Martina Rizonico (Assadakah News) - Scultore italo-siriano, cresciuto tra Carrara e Damasco, Mehiar Ali, classe 1986, è uno degli artisti che nel 2019 protestò contro la guerra in Siria, usando la sua arte. Ha ereditato dai genitori il talento innato per la scultura, rivolgendo sempre uno sguardo agli altri ed utilizzando l’arte per rendere il mondo un posto migliore. Sono passati dieci anni da quando nel bel mezzo del conflitto siriano, Mehiar insieme ad altri artisti decide di creare un evento pacifista basato sul Dadaismo.

“L’Isis era arrivato a prendere più del 60% dei territori siriani e noi volevamo creare un’alternativa a questa realtà, anche solo a livello artistico. Volevamo unire una valorizzazione della cultura orientale e mediorientale al concetto di libertà occidentale e così ci è venuto in mente di creare un evento dadaista, ovvero un evento che parlasse di libertà ma che non avesse senso. C'è chi lo ha capito, c'è chi si è arrabbiato. Fatto sta che quello è stato il nostro modo di esprimerci. Da quello e da altri eventi è nato poi un movimento non ufficiale di artisti emergenti che sono ancora in contatto tra Medio Oriente ed Europa”.
Prima di lui anche il padre, Mustafa Ali, usò il suo ruolo di scultore emergente nella Siria degli anni 70’/80’ ed artista di rilievo per contribuire al benessere della società. Infatti oltre ad aver realizzato la prima mostra di sculture in bronzo nella Siria moderna, ha anche fondato una Galleria d’Arte dentro il quartiere ebraico di Damasco, la ‘Mustafa Ali Gallery’ creando così uno spazio di condivisione per chi avesse voglia di confrontarsi sull’arte, proporre le sue opere o semplicemente studiare insieme. Il lavoro di Mehiar però non può essere descritto solo come un passaggio del testimone rispetto a quello del padre. Oggi Mehiar infatti, consapevole del suo ruolo di artista multi-culturale, inserito nella società moderna dei social e del consumo si interroga a fondo sulle sfide che questo ruolo pone sul piano concettuale ed espressivo. Seduto sulla poltrona del Caffè Letterario a Roma, racconta del suo percorso artistico ed umano che lo ha portato ad una ricerca continua su sé stesso ponendosi interrogativi sul mondo circostante: “Ho iniziato a disegnare fin da bambino, in casa dei miei genitori a Damasco. Disegnavo anche sui muri. Il mio scopo principale nel fare sculture è quello di una ricerca personale che va dal piano psicologico a quello esistenziale. Quindi rispondere alle domande ‘chi sono?’ e ‘da dove vengo?’ perché il tema dell’identità e del senso d’appartenenza sono sempre stati due temi centrali nella mia vita, visto che ho sempre vissuto a cavallo tra due culture. Se tu come essere umano hai sempre vissuto tra due paesi e passa troppo tempo senza che tu vada nel tuo paese di origine poi inizi a soffrire. Culturalmente io sono europeo, accademico, cosmopolita, agnostico, possiamo dare tutte le definizioni che vuoi, ma sono anche siriano”.

La sua ricerca che parte dal voler comprendere la connessione con le sue origini lo ha portato a viaggiare, studiare e lavorare tra Europa, Siria, Libano e Giappone. Proprio qui nel 2014 Mehiar intraprende un percorso di studio sulla scultura in granito, legno e gesso e porta avanti una ricerca sulla mitologia Giapponese, allacciandosi alla tradizione mitologica Babilonese e Greco-Romana. La sua tesi di laurea si fonderà proprio sulla reinterpretazione delle divinità giapponesi. Questa volontà di affondare nella tradizione mitologica ed usarla per esplorare concetti come la ricerca e la scoperta di sé stessi parte anche dalle sue radici culturali: “La mia ricerca esplorativa parte proprio dal voler comprendere che connessione ho con le mie origini. Perché io sono cresciuto sì in Italia, ma come ogni bambino italiano che si rispetti le estati le passavo dai miei nonni che abitavano a Damasco ed a Latakia, che è la città di origine di mio padre. E’ una città che si trova sul mare ed è una città Fenicia, lì si trova anche la porta di Ugarit, puoi vedere tantissima storia che si connette con il mediterraneo e la Babilonia. Però tutto questo patrimonio storico spesso non viene valorizzato, non viene fatto emergere. Anzi viene spesso nascosto o dimenticato per vari motivi. E qui ritrovo già una parte della connessione con le mie origini. Perché penso sia interessante in un contesto contemporaneo ed attuale, digitalizzato e social, ridare un posto ed un valore a questa storia”.
Se sul piano concettuale lo studio di Mehiar è molto incentrato sulle origini, su quello operativo presenta anche una forte apertura alla società ed una grande volontà di poter manifestare l’impatto che l’arte può avere su di essa. Questo lo fa anche con la sua associazione Amalart di Carrara, un luogo di produzione artistica, di scambio ed anche di educazione artistica non istituzionale per bambini.
“Ovviamente sono interessato anche a contribuire alla società, altrimenti non sarei arrivato ad aprire una Galleria ed un centro culturale a Carrara, collaborando anche con l’Accademia di Belle Arti di Carrara. Di base ciò che vorrei raggiungere sono la sicurezza e la consapevolezza che si sta andando verso un mondo di pace, di comprensione reciproca attraverso l’arte ed il dialogo. E non verso la superficialità, il consumo etc. Tutte queste cose vengono promosse da un sistema che a livello educativo non ti dà la possibilità di formarsi un carattere consapevole che voglia crescere in modo originale. Anche qui il lavoro con i bambini di disegno libero è importantissimo, perché anche se abbiamo una scuola di disegno è non istituzionale e quindi i bambini possono disegnare ovunque e con chiunque”.
Il lavoro con i bambini permette quindi a Mehiar di passare concetti come la libertà artistica e creativa alle nuove generazioni creando un circolo virtuoso di cultura e di inclusione. Mentre il mondo attraversa uno dei periodi più bui e complessi a livello globale e geo-politico, Mehiar e la sua associazione ci danno un esempio concreto di come possiamo lavorare con quello che abbiamo per renderlo migliore a partire dalla nostra creatività.
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